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Cronache

La Cassazione conferma la condanna di Danilo Coppola a 7 anni

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 E’ stata confermata dalla Cassazione la condanna a sette anni di reclusione per bancarotta fraudolenta a carico dell’immobiliarista romano Danilo Coppola, latitante in Svizzera e noto per essere stato tra i ‘furbetti del quartierino’ a tentare la scalata ad Antonveneta e Bnl. Per lui – finito al centro di numerose inchieste dagli esiti alterni – si tratta del primo verdetto definitivo di colpevolezza che passa in giudicato. “La sentenza e’ definitiva, ora vedremo se e come partira’ l’esecuzione della pena”, ha commentato l’avvocato Ivano Chiesa, legale di Coppola, che aspetta di capire se “l’annullamento con rinvio solo per la pena accessoria” blocchera’ o meno l’esecuzione della pena principale. Gli ‘ermellini’ hanno infatti ritenuto legittimo quanto stabilito – dalla Corte di Appello di Milano il 17 luglio 2020 – nell’ambito del processo per il crac della societa’ Parco Vittoria, ora di proprieta’ del fondo Prelios che ha acquisito il complesso immobiliare nel capoluogo lombardo per il quale c’e’ un progetto di rilancio urbano e riqualificazione del valore di circa 200 milioni di euro. In particolare, la Quinta sezione penale della Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di Coppola contro la condanna e l’entita’ della pena, e ha annullato quanto deciso dai magistrati d’appello solo per quanto riguarda la durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici che dovra’ essere rideterminata. Ma questo annullamento della pena accessoria, come spiegano ambienti del ‘Palazzaccio’, non incide minimamente sul passaggio in giudicato della condanna e dell’accertamento definitivo della responsabilita’ penale di Coppola nel crac. Adesso occorre vedere se la Svizzera, quando la magistratura italiana avanzera’ la domanda, concedera’ l’estradizione dell’immobiliarista dopo che le autorita’ elvetiche lo scorso 24 maggio – in quanto nel loro ordinamento non prevedono come reato il tentativo di estorsione – hanno negato la consegna di Coppola chiesta dalla Procura di Milano in relazione al procedimento che vede l’ex furbetto indagato per la tentata estorsione a Prelios. La stessa Cassazione lo scorso 8 marzo aveva confermato la richiesta di custodia in carcere per Coppola ritenendo fondata l’ipotesi che l’immobiliarista abbia messo in campo “una azione giudiziaria fraudolenta” e dalla “natura estorsiva” nei confronti di Prelios che non si e’ fatta intimidire e non ha ceduto allo “scambio di utilita’” proposto dall’immobiliarista: un milione e mezzo di euro e l’aiuto a tornare in possesso dell’hotel ‘Cicerone’ nella capitale, in cambio del ritiro dell’azione giudiziaria. Ma i guai processuali di Coppola non finiscono qui. E’ infatti imputato nel processo in fase preliminare per bancarotta per il fallimento nel 2015 della srl ‘Editori per la finanza’, di cui sarebbe stato, “amministratore di fatto”. Secondo le indagini dei pm di Milano avrebbe causato il crac con “operazioni dolose” nonostante la societa’ fosse “in stato di dissesto quantomeno dal dicembre 2009”. L’immobiliarista e’ a giudizio anche per il fallimento di Tikal srl, sempre del 2015, “attivita’ sociale” mandata avanti “nonostante il patrimonio netto fosse gia’ negativo” a fine 2006 “per circa 70 milioni di euro”. E poi ancora per il crac di Epf Comunicazione srl del marzo 2015 con 45mila euro girati, secondo i pm, nel 2012 alla “madre di Coppola”. In piu’ un’imputazione per “sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte” nella quale si ricorda che il “Gruppo Coppola spa e le sue controllate” avevano “nel 2013 debiti tributari di ammontare complessivo superiore a 250 milioni di euro”. E sarebbero stati sottratti al Fisco “garanzie patrimoniali dirette e indirette del Coppola” per circa “15 milioni di dollari Usa”. Intanto dalla Svizzera l’immobiliarista – che si vanta di avere ancora un ingente patrimonio nonostante i sequestri di ville e beni – continua a postare sui suoi social video nei quali attacca i pm milanesi e romani. (

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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