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Kalidou Koulibaly mette a nudo la vergogna razzista del calcio italiano nel mondo. La risposta di Napoli: la prossima partita al San Paolo sugli spalti tutti con la “faccia” di Kalidou

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In questo video di un mese fa c’è il pensiero di Carlo Ancelotti sulla questione insulti e razzismo nel calcio

 

I cori razzisti per 90 minuti a San Siro (la cosiddetta Scala del Calcio) contro Kalidou Koulibaly che ha la pelle nera. Che è un campione educato e non viziato. Un grande atleta. Una persona perbene che esibisce in campo la stessa correttezza e signorilità che è la cifra della sua esistenza. I latrati discriminatori contro Napoli e i napoletani colpevoli di aver subito un terremoto con 3 mila morti nel 1980 e il colera. I ragli dei razzisti di San Siro che invece di acclamare Icardi hanno tifato per il Vesuvio, il vulcano che deve lavare col fuoco i napoletani, li deve sterminare. Cori che fanno più schifo del solito perchè intonati nella civilissima Milano nel giorno in cui sotto l’Etna ci sono migliaia di persone terrorizzate, che soffrono il freddo, che hanno perso la casa, la serenità e qualcuno anche il futuro.

Ecco, questo campionario di schifo razzista è stato la colonna sonora di San Siro prima, durante tutta la partita Inter – Napoli e dopo la vittoria dei nerazzurri. Tutto questo si sentiva in tv nitidamente. Si è sentito in maniera distinta sempre. L’unico che ha finto di non capire e non sentire è stato tal Gennaro Mazzoleni, l’arbitro designato dal duo Nicchi-Rizzoli  per dirigere una gara così importante pur avendo dei trascorsi col Napoli poco edificanti per come ha diretto alcuni match degli azzurri.

E non mi riferisco solo a quella finale di Pechino dove assistemmo a cose cinesi e “svizzere”.  Il calcio esprime passione, passioni ma mai si deve consentire di scendere ai livelli così infimi di San Siro. Quella vergogna razzista è stato lo spettacolo che l’Italia ha offerto a mezzo mondo collegato in diretta con lo stadio di Milano. E quand’anche Gennarino Mazzoleni abbia avuto così tanto pelo sullo stomaco da non voler sentire e vedere tutto il fango razzista schizzato a San Siro, nel mondo (in tutto il mondo) hanno visto, sentito e giudicato la “vergogna razzista italiana”.

Titolano così molti giornali nel mondo: spagnoli, inglesi, francesi, tedeschi, asiatici, africani. Se Mazzoleni, Rizzoli, Nicchi avranno la buona creanza di leggere qualche quotidiano internazionale che non è a “disposizione”, capiranno che il “loro” calcio è affetto da una malattia che forse non è “incurabile” come il cancro ma che se non la prendi in tempo e la curi con medicine forti evolve in metastasi che uccidono. I  vertici di Federcalcio (Gabriele Gravina e suoi collaboratori) che all’atto dell’insediamento hanno convocato gli “arbitri” e li hanno “invitati” ad applicare il regolamento per stroncare le discriminazioni razziali con la designazione di Mazzoleni e la sua direzione della gara hanno ricevuto una risposta molto chiara: ce ne freghiamo, siamo noi a decidere cosa fare se fanno ululati razzista contro un atleta di colore o cori razzisti contro i napoletani. Vediamo che cosa farà Gravina. Il silenzio di Aurelio De Laurentiis è davvero assordante.

Davanti a questo spettacolo occorre scegliere da che parte stare. Ci sono momenti in cui l’uso di un linguaggio politicamente corretto, neutro davanti allo scuorno che San Siro ha gettato sul calcio italiano nel mondo diventa adesione a questi schemi di vita di certi ambienti vergognosi e paludati della nostra società che vanno combattuti in maniera rigorosa, con norme serie e giudici seri che devono essere “costretti” ad applicare leggi e regolamenti. Il calcio italiano da tempo non è più un gioco ma una industria che muove interessi economici astronomici e richiama investimenti economici non sempre cristallini con società per azioni matrioska, scatole cinesi e casseforti svizzere che si aprono, si riempiono, si chiudono, si svuotano per ripulire denari la cui provenienza è pressoché sconosciuta. Ma di queste cose se ne stanno occupando i magistrati. Della questione razzismo, discriminazioni razziali su base etnica e territoriale nel calcio italiano speriamo che la Federcalcio se ne voglia davvero occupare seriamente. Non con le parole, come ha fatto finora. Quanto all’Aia (l’associazione italiana arbitri) e ai suoi ricchi stipendiati che quando li prendi in castagna menano il can per l’aia pur di non discutere di certi comportamenti disgustosi di suoi professionisti, credo sia inutile aspettarsi qualche segnale. Loro sono parte del sistema, ne sono la cinghia di trasmissione La questione, oggi, non è se l’Inter meritava di vincere o meno.

No, la verità è che c’è un arbitro che ha consentito per l’intero match cori razzisti contro un calciatore, ne ha consentito l’umiliazione, non ha mai fermato la partita, ha sempre e solo pensato a chiuderla in qualunque modo, facendo penosamente strame delle regole sportive, delle norme del codice penale e del buonsenso. Aveva ragione Aurelio De Laurentiis a pensare che la scelta di Mazzoleni per Inter Napoli non era una designazione arbitrale ma una provocazione del sistema. Perchè “‘o sistema” nel mondo del calcio, come tutti sanno, c’è. E pure quello, ne sono certo, se pensiamo di più alla libertà e meno alla pagnotta, lo possiamo debellare.

Striscioni razzisti. Ogni domenica, in ogni stadio, oltre ai cori razzisti bisogna sopportare la lettura di questo schifo

Ai rappresentanti del sistema oggi dico: andate a leggere o ascoltare qualunque giornale o telegiornale del mondo che si occupi di sport o anche generalisti e vi accorgete che questa mattina l’Italia è dipinta come un Paese razzista. Non per colpa del ministro dell’Interno che invece di lavorare pensa alla Nutella ed altre scemenze e si è dimenticato pure dove si trova il Viminale. No, cari antirazzisti un tanto al chilo. I giornali nel resto del mondo parlano del calcio italiano e dell’Italia. Parlano della partita giocata dal Napoli a San Siro. Parlano di Kalidou Koulibaly e del trattamento subito a Milano. Parlano della Milano da bere del sindaco progressista Beppe Sala che ieri era in tribuna a tifare e si è dimenticato di parlare della vergogna dei cori razzisti che come sindaco avrebbe dovuto condannare subito. Ma è in tempo oggi per dire qualcosina di politicamente corretto.

Ah, nelle edicole italiane i giornali di carta italiani, a giudicare dalle prime pagine (tutte) nessuno ha visto la partita. Non c’è un  solo titolo sulla vergogna di San Siro. Il mondo intero ha visto e sentito striscioni e  cori razzisti, le umiliazioni subite da Koulibaly, ma in Italia queste cose non sono arrivate sulle prime pagine. Si vede che non sono reputate importante.

Questo calcio, così com’è, è morto. E la mafia dei diritti tv, dello stipendificio di “‘o sistema”, dei commendatori e dei commentatori che parlano a gettoni se ne accorgeranno prima o poi. Quando il calcio sarà ripulito da razzismo e mafia, nessuno avrà bisogno più dei loro servigi.

Aurelio de Laurentiis. Il presidente del Napoli

A Napoli, ne sono certo, alla prossima partita interna, la città meno europea e meno occidentale dell’Italia, quella meno finanziata d’Italia con soldi dello Stato, si comporterà nella maniera più civile. Come sempre. Già so che vedremo migliaia di persone con maschere di Kalidou Koulibaly, per ribadire che essere neri non è una vergogna. Essere razzisti sì. E allora come ha scritto questo bravo, onesto, colto, perbene ragazzo senegalese che gioca a calcio nel Napoli, anche noi, come lui, siamo orgogliosi di essere neri, francesi, senegalesi, milanesi, jamaicani, napoletani ma soprattutto di essere uomini. Chi intona quei cori non lo sono.

Il razzismo nel calcio italiano sulle prime pagine dei giornali internazionali

Altri cori e altri striscioni. In questo video c’è l’accoglienza a Parigi dei tifosi del Psg dei tifosi ospiti del Napoli

 

 

 

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Assunta Scutto, la ragazza di Scampia, entra nella storia: è oro ai Mondiali di judo 2025 a Budapest/VIDEO

Primo titolo iridato per l’Italia nella categoria -48 kg, trionfo della judoka napoletana.

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L’Italia del judo scrive una pagina storica grazie a Assunta Scutto, che nella giornata inaugurale dei Campionati Mondiali 2025 a Budapest ha conquistato la medaglia d’oro nella categoria -48 kg, firmando il primo titolo mondiale assoluto italiano in questa classe di peso.

Primo oro mondiale per l’Italia nei -48 kg

La ventitreenne napoletana di Scampia ha così portato a sette il totale delle medaglie d’oro mondiali conquistate dalle atlete azzurre nella storia del judo. Per Scutto, già medaglia d’oro ai Mondiali juniores del 2021, si tratta del secondo trionfo iridato in carriera, dopo aver collezionato due bronzi (Tashkent 2022 e Doha 2023) e un argento (Abu Dhabi 2024) nelle precedenti edizioni senior.

Un percorso perfetto sui tatami magiari

Scutto, testa di serie numero uno del tabellone, ha beneficiato di un bye al primo turno e ha esordito ai sedicesimi di finale battendo la cilena Mary Dee Vargas Ley grazie a un waza-ari. Agli ottavi ha superato la mongola Ganbaatar Narantsetseg al golden score con un yuko dopo 1’35”, approfittando anche delle due ammonizioni alla rivale.

Nei quarti di finale, ha liquidato in appena 30 secondi la taipeiana Chen-Hao Lin con un ippon fulminante, vincendo così la Pool A.

La rivincita con Boukli e il trionfo finale

In semifinale, la judoka napoletana ha avuto la sua rivincita personale contro la francese Shirine Boukli, bronzo olimpico e avversaria che l’aveva sconfitta in due occasioni recenti: ai Giochi di Parigi 2024 e agli Europei di Podgorica. Questa volta, Scutto non ha lasciato scampo, vincendo per ippon dopo soli 56 secondi.

Nel combattutissimo gold medal match contro la kazaka Abiba Abuzhakynova, Susy ha gestito la pressione con freddezza, pescando un yuko e poi l’ippon decisivo a 13” dalla fine, chiudendo il match e salendo sul gradino più alto del podio.

Completano il podio la spagnola Laura Martinez Abelenda e la giapponese Wakana Koga, medaglie di bronzo.

L’Italia del judo sogna con Scutto

Assunta Scutto conferma il suo straordinario talento e si afferma tra le più grandi judoka al mondo nella sua categoria. Una campionessa nata a Scampia, cresciuta tra mille difficoltà ma capace, grazie al lavoro e alla dedizione, di portare l’Italia sul tetto del mondo.

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Achille Polonara, guerriero della vita e del parquet: ora la sfida è contro la leucemia mieloide

Achille Polonara ricoverato per leucemia mieloide: il campione della Virtus Bologna affronta una nuova sfida lontano dal campo. La squadra è pronta a dedicargli lo scudetto.

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Chiamarsi Achille, a volte, può essere un segno del destino. Un nome che racchiude forza, sacrificio e fragilità. Achille Polonara, a 33 anni, lo sa bene: il suo avversario oggi non è un altro giocatore in campo, ma un nemico silenzioso e spietato, la leucemia mieloide. Mentre la sua Virtus Bologna è avanti 2-0 nella finale scudetto e si gioca gara 3 a Brescia, lui è ricoverato al Sant’Orsola Malpighi di Bologna per ulteriori accertamenti.

Una nuova battaglia, dopo il tumore

Polonara pensava di aver già saldato il conto con la sorte. Solo nel 2023, infatti, aveva dovuto affrontare un tumore ai testicoli, scoperto per caso durante un test antidoping. Operato in ottobre, era tornato in campo già a dicembre, in tempo per riprendersi la maglia e ripartire. Ma la vita, ancora una volta, gli ha messo davanti una prova più dura.

Dal primo annuncio di mononucleosi alla diagnosi più seria, il passo è stato breve. La Virtus, in una nota, ha espresso piena vicinanza al suo giocatore: «Tutta la famiglia Virtus è vicina ad Achille ed ai suoi affetti ed augura al ragazzo una pronta guarigione».

La leucemia mieloide: cosa sappiamo

La leucemia mieloide si presenta in due forme: acuta (LMA) e cronica (LMC). La prima necessita di intervento tempestivo, poiché il midollo osseo produce cellule immature che bloccano quelle sane. La seconda, invece, può essere tenuta sotto controllo con terapie mirate, garantendo una qualità di vita normale.

Nel caso di Polonara, ancora non è stato reso noto di quale forma si tratti. Ma i medici hanno già avviato una fase di indagini approfondite. Il trapianto di midollo resta una delle possibilità, soprattutto per pazienti giovani e sportivi come lui.

Il guerriero Achille

In carriera, Polonara ha attraversato alte vette e profonde discese: 94 presenze in Nazionale, finali scudetto perse con Reggio Emilia, Sassari e Bologna, ma anche titoli vinti all’estero con Baskonia, Fenerbahce e Zalgiris. Il suo ritorno al basket, dopo il tumore, sembrava la fine del calvario. Ora, invece, ricomincia un’altra battaglia.

Accanto a lui, come sempre, ci sono la moglie Erika e i figli Vitoria (nome ispirato al club basco) e Achille Jr.. Una squadra affiatata, pronta a giocare la partita più importante. E se la Virtus dovesse vincere lo scudetto stasera, la dedica sarà inevitabilmente per lui, il guerriero che combatte anche lontano dal parquet.

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Il Napoli sogna in grande: occhi su Jadon Sancho e Darwin Núñez per l’attacco di Conte

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Si riparte. E serve una mossa forte. Il Napoli di Antonio Conte si prepara alla nuova stagione e vuole un attacco degno della SuperChampions. Il mercato è appena cominciato, ma Giovanni Manna, direttore sportivo azzurro, è già tra i più attivi. I riflettori sono puntati su due profili di livello che arrivano direttamente dalla Premier League: Jadon Sancho e Darwin Núñez.

Sancho, il talento smarrito che cerca rilancio

Jadon Sancho, classe 2000, è reduce da un’altra stagione deludente in Inghilterra. Dopo essere stato pagato oltre 80 milioni dal Manchester United per strapparlo al Borussia Dortmund, non è mai esploso. Nell’ultima stagione ha giocato in prestito al Chelsea, ma non ha convintoMarescaAmorim, i due tecnici che lo hanno gestito.

Il Napoli sta monitorando la situazione. Il canale con il Manchester United è attivo, dopo l’affare McTominay. Tuttavia, resta un ostacolo importante: l’ingaggio da oltre 15 milioni di euro percepito da Sancho. Impossibile da sostenere in Italia, ma una formula creativa potrebbe essere studiata per arrivare almeno a un prestito con parte dello stipendio coperto.

Darwin Núñez, più di un’idea: possibile affondo

Se Sancho è un’ipotesi da valutare, Darwin Núñez è molto più di una suggestione. Il Napoli lo segue da mesi, convinto che l’uruguaiano sia il profilo giusto per il progetto Conte. A Liverpool non ha convinto pienamente, nonostante 7 gol e 7 assist accanto a Salah nell’ultima stagione. Ma il potenziale resta enorme: 18 gol e 15 assist l’anno precedente, 15 reti all’esordio in Premier, e un passato da protagonista al Benfica con 34 gol in una stagione.

Il Liverpool chiede 60 milioni, ma il Napoli sa che si può trattare. A 40-45 milioni si può aprire una trattativa concreta. L’ingaggio da 5 milioni è nei parametri del club azzurro, che si prepara a tornare protagonista anche in Europa.

E Lukaku?

Romelu Lukaku resta al momento l’unico centravanti di riferimento. Ma le sirene estere – in particolare dalla Turchia – tornano a suonare. Ecco perché l’arrivo di un altro attaccante non è un piano B, ma una priorità reale.

Conte vuole doppia concorrenza in attacco, per una stagione che sarà lunga e intensa. E se Lukaku dovesse partire, Darwin Núñez diventerebbe immediatamente la prima scelta.

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