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Kiev, ‘ucciso il capo della flotta russa del Mar Nero’

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Era nell’aria. Su Wikipedia qualcuno aveva segnato come morto il comandante della flotta russa del Mar Nero, l’ammiraglio Viktor Sokolov, già all’indomani dell’attacco ucraino a Sebastopoli. Ora la conferma da parte del comando delle Operazioni Speciali. Non solo. Nell’edificio neoclassico del centro della città fondata da Caterina la Grande avrebbero trovato la morte 34 ufficiali mentre ben 105 “invasori” sarebbero rimasti feriti. E l’edificio in sé viene giudicato “irreparabile”.

Mano a mano che emergono nuovi dettagli è sempre più chiaro il livello del danno patito dai russi a Sebastopoli e, per contro, il successo messo a segno dagli ucraini, che evidentemente sapevano dove e quando e colpire; sempre secondo gli ucraini, l’attacco alla nave da sbarco Minsk, avvenuto a metà settembre, avrebbe spezzato via 62 marinai, già a bordo del vascello perché sarebbero dovuti partire il giorno successivo. Naturalmente è impossibile verificare in modo indipendente queste informazioni – i russi parlano di un solo uomo disperso al comando della flotta e di danni “minimi” – ma se così fosse si tratterebbe di uno smacco atroce per il Cremlino. Mosca nella notte si è vendicata colpendo Odessa. A casaccio però.

L’ondata di missili ha provocato due morti e un ferito, ha danneggiato “significativamente” le strutture del porto, un hotel abbandonato sul lungomare e un silos con 1.000 tonnellate di grano. In rete i canali filorussi pretendevano che l’albergo fosse in realtà un centro di comando dell’esercito ucraino ma persino alcuni profili legati alla propaganda hanno smentito la teoria. “Questo era il mio hotel”, ha scritto su X l’imprenditore Andrey Stavnitser.

“Sognavo di costruire un bellissimo e moderno lungomare a Odessa. Come a tutti gli abitanti di qui, l’edificio non mi piaceva – un monumento alla sciatteria e al cattivo gusto – e sognavo di ristrutturarlo. Ma ricostruiremo tutto. E Odessa sarà bella come i russi non hanno mai potuto immaginare nei loro più terribili incubi”. Il ministero della Difesa ucraino sui social media ha definito l’attacco alla città un “patetico tentativo di ritorsione” per il colpo messo a segno a Sebastopoli e l’ha classificato come “una violazione del diritto internazionale umanitario, poiché ha preso di mira sia le truppe che le infrastrutture civili, anche per la fornitura di energia elettrica”. Stando all’Aeronautica militare, la Russia ha lanciato contro l’Ucraina 12 missili da crociera Kalibr, due missili antinave Onyx e 19 droni kamikaze. I bombardamenti sono poi proseguiti costanti nel resto delle zone del fronte mentre un drone ucraino ha attaccato l’aeroporto di Khalino, nella regione russa di Kursk.

Ma dal punto di vista militare la notizia di giornata è senz’altro l’arrivo dei carri armati americani Abrams, benché non si sappia il loro numero preciso (gli Usa ne avevano promessi un trentina). “Buone notizie. Gli Abrams sono già in Ucraina e si preparano a rafforzare le nostre brigate: sono grato ai nostri alleati per aver rispettato gli accordi, stiamo cercando nuovi contratti e ampliando la geografia delle forniture”, ha commentato il presidente Volodymyr Zelensky. A Ginevra, invece, le notizie sono pessime. Erik Mose, presidente della Commissione d’inchiesta sull’Ucraina, ha dichiarato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite che il suo team ha raccolto ulteriori prove nel Kherson che indicano “un uso della tortura sistematico da parte delle forze armate russe nelle aree in precedenza sotto il loro controllo”. In alcuni casi le vittime “sono morte”, in altri i familiari sono stati costretti “a udire” le violenze sessuali ai danni dei loro cari. Mose ha affermato che i tentativi della Commissione di comunicare con Mosca sono rimasti senza risposta nonostante gli sia stata data l’opportunità di rispondere alle accuse durante l’udienza del Consiglio: “Nessun rappresentante russo ha partecipato”.

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Media Siria: raid aereo di Israele vicino a Damasco

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“Israele ha lanciato un attacco aereo vicino a Damasco”. Lo riferiscono media statali siriani, ripresi da al Jazeera e Haaretz. Non si hanno al momento ulteriori informazioni. Dall’inizio della guerra contro Hamas il 7 ottobre, Israele ha condotto decine di attacchi aerei contro presunte infrastrutture e presunti depositi di armi degli Hezbollah e di altre milizie locali filo-iraniane, colpendo ripetutamente gli aeroporti di Damasco e di Aleppo.

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Tra i disperati di Gaza in fuga anche dal sud

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La Striscia di Gaza si è risvegliata nell’incubo, dopo un settimana di tregua e di speranze che il peggio fosse ormai passato. E anche tra le strade di Khan Yunis, la cittadina del sud dove si sono riparati migliaia di sfollati arrivati dal Nord, domina la disperazione mentre risuona l’eco dei raid. Lì oggi è stata bombardata una moschea, una delle tante già finite nel mirino perché ritenute da Israele luoghi di di sostegno all’ala militare di Hamas. Malgrado fosse venerdì, giorno di preghiera, la struttura era deserta. Ma il muezzin che dal minareto leggeva i versetti coranici è rimasto ucciso.

“Anche oggi – raccontano in città – saremo costretti a pregare in casa”. Come avviene ormai da settimane: le famiglie riunite con gli uomini seduti davanti e le donne dietro e il più anziano, o il più erudito, che svolge la funzione. A Khan Yunis sta arrivando anche una folla di migliaia di persone, attraverso l’ormai nota arteria che divide la Striscia – la Sallah-a-din -, dai villaggi del settore orientale: quello più agricolo, il meno abitato, il più vicino alla linea di demarcazione con Israele. Da lì, secondo Israele, si sono ripetuti i lanci di razzi e in mattinata l’esercito ha fatto planare dal cielo migliaia di volantini che ordinavano l’evacuazione di quattro villaggi: Karara, Khuzaa, Abassan, Bani Suheila. Le evacuazioni iniziano quindi a riguardare anche il sud della Striscia, finora indicato come ‘zona di sicurezza’, e non più solo il nord.

I nuovi sfollati si sono messi in cammino per lo più a piedi, in un silenzio quasi funebre, con volti inespressivi, scioccati con in mano qualche valigia ed abiti pesanti, in previsione di dover trascorrere notti all’addiaccio. Fra le migliaia di persone si sono contate solo 5-6 automobili, a testimonianza che di benzina non ce ne è più. Sono arrivati all’accampamento dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi, vicino al mare: “Lì almeno c’è la speranza di avere qualcosa da mangiare per non rischiare la fame”, ha raccontato sconsolata una donna. Dappertutto il clima è tetro: “Eravamo sicuri, o comunque volevamo sperare, che il cessate il fuoco avrebbe retto, che ormai la guerra fosse un brutto ricordo del passato. Ma perché Hamas non ha rilasciato gli ostaggi, perchè queste nuove sofferenze?”, ci si chiede nei caffè.

E i timori vanno anche a quanto si è lasciato dietro spalle, in quelle case e in quelle vite abbandonate in fretta e furia. Con le voci di saccheggi al nord che si diffondono a macchia d’olio. In molti raccontano del caso di un ladro, scoperto in una casa di Jabalya rimasta incustodita dopo che il proprietario era stato costretto a sfollare a sud. L’intruso è stato sopraffatto dai vicini di casa e legato ad un palo. “Un caso esemplare, ma certo non unico”, dicono a Khan Yunis. Molti hanno lasciato i propri appartamenti sotto le pressioni dell’esercito, e non sempre hanno fatto a tempo a portare con sé le cose più preziose che avevano. “Oltre alle percosse, cos’altro sarebbe possibile fare? Ormai qui a Gaza non c’è più polizia, non ci sono più tribunali”, commentano alcuni sfollati stringendo le spalle.

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L’avvocato eroe di Gerusalemme freddato da fuoco amico

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Israele piange l’uomo che ieri a Gerusalemme si è lanciato contro i due terroristi di Hamas che sparavano verso decine di persone in attesa dell’autobus neutralizzandoli entrambi in una manciata di secondi a colpi di pistola. Le ultime immagini lo riprendono in ginocchio sull’asfalto con le mani sollevate e la pistola gettata a terra. Secondo una testimone ha gridato disperatamente “non sparate su di me, sono israeliano, sono ebreo”.

Ma è stato colpito egualmente dai proiettili di due soldati della riserva accorsi da un’altra direzione decisi ad abbattere i killer di Hamas: pensavano che fosse uno di loro e hanno sparato per uccidere. Dopo molte esitazioni, la magistratura militare oggi ha annunciato di aver aperto un’indagine sul loro comportamento. Nell’attentato rivendicato da Hamas sono rimasti uccisi un rabbino settantenne, la direttrice di una scuola religiosa ed una giovane sposa, in stato di gravidanza. Yuval Doron Kastelman – questo il nome di quello che adesso viene definito ‘l’eroe di Gerusalemme’ – era un avvocato di 38 anni, impiegato statale. Ieri ha visto le prime fasi dell’attacco mentre si trovava nella sua automobile, nella carreggiata opposta a quella degli attentatori. Ha sfoderato la pistola, ha attraversato di corsa quattro corsie e li ha sorpresi di lato.

La sua mira è stata precisa ed è riuscito a bloccare i killer, evitando così che il bilancio fosse ancora più tragico. Ma da un’altra parte sono sopraggiunti i due riservisti: le immagini diffuse sul web lo mostrano implorante, poi rantolante sotto i loro proiettili. Adesso i due militari – che ieri hanno rilasciato un’intervista ad una televisione di estrema destra – sono sotto accusa. La tragedia ha subito assunto una connotazione politica, anche perché ieri – sul luogo dell’attentato – il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir (del partito di estrema destra Potere ebraico) è tornato a rivendicare la decisione di distribuire in massa armi ai civili per rafforzare la sicurezza.

“Queste armi – ha detto Ben Gvir – salvano vite umane” perché consentono di bloccare attentati nella fase inziale anche in assenza di agenti. Per i due soldati, a quanto pare, non ci saranno risvolti penali anche perché sul cadavere di Kastelman non è stata condotta un’autopsia e dunque non sarà possibile stabilire da che tipo di proiettile sia stato ucciso. Tuttavia potrebbero aver infranto la disciplina militare avendo sparato ripetutamente contro una persona che non rappresentava alcun pericolo, avendo gettato l’arma e sollevato le mani. Nel 2016 Israele si spaccò sul caso di Elor Azaria: un caporale che colpì a morte un attentatore palestinese dopo che questi giaceva ferito a terra ormai neutralizzato. Malgrado i vertici militari lo abbiano incriminato e poi condannato, Azaria è poi diventato un simbolo per l’estrema destra. Oggi Kastelman avrebbe festeggiato il suo compleanno. Invece è stato sepolto in un cimitero nel nord di Israele. “Era il suo carattere, sempre pronto a lanciarsi in aiuto del prossimo”, hanno raccontato i familiari. “Addio, eroe di Gerusalemme”, è stato l’epitaffio della radio pubblica Kan.

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