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Cinema

Italian Movie Award di Pompei, chiusura con parata di stelle del cinema: prossima tappa il 16 novembre a New York con John Turturro

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Chiusura con una parata di stelle del cinema all’Italian Movie Award, il festival del cinema italiano all’estero. Sul palco dell’Italian Movie Arena de La Cartiera di Pompei si sono alternati sul red carpet e si sono prestati al fuoco di fila delle domande e delle curiosità dei due conduttori, il direttore artistico Carlo Fumo e Luca Abete, attori e registi che in questo momento sono considerati tra i più interessanti per le loro interpretazioni o per aver firmato la regia di importanti film per il grande schermo o per il teatro.  L’appuntamento di New York, dal 16 al 20 novembre, è la tappa con cui si concluderà questa edizione 2019 dell’Italian Movie Award.
 “Il grande attore, cineasta, regista, cantante e artista a tutto tondo John Turturro, personaggio retrospettiva e testimonial d’eccezione, è la ciliegina sulla torta di questa XI esima edizione del Festival” spiega Carlo Fumo, regista e direttore artistico. “È l’anno più bello, quello della grande maturità, della crescita artistica e professionale dell’Italian Movie Award. Lo testimoniano – spiega Fumo – le presenze di grandi artisti come Diana del Bufalo, Luca Ward, Sergio Muniz, Paolo Conticini, Claudia Gerini o talenti emergenti come Ludovica Nasti, poco più che una bambina ma già meravigliosa attrice per la sua interpretazione de l’Amica Geniale di Saverio Costanzo e per quanto sta facendo in  altri lavori che vedremo a breve, come Anna Frank”. 
La chiusura dell’Italian Movie Award è stata affidata a Maurizio Casagrande, vincitore del Comedy Award.  L’attore e regista napoletano, noto anche per il suo storico sodalizio artistico con Vincenzo Salemme e Carlo Buccirosso, con i due conduttori Carlo Fumo e Luca Abete, ha ripercorso la sua vita artistica, raccontando al pubblico anche i suoi ricordi più significativi legati alle canzoni del momento. Musica che ha scandito la vita di Casangrande che da dieci anni è in giro per l’Italia con “E la musica mi gira intorno”, uno spettacolo di cui è regista e autore insieme a Francesco Vellonà.  “Lo spettacolo nasce da una riflessione fatta con un amico-  ha raccontato Casagrande a Carlo Fumo – se è vero che un uomo senza passato è un uomo senza futuro, non ricordare il passato può diventare una colpa grave. E così ho incominciato a giocare e a ricordare fatti e avvenimenti riascoltando le canzoni passate. È un successo da dieci anni questo spettacolo. Ancora me lo chiedono e ancora lo portiamo in scena”. 
Di grande interesse anche la partecipazione all’Italian Movie Award di un eccellente attore e di recente anche novello regista con un bel film di esordio dietro la macchina da presa. Parliamo di  Giorgio Tirabassi che ha firmato anche la regia de “Il Grande Salto“  prodotto da Bruno Frustaci. Per Tirabassi la regia “non è un punto di arrivo ma solo una evoluzione della professione di attore”. 
A chiudere l’Italian Movie Award a Pompei e a passare idealmente il testimone a New York, ci ha pensato Vinicio Marchioni, nella sera conclusiva, che ha visto sul palco anche due pezzi da novanta della comicità partenopea: Carlo Buccirosso e Francesco Paolantoni. 
L’attore romano ha discusso con i conduttori Fumo e Abete del film in programmazione, “Cronofobia”, opera prima di Francesco Rizzi ed ha parlato de “L’uomo del labirinto”, un film thriller diretto da Donato Carrisi girato con un cast stellare: Toni Servillo, Valentina Bellè e Dustin Hoffman. Un film che dovrebbe arrivare in sala alla fine del 2019.  Nel corso dell’intervista Marchioni ha rivelato che tra i suoi prossimi impegni c’è un documentario ispirato a Cechov, che mette insieme la sua opera nelle zone terremotate italiane grazie anche alle immagini inedite dormite dai Vigili del Fuoco. Ma c’è anche il teatro, con la messa in scena de “I soliti ignoti”, dove Marchioni interpreta il ruolo che fu di Vittorio Gassman e ne firma la regia. 
L’ultimo atto dell’Italian Movie Award è stata la registrazione di un saluto e di un messaggio di arrivederci a a New York a John Turturro. Protagonisti Vinicio Marchioni e tutto il pubblico presente nella Italian Movie Arena, regista ovviamente Carlo Fumo.

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Oppenheimer sbanca agli Oscar, il film su papà della bomba atomica fa incetta di premi

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‘Oppenheimer’ di Christopher Nolan sbanca gli Oscar: la pellicola porta a casa 7 statuette su 13 candidature, ma tutte le piu’ importanti – film, regia, attori maschili protagonista e non protagonista – e aggiunge premi prestigiosi a quello gia’ assegnato dal pubblico. Basato sul libro vincitore del premio Pulitzer ‘American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer’ di Kai Bird e Martin J. Sherwin, frutto di due decenni di ricerche, il film di Christopher Nolan parla di una delle figure piu’ geniali e controverse del XX secolo considerato il padre della bomba atomica.

In ‘Oppenheimer’ Nolan racconta in un film di tre ore, per meta’ in bianco e nero che ha incassato quasi un miliardo di dollari (958 milioni), la parabola e i dilemmi morali del grande fisico che fu a capo del Progetto Manhattan, attivato in gran segreto dagli Usa nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale, mentre le sorti del conflitto sembravano ancora favorire al Germania nazista. Il governo americano scelse il brillante scienziato, nato nel 1904 da genitori tedeschi di origini ebraiche, a capo del team riunito nei laboratori di Los Alamos, nel deserto del New Mexico. Un grande organizzatore, carismatico e competente, che paradossalmente fu ‘perseguitato’ fin dall’inizio della sua missione da sospetti di tradimento per le sue simpatie per il comunismo.

Nel suo team il regista inglese ha voluto alcuni collaboratori storici che, come lui, tornano a casa con l’Oscar: i produttori Emma Thomas e Charles Roven, il direttore della fotografia Hoyte van Hoytema, con cui gia’ aveva girato ‘Interstellar’, ‘Dunkirk’ e ‘Tenet’. E Jennifer Lame per il montaggio e il compositore Ludwig Goransson (gia’ Oscar per ‘Black Panther’).
Oltre al neo premio Oscar Cillian Murphy, ‘Oppenheimer’ ha un grande cast, a partire da Robert Downey Jr. (anche lui premiato con l’Oscar) nei panni del capo della Atomic Energy Commission, Lewis Strauss.

Poi Emily Blunt nella parte della moglie del fisico, Matt Damon in quelli del generale che diresse il Progetto Manhattan, Leslie Groves, e Florence Pugh nei panni di Jean Tatlock, l’amante dello scienziato, oltre a Gary Oldman nel ruolo del presidente Harry Truman (poco piu’ di un cameo, ma davvero magnifico) e Kenneth Branagh in quello di Niels Bohr, il padre della fisica quantistica.

Nel suo film, Christopher Nolan traccia un ritratto a volte un po’ didascalico e non privo di qualche inesattezza o omissione (il rapporto con Albert Einstein un po’ esagerato e quello con Enrico Fermi troppo sottovalutato) di Robert Oppenheimer, unica persona, il solo scienziato, in grado secondo il generale di brigata Leslie Groves che lo scelse come direttore del laboratorio della bomba di motivare gli scienziati di Los Alamos e di farsi seguire nel progetto forte del suo carisma e della sua tenacia. Oppenheimer colpi’ il generale per l’ampiezza delle sue conoscenze e, soprattutto, per quella che Groves considerava la sua praticita’. Piu’ di ogni altro scienziato con cui il generale aveva parlato, Oppenheimer sembrava capire cosa bisognava fare per passare da teorie astratte ed esperimenti di laboratorio alla realizzazione di una bomba nucleare.

Una cosa che tra tutti aveva capito forse il solo generale Groves che difese sempre Oppenheimer dagli attacchi di Fbi, servizi segreti e fanatici anticomunisti che ne chiedevano la sostituzione. Groves sapeva bene che Oppenheimer era un uomo eccezionale perfette per guidare il laboratorio. Non si trattava solo di un problema di fisica, infatti, bisognava realizzare un’impresa ingegneristica senza precedenti, che doveva progredire mentre si stavano ancora risolvendo i problemi teorici di base.

 

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Addio a Paolo Taviani, con Vittorio rigore e impegno civile

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Rigore e impegno civile: questa la cifra dei Taviani, la coppia più affiatata di tutte, quei fratelli toscani che scesero a Roma negli anni ’50 per cambiare il mondo e riuscirono a cambiare il cinema italiano. Dopo la scomparsa di Vittorio, il 15 aprile 2018, se ne va oggi a 92 anni, nella clinica villa Pia di Roma, dopo una breve malattia, anche Paolo. Lunedì 4 marzo la cerimonia laica funebre alla Promototeca del Campidoglio, dalle 10 alle 13. Il suo ultimo film, in solitario, “Leonora addio”, presentato in concorso a Berlino nel 2022, segue il rocambolesco viaggio delle ceneri di Pirandello, da Roma ad Agrigento, a quindici anni dalla sua morte: “Siamo cresciuti insieme io e Vittorio e sempre lavorando”, ha raccontato Paolo in quella occasione.

“Sento ancora dietro di me il suo fiato. Anche a lui piaceva molto il set e mi ricordo ci litigavamo le scene, quando toccava a me e avevo finito di girare cercavo la sua approvazione e confesso l’ho fatto anche adesso in questo primo film senza di lui”. Quel suo ultimo film lo ha voluto in bianco e nero, come in un ideale ritorno agli esordi di quel cinema, firmato Paolo & Vittorio Taviani, che fin dagli anni ’50 ha tracciato un’ideale linea di confine tra il magistero del Neorealismo e un nuovo cinema realista, volutamente ideologico e poetico insieme. Nati a San Miniato, vicino a Pisa, da una famiglia borghese, con padre avvocato e antifascista, i Fratelli Taviani arrivano a Roma con un’idea ben chiara nella testa: fare il cinema, suggestionati dalla scoperta di “Paisà” (Rossellini è il maestro dichiarato), emozionati da “Ladri di biciclette”.

“Quando il film uscì – ha raccontato Paolo – fu un altro innamoramento, e come in ogni innamoramento la fidanzata la si vuole vicina. Ma in provincia i film appaiono e si dileguano, i film italiani in particolare in quegli anni. E noi due l’abbiamo inseguito, quel film, in bicicletta, in treno, da Pisa a Pontedera a Livorno a Lucca. L’abbiamo visto e rivisto perché avevamo deciso di riscrivere a memoria la sceneggiatura, con i dialoghi, i carrelli, gli stacchi: volevamo possedere quel linguaggio”.

Ma sono modelli che poi si sono trasformati in consapevolezza interiore, tanto che i due fratelli hanno sempre negato di avere un solo riferimento e di amare soprattutto il confronto con la letteratura; anche la collaborazione con Valentino Orsini (al loro fianco all’esordio) e con il produttore più fedele (l’ex partigiano Giuliani De Negri) è sempre stato più un confronto ideologico che una guida estetica. Dal sodalizio sono nati film che hanno segnato la storia del cinema come il profetico “Sovversivi” sulla fine della fiducia cieca nel comunismo reale e il visionario “Sotto il segno dello scorpione” a cavallo con la repressione in Cecoslovacchia; hanno anticipato il fallimento dell’utopia rivoluzionaria attingendo alla storia del Risorgimento con “San Michele aveva un gallo” e “Allosanfan”. Nel 1977 hanno vinto la Palma d’oro con “Padre padrone” e otto anni dopo trionfano ancora a Cannes con il loro più grande successo, “La notte di San Lorenzo” (Premio speciale della giuria). È dell’84 il loro incontro con Pirandello e le novelle di “Kaos” seguito nel ’98 da “Tu ridi”; nel 2012 dopo una lunga parentesi che li ha visti confrontarsi con il racconto televisivo, hanno vinto il Festival di Berlino con “Cesare deve morire”.

L’ultima collaborazione è del 2017 con “Una questione privata” che Paolo dirige da solo, mentre il fratello Vittorio è costretto a rimanere a casa per la malattia che lo avrebbe portato via pochi mesi dopo. Da allora Paolo Taviani si è definito “un mezzo regista” perché metà di lui non c’era più sul set, si sentiva “un impiegato del cinema perché in fondo – spiegava – Vittorio ed io lavoriamo da sempre con certe regole e un certo ritmo, magari nel tempo rallentato dall’età che avanza ma sempre guidato da un rigore di fondo come quello degli impiegati di una volta. I film cambiano, io molto meno e continuo a pensare che facciamo questo mestiere perché se il cinema ha questa forza, di rivelare a noi stessi una nostra stessa verità, allora vale la pena di metterci alla prova”. Con oltre venti film alle spalle (senza contare documentari, pubblicità e qualche corto disperso come l’ultimo episodio di “Tu ridi”) altrettanti premi maggiori e un Leone d’oro alla carriera (nel 1986), i due fratelli hanno dimostrato che passione, costanza, rigore e fedeltà al reale possono essere premiati.

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Alessandro Magno è gay? La Grecia contro Netflix

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La Grecia è scesa in campo contro Netflix per un docudrama britannico su Alessandro Magno che suscita controversie sulla rappresentazione della relazione tra il grande condottiero macedone e il suo generale Efestione come un amore omosessuale. Lina Mendoni, ministra della Cultura del governo di Atene, ha bollato la serie televisiva “Alexander, the making of a god” (Alessandro, la creazione di un dio) come “una fiction di qualità estremamente bassa e pessimo contenuto, piena di inesattezze storiche”. Riguardo alla descrizione dei due protagonisti come gay, Mendoni ha sottolineato che “non c’è alcuna menzione nelle fonti dell’epoca di un rapporto che vada oltre l’amicizia”.

La questione è giunta al dibattito in Parlamento, dove Dimitris Natsiou, presidente di Niki, un partito cristiano ortodosso greco di estrema destra, ha condannato il serial come “deplorevole, inaccettabile, antistorico”, sostenendo che “l’obiettivo subliminale è dare un’idea dell’omosessualità come perfettamente accettabile nei tempi antichi, una tesi priva di basi”.

Sulle questioni sollevate dalle rappresentazioni storiche e sessuali della serie, gli specialisti offrono opinioni divergenti. Il professor Lloyd Llewellyn-Jones, docente di storia antica all’università di Cardiff, sostiene che “le relazioni fra persone dello stesso sesso erano decisamente la norma attraverso tutto il mondo greco”. Viceversa, Thomas Martin, docente di storia greco-romana al College of the Holy Cross, Massachusetts, nota che Omero non ha mai identificato Alessandro ed Efestione come amanti nell’Iliade, benché tale interpretazione sia stata avanzata successivamente.

Mentre alcuni esperti, come Martin e Christopher Blackwell della Furman University, ritengono che i rapporti omosessuali non fossero diffusi al tempo di Alessandro il Macedone, altri come Robin Lane Fox di Oxford sostengono che l’amore tra uomini non fosse fuori dalla norma. Tuttavia, tutti concordano sul forte legame tra Alessandro e il generale, testimoniato dalla testimonianza dei contemporanei.

La ministra Mendoni riconosce la complessità del concetto di amore nell’antichità ma respinge l’idea di intraprendere azioni contro Netflix, affermando che “non è compito del governo censurare, sull’arte ognuno può avere diverse opinioni”.

Questa controversia non è isolata: l’anno scorso, il ministro delle antichità egiziano criticò Netflix per la scelta di far interpretare Cleopatra da un’attrice nera nella serie “Queen Cleopatra”. Inoltre, la serie “The Crown” è stata oggetto di polemiche per presunte distorsioni storiche nella rappresentazione della famiglia reale inglese.

La discussione su come rappresentare accuratamente la storia attraverso i mezzi di intrattenimento continua a sollevare domande complesse sulla verità storica, l’interpretazione artistica e le sensibilità moderne.

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