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Kamala Harris sempre più in crisi, lascia la portavoce

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Gaffe, discorsi scontati ed ora un esodo di massa del suo staff da un ufficio dipinto come caotico e indisciplinato: si offusca sempre di piu’ la stella di Kamala Harris, prima vicepresidente donna e di colore che sogna di infrangere l’ultimo soffitto di cristallo diventando l’erede di Joe Biden. L’ultima tegola e’ l’uscita a fine anno della sua consigliera e portavoce afroamericana Symone Sanders, una delle sue piu’ fiere paladine in questi primi 11 mesi. E’ la partenza di piu’ alto profilo nell’entourage della Harris e segue quella recente della sua direttrice delle comunicazioni Ashley Etienne, una veterana dell’amministrazione Obama, anche lei di colore. Ma non sara’ l’ultima: Peter Velz, direttore delle operazioni per la stampa, e Vince Evans, vicedirettore dell’ufficio per il coinvolgimento pubblico e gli affari intergovernativi, hanno gia’ fatto sapere che lasceranno a breve. Praticamente un ufficio decapitato. La Casa Bianca ridimensiona (“sono incarichi logoranti, il turnover e’ normale”) ma la perdita di Symone Sanders e’ un brutto colpo: la 31enne stratega politica era stata consigliera della campagna di Biden nel 2020, dopo aver fatto la portavoce di quella di Bernie Sanders nel 2016. Nel suo memoir ‘No, You Shut Up’ non aveva nascosto la sua ambizione: “un giorno voglio diventare la portavoce della Casa Bianca”. Ma neppure lei e’ riuscita ad arginare i crescenti attacchi subiti dalla Harris, accusata di non aver affrontato adeguatamente i delicati dossier del suo portafoglio, dall’immigrazione ai diritti di voto e alla lotta contro l’esitazione verso i vaccini. Sino a precipitare nei sondaggi di gradimento sotto il 30%, peggio di Dick Cheney, il vicepresidente meno popolare della storia americana. I suoi difensori denunciando che e’ vittima di pregiudizi, gravata di dossier destinati a fallire e privata di altri piu’ gratificanti, come la supervisione del piano da 1.250 miliardi per le infrastrutture, che Biden ha affidato al piu’ oscuro ex sindaco di New Orleans Mitch Landrieu. Ma i suoi detrattori insistono che non basta essere donna per essere all’altezza di certi ruoli, ricordando il naufragio della sua campagna presidenziale e la serie di gaffe che ha collezionato: dal poco empatico monito agli immigrati a non venire negli Usa a quando assecondo’ uno studente che aveva accusato Israele di “genocidio etnico” in Palestina. Sino al costoso shopping di piatti e pentolame (made in France) per Thanksgiving nel suo recente viaggio diplomatico a Parigi, nonostante la crisi che attanaglia molti americani. E’ comunque innegabile che finora la Harris sia rimasta nell’ombra rispetto a Biden, senza mai bucare lo schermo o pronunciare frasi memorabili, faticando a crearsi una sua immagine, un suo brand, a definire la sua leadership nel partito dopo l’ascesa folgorante cinque anni fa come senatrice. E nel frattempo salgono in una futura corsa alla Casa Bianca le quotazioni del ministro dei Trasporti (ed ex candidato presidenziale) Pete Buttigieg, primo esponente governativo americano apertamente gay, con cui c’e’ gia’ una forte rivalita’ sotterranea.

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Stretta anti fumo, le sigarette volano a 13 euro

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La Francia inasprisce la guerra alle ‘bionde’. Il nuovo piano di lotta contro il tabagismo che il governo di Parigi ha presentato prevede un prezzo delle sigarette alle stelle e l’estensione degli “spazi senza tabacco”: dalle spiagge, ai parchi o vicino alle scuole. La nuova stretta sul fumo punta a “raccogliere la sfida di una generazione libera dal tabacco dal 2032”. Il programma nazionale di controllo del tabacco (Pnlt) 2023-2027 si basa infatti sul “rafforzamento della tassazione e dei divieti relativi al tabacco”, ha spiegato il ministro della Salute e della Prevenzione, Aurélien Rousseau. L’obiettivo è prevenire l’accesso al fumo, soprattutto tra i più giovani, e aiutare meglio i fumatori a smettere, soprattutto i più poveri.

“Il divieto di fumo sarà ormai la norma”, ha sottolineato il ministro presentando ai giornalisti il programma nazionale di lotta al tabagismo. “Gli spazi vietati al fumo, che sono già oltre 7.200 in oltre 73 dipartimenti, sono il risultato di un movimento impresso localmente dai comuni. Oggi invertiamo la responsabilità e fissiamo il principio che diventa la regola”, ha proseguito Rousseau, spiegando poi come saranno gli aumenti del costo del pacchetto di sigarette: nel 2026 si arriverà ad un minimo di 13 euro a pacchetto, con una prima tappa a 12 euro nel 2025. Ma la Francia non è l’unico Paese a dichiarare guerra alla dipendenza dalla nicotina. A partire dal prossimo anno l’Australia vieterà l’importazione di vaporizzatori monouso, stando all’annuncio del ministro della Salute Mark Butler. L’ambizione dell’Australia di diventare il primo Paese a limitare lo svapo sarà realizzata in successive fasi, cominciando da un bando alle importazioni di prodotti monouso.

E da gennaio i medici e gli infermieri professionisti potranno prescrivere vaporizzatori terapeutici per trattare la dipendenza dalla nicotina. Il giro di vite imposto dal ministro Butler è inteso a reprimere il fiorente mercato nero che importa dalla Cina milioni di vaporizzatori monouso aromatizzati e li vende ai giovani su social media o sottobanco in minimarket. A muoversi in controtendenza, per ragioni di bilancio, è invece la Nuova Zelanda che ha in programma un dietrofront sulla legge approvata nel 2022 per vietare alle nuove generazioni di fumare sigarette ed altri prodotti a base di tabacco. Gli introiti derivanti dalle tasse sul fumo – scrivono i media locali – saranno utilizzati per finanziare il taglio delle imposte promesso dalla nuova coalizione di centrodestra. La marcia indietro del nuovo esecutivo è stata criticata da medici ed esperti di salute pubblica, soprattutto perché – denunciano – avrà conseguenze sulle comunità autoctone dei Maori dove il tabagismo è molto diffuso.

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Intesa Israele-Hamas, altri due giorni di tregua a Gaza

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Altri due giorni di tregua a Gaza. Grazie alla mediazione di Qatar, Egitto e Usa, Israele e Hamas hanno raggiunto l’intesa che consentirà il rilascio di altri 20 ostaggi israeliani (10 per ogni giorno aggiuntivo di cessate il fuoco) in cambio di 60 detenuti palestinesi nel solito rapporto di 1 a 3. La proroga della tregua – che sarebbe altrimenti scaduta domani mattina – ha trascinato con sé anche lo sblocco della trattativa sulla quarta tranche di ostaggi che si era complicata. Alla fine in serata sono usciti da Gaza undici prigionieri – 9 bambini e 2 madri, tutti del kibbutz di Nir Oz – in cambio della scarcerazione di 30 minori e tre donne palestinesi: tra queste Yasmin Shaaban e Etaf Jaradat, entrambe di Jenin, e Nufouth Hamad, del quartiere di Sheikh Jaarh a Gerusalemme est.

Assieme agli ostaggi israeliani Hamas ha liberato anche 6 cittadini thailandesi. Secondo quanto riferito da Haaretz, nelle settimane scorse il leader di Hamas nella Striscia Yahya Sinwar ha incontrato alcuni degli ostaggi tenuti nei tunnel e si è fermato con loro a parlare in ebraico. Una prova importante del fatto che il capo dei miliziani è ancora a Gaza. La possibilità di estendere la pausa nei combattimenti – sono state ribadite tutte le condizioni contenute nell’intesa originaria, quindi anche l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia – era già prevista dal primo accordo che aveva come obiettivo la liberazione di 50 ostaggi in cambio di 150 palestinesi.

Ma non era affatto scontato che questo poi sarebbe effettivamente avvenuto. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha salutato con favore la proroga rivendicando di aver “costantemente premuto” per un esito del genere, mentre il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha parlato di “un raggio di speranza”. Hamas ha anche fatto sapere che i prossimi scambi potrebbero riguardare non solo donne e bambini ma anche altri ostaggi, in particolare i soldati israeliani rapiti il 7 ottobre. Una trattativa, ha spiegato Izzat Arshak dell’ufficio politico della fazione, da condurre però in maniera “separata” rispetto a quella portata avanti per i civili. Anche due beduini israeliani sconfinati nella Striscia sono da anni prigionieri di Hamas, che conserva inoltre i resti di due soldati caduti nel conflitto del 2014. I miliziani hanno poi informato l’Egitto e il Qatar di aver individuato altri ostaggi israeliani nella Striscia: si tratta di quelli nelle mani della Jihad islamica o anche di semplici cittadini entrati in Israele il 7 ottobre al seguito dei terroristi per razziare i kibbutz.

Lo stallo nel rilascio di ostaggi e detenuti palestinesi che si era registrato in mattinata era stato causato da entrambi le parti. Israele ha accusato Hamas di violare quanto previsto dall’accordo separando le famiglie, ovvero di voler liberare i bambini ma non le madri. Da parte sua Hamas voleva che Israele scarcerasse sei detenuti arrestati prima del 7 ottobre invocando il principio di anzianità, ovvero la necessità di rilasciare per primi i prigionieri detenuti da più tempo.

Altro intoppo riguardava proprio il nome di Nufouth Hamad, la ragazzina condannata una settimana fa a 12 anni per aver accoltellato una donna israeliana. La fumata bianca sul prolungamento della tregua ha consentito anche la soluzione di questi problemi. Raggiunta l’intesa, Israele ha cominciato ad informare le famiglie dei rapiti: subito dopo la loro consegna alla Croce Rossa e l’uscita da Gaza, gli ostaggi – presi in consegna dalla sicurezza israeliana – sono stati portati negli ospedali dove saranno di nuovo visitati. Ma se i civili e gli sfollati di Gaza potranno contare ancora su qualche giorno di quiete, non vuol dire che la guerra non riprenderà. Il ministro della Difesa Yoav Gallant è stato chiaro: “I combattimenti – ha avvertito incontrando un gruppo di soldati – saranno ancora più grandi e si svolgeranno in tutta la Striscia di Gaza. Non ci fermeremo finché non avremo finito”.

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“Settimane di buio e paura”, i racconti degli ostaggi

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I pasti irregolari, i lunghi giorni senza luce del sole, senza dormire per la paura, senza potersi lavare, senza farmaci. Costretti a bisbigliare per parlare tra loro, ad aspettare ore per andare al bagno. Man mano che gli ostaggi israeliani vengono rilasciati, emergono i dettagli di una prigionia che narra di esperienze diverse, a volte più dure di altre, ma unite da un dolore durato 50 giorni che difficilmente potrà essere dimenticato. Alcuni ostaggi hanno raccontato di aver trascorso l’intera prigionia nei tunnel sotterranei di Hamas, dove le condizioni erano più dure, e che negli ultimi giorni il cibo scarseggiava. Eyal Nouri, nipote di Adina Moshe, 72 anni, liberata venerdì, ha detto che sua zia “ha dovuto riadattarsi alla luce del sole” perché è rimasta nell’oscurità per settimane. “E durante la sua prigionia, era disconnessa da tutto il mondo esterno”.

Così isolata da non sapere neanche che sarebbe stata rilasciata: “Non lo ha saputo finché non ha visto la Croce Rossa”, ha raccontato la nipote. Ma nonostante l’isolamento, qualcuno è riuscito a captare un segnale dall’esterno, che significava speranza di libertà. Come Ohad Mondar, il piccolo di 9 anni che ha potuto ascoltare in tv gli auguri per il suo compleanno, passato in cattività. O altri rapiti, venuti a sapere dell’attivismo senza sosta di parenti e amici in Israele per chiedere a gran voce la loro libertà. Merav Raviv, i cui tre parenti sono stati rilasciati venerdì da Hamas, ha detto che sono stati nutriti in modo irregolare, principalmente con riso e pane. Sua cugina e sua zia, Keren e Ruthie Munder, hanno perso circa 7 chili nelle settimane di prigionia. Anche Yaffa Adar, 85 anni, è dimagrita visibilmente a Gaza. “Contava i giorni della sua prigionia”, ha raccontato la nipote Adar.

“E quando è tornata ha detto: ‘So che sono lì da 50 giorni'”. Sua nonna è stata catturata convinta che i membri della sua famiglia fossero morti, per poi scoprire invece che erano sopravvissuti. Nonostante il sollievo, il suo rilascio ha portato con sé il dolore di scoprire che la sua casa è stata distrutta, insieme ai ricordi di una vita intera. Yair Rotem, la cui nipote dodicenne Hila Rotem Shoshani è stata rilasciata domenica, ora deve ricordare costantemente alla piccola che non deve più bisbigliare. “Hanno sempre detto loro di sussurrare e di stare zitti, quindi continuo a dirle che ora può alzare la voce”, ha riferito. “Non si sono lavati per 50 giorni, non avevano abbastanza acqua”, ha raccontato la dottoressa Margarita Meshabi, che si prende cura degli ostaggi liberati al Wolfson Medical Center. I primi giorni era difficile per loro dormire la notte per la tensione e la paura.

Così “i miliziani di Hamas hanno dato loro del sonnifero”: una pillola divisa in quattro pezzi per permettere a quante più persone di dormire, ha riferito il medico. Diversi ostaggi hanno riferito di non aver subito abusi, e la maggior parte dei liberati sembra in buone condizioni fisiche. Ma almeno due ostaggi hanno avuto bisogno di cure mediche più serie: Elma Abraham, 84 anni, è stata portata d’urgenza al Soroka Medical Center di Beersheba, in pericolo di vita. Il direttore dell’ospedale ha spiegato che la sua condizione preesistente non è stata trattata adeguatamente in cattività. E un’altra giovane donna in ostaggio è stata vista con le stampelle in un video diffuso sabato da Hamas. Ma le ferite più dolorose e difficili da curare restano quelle che non si vedono. “Siamo esposti a storie molto difficili, dolorose e complesse del periodo di prigionia”, ha affermato il direttore dell’ospedale pediatrico Safra di Saba, Itai Pesach. “E’ chiaro che ci vorrà molto tempo per rimarginare queste ferite”.

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