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Khamenei assediato, i poteri di guerra ai Pasdaran

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Si stringe il cerchio attorno ad Ali Khamenei. Israele non nasconde l’intenzione di ucciderlo e Donald Trump lo avverte: “Sappiamo dove si nasconde. Ma per ora non lo uccideremo”. Nascosto in un bunker con la famiglia, la Guida suprema avrebbe già trasferito alcuni dei suoi poteri esecutivi ai Pasdaran proprio per le difficoltà a gestire la linea di comando dal suo nascondiglio, riferisce Iran International, media vicino all’opposizione in esilio. Ultimo di una lunga lista di bersagli eccellenti, stavolta a finire nel mirino dell’aeronautica israeliana è stato invece il comandante Ali Shadmani, appena nominato capo di Stato maggiore dopo l’uccisione del tenente generale Alaa Ali Rashid all’inizio dell’operazione ‘Leone Nascente’, presentato dall’Idf come “la figura più vicina a Khamenei”.

Shadmani era a capo “del centro di comando di emergenza Khatam al-Anbiya, responsabile della gestione delle operazioni di combattimento e dell’approvazione dei piani di fuoco dell’Iran contro Israele”, ha aggiunto l’esercito israeliano. “Abbiamo neutralizzato il principale quartier generale di emergenza militare del regime iraniano”, ha dichiarato il capo della Direzione delle operazioni dell’Idf Oded Basiuk, aggiungendo che l’attacco ha costretto i restanti membri della leadership militare iraniana a fuggire. Israele – ha aggiunto – è “pronto a continuare a eliminare uno per uno i capi del terrorismo in Iran”. E i vertici della Repubblica islamica sentono il fiato dello Stato ebraico sul collo, tanto che la cybersicurezza ha vietato ai funzionari di governo e a chi collabora con gli organismi di sicurezza l’uso di dispositivi connessi alla rete, come telefonini, smartwatch e tablet, nel timore – riporta ancora Iran International – di finire come i miliziani di Hezbollah uccisi lo scorso settembre dalle esplosioni in simultanea dei loro cercapersone. L’Iran dal canto suo ha rivendicato di aver colpito in un attacco missilistico notturno il quartier generale del Mossad vicino a Tel Aviv.

Nessuna conferma da parte israeliana, secondo cui un missile balistico è caduto nei pressi un deposito nei pressi di Herzliya, incendiandolo, mentre un altro vettore ha colpito un parcheggio, dove un autobus vuoto è andato a fuoco: la zona non è lontana dalla sede dell’unità speciale di intelligence 8200 e da una delle sedi del Mossad, che si trovano a Glilot. Le immagini mostrano un profondo cratere e la zona è stata chiusa al traffico. Le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno poi dichiarato di aver lanciato un attacco contro le basi aeree israeliane da cui, a loro dire, sono decollati i jet per colpire la Repubblica Islamica e hanno annunciato “imminenti attacchi punitivi”, lanciando inusuali appelli alla popolazione israeliana ad evacuare le principali città del Paese, Tel Aviv e Haifa.

Poco prima un’allerta era risuonata in Israele nella zona di Dimona, nel deserto del Negev, dove si trova un reattore nucleare, poi rientrata senza conseguenze. Lo Stato ebraico continua intanto a prendere di mira il programma nucleare degli ayatollah, sebbene l’intelligence Usa – secondo fonti della Cnn – ritenga che l’Iran non fosse poi così vicino alla fabbricazione di una bomba atomica come ritiene Israele, ma gli mancassero ancora almeno tre anni. Dalle immagini satellitari, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha rivelato che i raid israeliani hanno raggiunto “le sale sotterranee di arricchimento di uranio di Natanz”, ritenute finora inaccessibili. Non c’è invece “nessun cambiamento da segnalare” negli altri siti nucleari di Isfahan e Fordow, ha aggiunto l’Aiea. Al quinto giorno di guerra, in Iran si contano oltre 450 persone uccise, di cui almeno la metà civili, e quasi 650 feriti, secondo i calcoli di Human Rights Activists in Iran (Hrana), citata dalla Bbc. L’Idf ha invece reso noto che da venerdì l’Iran ha lanciato circa 400 missili balistici e centinaia di droni, causando la morte di 24 civili e oltre 647 feriti. Migliaia di persone sono inoltre state costrette a lasciare le proprie case in entrambi i Paesi.

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Esteri

Trump minaccia Putin: pace in 50 giorni o dazi al 100%

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Patriot ed altre armi Usa a Kiev tramite la Nato e pagate dai Paesi europei. Ma anche sanzioni secondarie a Mosca se non raggiunge un accordo di pace entro 50 giorni: Donald Trump ha ufficializzato la sua nuova linea nel conflitto ucraino ricevendo nello Studio Ovale il segretario generale dell’Alleanza Mark Rutte. “Sono molto deluso da Putin”, ha esordito il commander in chief, ribadendo la sua frustrazione con lo zar.

“Pensavo fosse uno che facesse sul serio. Invece è sempre gentile nelle nostre conversazioni, ma poi la sera bombarda tutti”, si era lamentato poche ore prima, mentre Axios svelava che Trump avrebbe detto a Macron che il leader russo “vuole prendersi tutto”, dopo una telefonata avuta con lui il 3 luglio. La vera novità è l’ultimatum al leader del Cremlino. “Applicheremo dazi molto severi se non raggiungeremo un accordo entro 50 giorni e saranno al 100%”, ha minacciato il tycoon, il quale in questo caso userebbe i suoi poteri presidenziali e non la legge bipartisan, ancora in discussione al Congresso, che prevede tariffe più pesanti, sino al 500%. “È una buona legge e potrebbe essere utile, ma penso che non ce ne sarà bisogno”, ha osservato.

Si tratterebbe – ha poi spiegato la Casa Bianca – di sanzioni secondarie, che colpirebbero non solo l’export russo in Usa (molto limitato) ma soprattutto i partner commerciali di Mosca, dalla Cina all’ India, che acquistano in particolare la sua energia. L’obiettivo è quello di isolare la Russia dall’economia mondiale, bloccando il finanziamento della sua macchina bellica. “Uso il commercio per molte cose, ma è ottimo per risolvere le guerre”, ha spiegato The Donald. Il presidente ha dribblato però la domanda su perché conceda così tanto tempo a Putin. Lo stesso alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, pur definendo “positivo che il presidente Donald Trump mostri un atteggiamento duro con la Russia”, ha osservato che “50 giorni sono un periodo molto lungo, visto che gli ucraini vengono uccisi ogni giorno”.

Il tycoon non ha neppure voluto infierire su Putin: “Non voglio dire che è un assassino, ma è un tizio tosto”, ha risposto, dicendosi convinto che sia possibile raggiungere un’intesa. Trump ha quindi illustrato l’accordo con la Nato per fornire un rinnovato canale di approvvigionamento di armi statunitensi a Kiev. Gli alleati europei, coordinati dall’Alleanza, acquisteranno equipaggiamento militare e lo trasferiranno in Ucraina. Acquisti per “miliardi e miliardi” di dollari, ha detto il presidente americano, sottolineando che gli Usa produrranno armi di altissima qualità ma non sborseranno nulla. Di sicuro ci saranno batterie di Patriot e le prime “arriveranno molto presto, entro pochi giorni”. Rutte ha affermato che Germania, Finlandia, Canada, Norvegia, Svezia, Regno Unito e Danimarca saranno tra gli acquirenti per aiutare l’Ucraina. Berlino è pronta a fornire due Patriot (il suo ministro della Difesa Boris Pistorius è a Washington per trattare), la Norvegia uno.

Ma, secondo Axios, gli Usa potrebbero vendere anche missili a lungo raggio in grado di raggiungere obiettivi in profondità nel territorio russo, inclusa Mosca. Intanto a Kiev il presidente Volodymyr Zelensky ha avuto un “incontro produttivo” con l’inviato speciale di Trump, Keith Kellogg. “Abbiamo discusso del percorso verso la pace e di cosa possiamo fare concretamente insieme per avvicinarla”, ha scritto sui social. “Questo include il rafforzamento della difesa aerea ucraina, la produzione congiunta e l’approvvigionamento di armi di difesa in collaborazione con l’Europa”, ha aggiunto, ringraziando Trump “per gli importanti segnali di sostegno”.

Il primo commento che arriva da Mosca tende a minimizzare la portata della svolta Usa: “Se questo è tutto ciò che Trump intendeva dichiarare oggi sull’Ucraina, è tanto fumo e poco arrosto”, ha osservato su Telegram il vicepresidente della Duma Konstantin Kossacyov. “In 50 giorni – ha proseguito – quante cose possono cambiare sul campo di battaglia e negli umori dei leader della Nato e degli Usa!”. Riferendosi poi al fatto che i Paesi europei dovranno pagare a Washington gli armamenti per l’Ucraina, ha aggiunto: “Gli europei dovranno sborsare e sborsare, il formaggio gratuito per loro era in una trappola per topi. C’è solo un beneficiario: il complesso militare-industriale degli Stati Uniti”.

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Rimpasto a Kiev, Zelensky nomina una nuova premier amica degli Usa

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Rinsaldare i rapporti con l’America di Donald Trump e rilanciare l’economia di un Paese devastato da oltre tre anni di invasione: questi gli obiettivi che si è posto Volodymyr Zelensky mettendo mano al più grande rimpasto di governo dall’inizio della guerra. I piani del presidente ucraino prevedono un cambio fino al vertice dell’esecutivo, che sarà rappresentato dall’attuale vicepremier Yuliia Svyrydenko. E cambierà anche il rappresentante diplomatico a Washington: il ministro della Difesa Rustem Umerov. Sulla scelta della 39enne Svyrydenko, che guida il ministero dell’Economia, hanno probabilmente pesato due fattori: è considerata una stretta alleata di Andriy Yermak, il potente capo di gabinetto di Zelensky e vanta forti legami con la squadra di Trump, dopo aver guidato i colloqui insieme al segretario al Tesoro Scott Bessent, che hanno portato all’accordo sui minerali (quanto mai vantaggioso per gli Usa).

A lei verrà affidato il compito di “trasformare il potere esecutivo”, traducendo in fatti le necessità di “cambiamenti” invocate da Zelensky: dal nevralgico settore della difesa, per “incrementare la produzione nazionale di armi”, all’economia, con uno snellimento sensibile dell’apparato statale che “riduca significativamente le spese non essenziali”, ha sottolineato il presidente ucraino dopo i faccia a faccia con la premier incaricata e con il capo del governo uscente Denys Shmyhal, che passerà alla Difesa. Per Umerov c’è in ballo un ruolo forse ancora più delicato, quello di ambasciatore negli Stati Uniti: avrà il compito di mantenere saldi i rapporti con un alleato diventato imprevedibile da quando è cambiato l’inquilino della Casa Bianca. Lo sa bene l’attuale rappresentante a Washington, Oksana Markarova, immortalata con le mani nei capelli durante la sfuriata di Trump e Vance a Zelensky nello Studio Ovale lo scorso febbraio.

Markarova pagherà l’essersi inimicata il partito repubblicano, dopo che a settembre aveva organizzato una visita di Zelensky con alcuni esponenti dei democratici a un deposito di armi nello stato chiave della Pennsylvania durante la campagna del 2024: un’iniziativa condannata dallo speaker della Camera Mike Johnson, che aveva chiesto le sue dimissioni. Se Yuliia Svyrydenko avrà l’ok del parlamento diventerà la seconda premier donna nella storia dell’Ucraina, dopo la pasionaria della Rivoluzione Arancione Yulia Tymoshenko. Zelensky lo scorso anno ha rinviato le elezioni presidenziali e parlamentari a causa della guerra e secondo il suo entourage il rimpasto è lo strumento più efficace per ridare nuova linfa all’azione di governo. Eppure tra le file nell’opposizione crescono i malumori i metodi considerati sempre più autoritari e accentratori.

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L’Ue lancia un’app per verificare l’età sui social

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“È difficile immaginare un mondo in cui i ragazzi possano comprare alcolici o andare in un locale notturno, semplicemente dichiarando di avere l’età per farlo, senza altri controlli. Per quanto sia difficile da immaginare, questo è quanto accaduto online per molti anni”. È un’immagine eloquente quella a cui è ricorsa la ministra danese per gli Affari digitali Caroline Stage per illustrare la filosofia alla base dell’iniziativa lanciata dalla Commissione Ue. Due le direttive dell’azione di Bruxelles: da una parte le linee guida per garantire la protezione dei minori nel mondo digitale, dall’altra un’app, in fase sperimentale, per verificare l’età degli utenti sulle piattaforme. In prima linea anche l’Italia, che nelle scorse settimane si è unita a Francia, Spagna e Grecia per chiedere all’Ue misure più drastiche sull’uso dei social media da parte dei minori, come l’introduzione di una maggiore età digitale a livello europeo.

L’appello è stato raccolto in parte da Palazzo Berlaymont. Difficilmente, spiegano dalla Commissione, si potrà stabilire un’età minima a livello Ue per l’accesso ai social media, date le differenze anche culturali tra i Paesi sulla maggiore età. Più fattibile invece l’app per verificare l’età degli utenti, uno dei tasselli che comporranno il portafoglio d’identità digitale Ue atteso per la fine del 2026. L’esecutivo comunitario ha lanciato un prototipo che verrà testato in cinque Stati membri, oltre all’Italia, anche Francia, Spagna, Grecia e Danimarca, con l’obiettivo di lanciare un’app nazionale personalizzata per la verifica dell’età. L’app si avvarrà di un meccanismo di autorizzazione selettiva che consentirà di dimostrare di aver raggiunto la maggiore età, senza rendere accessibili i propri dati personali e la propria identità. “Garantire la sicurezza dei nostri bambini e ragazzi online è di fondamentale importanza per questa Commissione” ha dichiarato la vice presidente della Commissione Henna Virkkunen.

“Le piattaforme – ha sottolineato – non hanno scuse per continuare a mettere a rischio i bambini”. Al lancio dell’app, la Commissione ha affiancato un vademecum sulla protezione dei minori, in linea con la legge sui servizi digitali (Dsa), in cui ad esempio si raccomanda la verifica dell’età per le piattaforme di contenuti per adulti e altre piattaforme che presentano rischi elevati per la sicurezza dei minori. Tra gli aspetti toccati dalle linee guida, c’è il design che crea dipendenza, una questione su cui Bruxelles ha già aperto delle indagini nei confronti di Meta e TikTok. Altro elemento è quello dell’adescamento online: le piattaforme dovranno impostare gli account dei minori come privati per impostazione predefinita, cioè non visibili agli utenti che non sono nella loro lista di amici, per ridurre al minimo il rischio che vengano contattati da estranei. “Credo – ha scandito la ministra Stage – che i bambini meritino un’infanzia digitale sicura. Senza un’adeguata verifica dell’età e senza protezione, l’Ue non è riuscita a garantire loro questa sicurezza. È ora di porre dei limiti”.

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