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La Figc al lavoro per il ct, nel mirino resta Spalletti

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Dopo un Ferragosto tutt’altro che di riposo dopo le dimissioni choc di Roberto Mancini, dietro le porte chiuse di via Allegri si preme sull’acceleratore per arrivare al più presto alla nomina del nuovo commissario tecnico della Nazionale. Il tempo è poco, le partite di qualificazione a Euro 2024 di inizio settembre incombono e non sono consentiti alibi nè distrazioni nel tentare di sbloccare l’impasse contrattuale che si frappone come maggior ostacolo all’annuncio di Luciano Spalletti quale successore del tecnico marchigiano.

L’allenatore dei campioni d’Italia resta il profilo ottimale per il ruolo, secondo il presidente federale, Gabriele Gravina, e da parte sua sarebbe disponibile infondendo così fiducia in una positiva conclusione di una vicenda che ben pochi potevano immaginare. E mentre si può immaginare da una parte che Spalletti stia già cominciando a fare le sue valutazioni circa le scelte che potrebbe essere chiamato a fare a breve, visto che la lista di convocati per la Macedonia del Nord e l’Ucraina andrà diramata tra un paio di settimane, non serve fare voli pindarici riguardo all’intenso lavorio legale in corso per sbrogliare la matassa contrattuale.

Il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, proprio nel giorno di Ferragosto ha deciso di mettere i puntini sulle i, affermando che la clausola del contratto che lega Spalletti alla società campione d’Italia resta valida non tanto per i termini economici ma per una questione di principio. E se sul denaro si può trattare, sui principi farlo risulta più difficile. Non meno dure sono state le parole dell’imprenditore sulle dimissioni di Mancini, supinamente subite, a suo dire, da una federazione incapace a gestire i rapporti, anche attraverso l’uso di vincoli contrattuali.

A dare ragione al presidente azzurro, invitandolo a non cedere, sono stati anche alcuni tifosi vip del Napoli, Sandro Ruotolo, Gaetano Quagliariello e Maurizio de Giovanni, apertamente critici verso il tecnico che aveva chiesto un anno sabbatico. Su questi presupposti una trattativa pare partire in salita, ma in federazione si conta comunque di arrivare ad una conclusione positiva, puntando ad avere nel frattempo pareri legali che corroborino la validità della scelta. L’alternativa più logica resta al momento quella che porta ad Antonio Conte, già commissario tecnico tra il 2014 e il 2016, col quale però bisognerebbe trovare un accordo in tempi molto brevi. Gravina non ha ancora parlato pubblicamente della situazione creata dall’improvvisa e sconcertante uscita di scena di Mancini e tutto lascia pensare che non lo farà prima di rispondere nel concreto con una nomina. Intanto la panchina dell’Italia – maschile, ma anche femminile – resta vuota sotto il solleone.

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La spesa per la Difesa dei 27 aumenta a 240 miliardi di euro

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Nel 2022 la spesa per la difesa dei 27 Stati membri Ue è aumentata per l’ottavo anno consecutivo, raggiungendo i 240 miliardi di euro, ovvero l’1,5% del Pil. Lo rende noto il report annuale della European Defence Agency (EDA). In termini reali la spesa per la difesa è cresciuta di oltre il 6% rispetto al 2021, dimostrando gli sforzi dei 27 per sostenere la tendenza all’aumento della spesa complessiva. Rispetto al minimo storico raggiunto nel 2014, la spesa per la difesa è aumentata di 69 miliardi di euro, pari al 40% in termini reali. Tuttavia i 27 dovrebbero spendere 76 miliardi in più per raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil.

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Dopo immunoterapia pre-chirurgia stop cure a 50% malati melanoma

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Con l’immunoterapia pre-intervento chirurgico, il 50% dei pazienti colpiti da melanoma non ha bisogno di cure post-intervento. Gli avanzamenti dell’immunoterapia anche nella fase pre-chirurgica sono al centro della nona edizione dell’Immunotherapy e Melanoma Bridge in corso a Napoli.

“I tempi sono ormai maturi – sottolinea Paolo Ascierto, presidente del convegno e direttore del dipartimento di oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Nazionale dei Tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli -. L’immunoterapia neoadiuvante ha tutte le carte in regola per diventare lo standard di trattamento per molti tipi di tumori. Per questo, insieme alla principali società scientifiche, chiediamo all’Aifa di procedere con l’estensione dell’indicazione del farmaco immunoterapico pembrolizumab, attraverso la Legge 648, anche in fase neoadiuvante. Tale cambiamento non avrebbe neanche un costo aggiuntivo: i cicli di terapia che vengono somministrati prima dell’intervento chirurgico, infatti, andrebbero a sostituire quelli che attualmente si fanno dopo”.

“Oggi il melanoma è una delle aree di ricerca più attive nell’immunoterapia neoadiuvante – spiega Ascierto -. Attualmente le linee guida nazionali Aiom indicano come standard terapeutico la somministrazione di terapia adiuvante post-chirurgia a partire dallo stadio II della malattia. La terapia neoadiuvante, cioè quella che viene somministrata prima della chirurgia nella malattia clinicamente o radiologicamente evidente, può essere somministrata solo all’interno degli studi clinici. All’istituto Pascale abbiamo da poco concluso lo studio NEO-TIM sulla terapia neoadiuvante nel melanoma, i cui risultati preliminari sono molto promettenti”. Nei casi di melanoma metastatico, rileva, “l’immunoterapia pre-intervento presenta un vantaggio significativo per i pazienti in termini di riduzione delle cellule tumorali nel tessuto coinvolto e, nel 50% dei casi può rendere addirittura superflua il ricorso al trattamento adiuvante, quello che viene somministrato dopo l’intervento. Sulla base delle sempre più numerose evidenze sull’efficacia dell’immunoterapia neoadiuvante, auspichiamo un rapido aggiornamento degli standard di trattamento”. I benefici dell’immunoterapia neoadiuvante, inoltre, si estenderebbero anche alla prevenzione delle recidive.

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Aids, diagnosi risalgono ma siamo sotto livelli pre-Covid

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Le diagnosi di Hiv in Italia riprendono a salire: lo scorso anno sono state 1.888, pari al 2% in più rispetto al 2021 e al 34% in più rispetto al 2020. È il secondo aumento consecutivo dopo oltre un decennio di discesa. Il trend risente però dell’esperienza della pandemia e del crollo delle diagnosi registrato nel 2020 (-44% su base annua). Nel complesso, il dato del 2022 risulta del 25% più basso rispetto al 2019 e, rispetto a 10 anni fa, i casi sono più che dimezzati. È questo il quadro che viene fuori dall’aggiornamento della sorveglianza nazionale delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e dei casi di Aids, curato dall’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato in vista della Giornata Mondiale dell’1 dicembre. Secondo il rapporto, lo scorso anno in Italia si è osservata un’incidenza media dell’Hiv pari a 3,2 nuovi casi per 100 mila abitanti, inferiore rispetto a quella osservata tra i Paesi dell’Europa occidentale e dell’Unione Europea (5,1 per 100 mila). Tra le Regioni, nel 2022 i tassi più alti di nuove diagnosi di Hiv sono state registrate in Lazio (4,8 per 100 mila abitanti), Toscana (4,0), Abruzzo (3,9), Campania (3,9). Quasi il 79% delle nuove diagnosi di Hiv ha riguardato i maschi, mentre la principale modalità di contagio sono i rapporti sessuali (43% eterosessuali, 41% MSM). I contagi attribuibili a persone che usano sostanze stupefacenti sono il 4,3%. Cresce il numero di persone che vive con l’Hiv, passato tra il 2012 e il 2021 da 127 mila a 142 mila (+12%).

Tra i trend identificati dal rapporto, l’aumento della quota di nuove diagnosi in persone con più di 50 anni, passata dal 20% del 2015 al 31% del 2022. Si conferma un forte ritardo nella diagnosi: oltre la metà (58%) delle persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nel 2022 erano in fase avanzata di malattia, cioè con una situazione immunitaria seriamente compromessa o addirittura già in Aids. Ciò ha ricadute sull’efficacia della terapia antiretrovirale e sulla probabilità di trasmettere involontariamente l’Hiv non usando le protezioni adeguate. Nel 2022 sono state notificate 403 nuove diagnosi di Aids pari a un’incidenza di 0,7 casi per 100 mila abitanti. Anche nel caso dell’Aids il rapporto conferma un ritardo nella diagnosi: “la maggior parte delle persone (83,7%) che ricevono una diagnosi di Aids ha scoperto da poco la propria sieropositività”, si legge nel documento: è cioè trascorso meno di 6 mesi tra il primo test positivo la diagnosi di Aids. Non sono invece disponibili i dati sui decessi per Aids relativi al 2022. Gli ultimi risalgono al 2020, quando si sono contati 528 decessi, un numero stabile dal 2014.

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