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Ambiente

La carica dei ragazzi per il clima, 1 milione in piazza per dire “ci avete rotto i polmoni”

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Al grido di “Non esiste un pianeta B” e “Ci avete rotto i polmoni” oltre un milione di ragazzi italiani ha invaso le piazze di 160 citta’ per spingere la politica ‘degli adulti’ ad attivarsi contro i cambiamenti climatici. E la politica, almeno sulla carta, non e’ rimasta sorda agli appelli: non solo con la mega-giustificazione collettiva suggerita alle scuole dal ministro Lorenzo Fioramonti, ma anche con l’impegno assicurato da tante istituzioni a trovare “soluzioni concrete”, come lo scomputo dal deficit della spesa per l’ambiente, proposto dal sottosegretario Riccardo Fraccaro. Da Roma a Milano, da Torino a Palermo, fino a centri piu’ piccoli come Ischia (dove c’erano almeno 3mila giovano in piazza) e anche altamente simbolici su questo fronte, come Taranto e Potenza, i vari cortei hanno messo insieme un fiume colorato e pacifico (tranne un blitz di giovani vestiti di nero nel capoluogo siciliano) di studenti di tutte le eta’ richiamati alla partecipazione politica attiva dalla battaglia per l’ambiente. Proprio questo “risveglio”, in vite che sembravano unicamente assorbite dall’uso spasmodico degli smartphone al riparo delle mura casalinghe, ha convinto Fioramonti a spingere le scuole ad accettare le giustificazioni con l’orgogliosa dicitura “partecipazione alla manifestazione per il clima” e non con la formula passpartout dei tradizionali “motivi familiari”. Un lasciapassare che, malgrado la resistenza di qualche istituto, potrebbe aver convinto tanti ragazzi a scendere in strada senza paura di conseguenze. E cosi’ il numero di partecipanti e’ rapidamente cresciuto fino a superare, stando ai calcoli degli organizzatori del Fridays For Future, la soglia di un milione. Roma e Milano, dove e’ sceso in piazza anche il sindaco Giuseppe Sala (“Cosa ci importa? Piuttosto faccia qualcosa”, ha reagito pero’ con veemenza l’attivista di appena 16 anni Miriam Martinelli), sono state ovviamente le citta’ in cui la manifestazione e’ stata piu’ imponente, con almeno 200mila adesioni per ciascuna e slogan spesso ispirati dalla ‘madrina’ Greta Thunberg, che in un tweet ha dato la sua benedizione parlando di “immagini bellissime da tutta Italia”. Ma se nei grandi centri le scritte erano per lo piu’ generiche, da Taranto sono arrivate le urla anti-Ilva: “Sto all’inferno anche da vivo” e “Taranto senza Ilva”. Mentre da Potenza, una delle poche zone di estrazione petrolifera d’Italia, c’e’ stata la mobilitazione anti-greggio: “Non possiamo bere petrolio”. La protesta, almeno in questa giornata, ha colpito nel segno e spinto governo e opposizione a occuparsi di temi spesso assenti dall’agenda politica. Se il premier Giuseppe Conte ha promesso generiche “soluzioni concrete” e il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che sta preparando uno specifico decreto, ha invitato ad “agire subito”, piu’ in la’ e’ andato Fraccaro: “Proporremo all’Ue – ha annunciato – di scomputare dal calcolo del deficit la spesa per investimenti a favore dell’ambiente: e’ necessario introdurre una Green rule ragionando su una soglia di scomputo pari al 2,5% del Pil per ogni Stato membro”. Una ‘Regola verde’, insomma, per evitare di cadere nel “baratro” scavato dalle “politiche che gli Stati hanno imposto negli ultimi anni”. La strada appare ampiamente condivisa dagli altri alleati di governo: “La legge di bilancio – ha detto il capo delegazione del Pd nell’esecutivo Dario Franceschini – deve avere al centro di ogni scelta grande e piccola l’ambiente e la sostenibilita’. Saremo intransigenti su questo”. Sullo stesso binario Rossella Muroni di LeU, che propone di inserire nella manovra il concetto del “chi inquina paga”. Dall’opposizione il leader della Lega Matteo Salvini, che alla vigilia aveva “minacciato” il figlio di ritorsioni in caso di partecipazione al corteo, e’ apparso piu’ morbido: “Viva i ragazzi che scendono in piazza, la Lega vorrebbe dargli anche il diritto di voto a 16 anni. Speriamo che qualche ministro non li prenda in giro”, ha dichiarato.

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Copernicus, marzo 2024 il mese più caldo mai registrato

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Il marzo del 2024 è stato il mese di marzo più caldo mai registrato. Lo rende noto il servizio meteo della Ue Copernicus. La temperatura media globale il mese scorso è stata di 14,4°C, superiore di 0,73°C rispetto alla media del trentennio 1991 – 2020 e di 0,10°C rispetto al precedente record di marzo, quello del 2016. Il mese inoltre è stato di 1,68°C più caldo della media di marzo del cinquantennio 1850 – 1900, periodo di riferimento dell’era pre-industriale. Secondo Copernicus, il marzo 2024 è il decimo mese di fila che si classifica come il più caldo mai registrato.

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Ecdc-Efsa, rischio diffusione dell’aviaria su larga scala

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Si alza il livello di attenzione sull’influenza aviaria da virus A/H5N1. Dopo tre anni che l’agente patogeno circola in maniera particolarmente sostenuta tra uccelli selvatici e di allevamento, infettando anche mammiferi ed espandendo la sua area di diffusione, da poco più di una settimana gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti, dove si segnalano infezioni in allevamenti di mucche da latte. Al momento sono interessati una dozzina di allevamenti dislocati in cinque stati (Texas, Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho). Il primo aprile, poi, i Centers for Disease Control and Prevention hanno diffuso la notizia che anche un uomo ha contratto l’infezione; le sue condizioni sono buone.

Ad oggi si ritiene che sia gli animali sia l’uomo abbiano contratto l’infezione attraverso il contatto con uccelli infetti. Secondo le autorità americane questi casi non cambiano il livello di rischio, che resta basso per la popolazione generale. Tuttavia, i segnali di allarme si moltiplicano. In un rapporto pubblicato mercoledì, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa), avvertono: “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Fino a oggi, le infezioni nell’uomo sono poche (circa 900 dal 2003) e del tutto occasionali. Non ci sono prove di trasmissione tra mammiferi, né da uomo a uomo. Tuttavia, la congiuntura invita alla massima attenzione. In piena pandemia, nel 2020, è comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione.

Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti. Anche i fattori ambientali giocano a suo favore: i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, influenzando le abitudini degli animali e intensificando gli incontri tra specie diversa, fanno crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.

Nonostante ciò, al momento non ci sono dati che indichino che A/H5N1 abbia acquisito una maggiore capacità di infettare l’uomo. Tuttavia, se questa trasformazione avvenisse saremmo particolarmente vulnerabili. “Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l’H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie. Per ridurre i rischi Ecdc ed Efsa invitano ad alzare la guardia, rafforzando le misure di biosicurezza negli allevamenti, limitando l’esposizione al virus dei mammiferi, compreso l’uomo, e intensificando la sorveglianza e la condivisione dei da

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Da 20 anni aria più pulita in Europa, ma non basta

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Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).

Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.

Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.

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