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Italia rifiuta emendamenti a Regolamento Oms su emergenze

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Netto rifiuto da parte dell’Italia degli emendamenti del 2024 al Regolamento sanitario internazionale (Rsi) dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che introducono regole più stringenti per gli Stati membri in caso di emergenze sanitarie e pandemie. A comunicarlo è stato lo stesso ministro della Salute, Orazio Schillaci, con una lettera ufficiale del 18 luglio al direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus. Il nodo è la tutela della sovranità sanitaria nazionale. Analoga la posizione degli Stati Unititi, che ieri hanno rigettato gli emendamenti parlando di “violazione della sovranità americana”. Ma sulla decisione del governo Meloni è polemica, con le opposizioni che accusano l’esecutivo di “cecità politica” e “obbedienza cieca a Trump”. Gli emendamenti al Rsi del 2005 sono stati approvati in occasione della 77ª/ma Assemblea Mondiale della Sanità svoltasi a maggio del 2024 a Ginevra.

Prevedono disposizioni vincolanti per gli Stati membri: se non formalmente respinti entro il 19 luglio 2025, è previsto che entrino automaticamente in vigore nei paesi membri senza ulteriori passaggi parlamentari. Le modifiche introdotte includono una nuova definizione di ‘emergenza pandemica’ anche con l’attivazione di misure a discrezione dell’Oms, nuovi organismi di coordinamento, un quadro giuridicamente vincolante per rispondere alle emergenze di salute pubblica e “maggiore solidarietà ed equità”. Si punta, inoltre, sulla ‘preparazione sistemica’ che implica investimenti non solo in fase emergenziale e viene rivisto il modello del certificato internazionale. Come indicato dal Rsi 2005, queste modifiche entreranno in vigore il 19 settembre 2025, eccetto per quelle Parti che avranno notificato al direttore generale dell’Oms la loro decisione di rifiutare o di formulare delle riserve. “Ai sensi dell’articolo 61 del Regolamento sanitario internazionale (2005), per mezzo di questa lettera – si legge nella missiva di Schillaci a Ghebreyesus – le notifico il rifiuto di parte italiana di tutti gli emendamenti adottati”.

Non è il primo ‘no’ dell’Italia all’Oms. Gli Stati membri hanno infatti negoziato anche un nuovo accordo internazionale sulla risposta alle pandemie, approvato lo scorso 20 maggio dall’Assemblea Mondiale della Sanità con il voto favorevole di 124 paesi e l’astensione di 11, tra cui l’Italia, unico paese del G7 ad astenersi sull’accordo pandemico globale Oms. Il voto definitivo è previsto per il 2026. Stop alle modifiche del Rsi anche dall’Amministrazione Trump, che ha già deciso l’uscita degli Stati Uniti dall’Oms a partire dal 2026. Il ministro della Sanità, Robert Kennedy jr, ed il segretario di Stato, Marco Rubio, in una nota hanno sostenuto che “questi emendamenti rischiano di ostacolare indebitamente il nostro diritto sovrano ad elaborare la nostra politica sanitaria”. In Italia, si accende il dibattito politico. Fratelli d’Italia plaude alla decisione del governo rilevando che le modifiche in questione avrebbero comportato “una riduzione della sovranità nazionale in tema di politiche sanitarie”.

Parla di “poteri eccessivi riconosciuti all’Oms” il presidente dei senatori FdI, Lucio Malan: “Molte risorse economiche nazionali, in base agli emendamenti, avrebbero dovuto essere destinate a esigenze internazionali ad arbitrio del direttore Oms”, afferma. Opposta la posizione del M5s, per cui Meloni “svende a Trump gli interessi dei cittadini: Gli italiani, in caso di nuova pandemia, potrebbero trovarsi in difficoltà nei viaggi internazionali, con la possibilità di limitazioni, controlli o obblighi di rivaccinazione secondo i protocolli adottati invece da tutti gli altri”. Per il Pd, è una “decisione gravissima, che mette fuori il nostro Paese dal contesto internazionale. Un colpo durissimo alla cooperazione internazionale sanitaria”. Per Avs è una “scelta folle” che “abbatte il ruolo cruciale dell’Oms”. Un “segno di cecità politica e una concessione alle posizioni anti-scientifiche care all’amministrazione Trump”, incalza Azione. Critica anche Più Europa, mentre FI, sollecitata, ha preferito non commentare.

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In Evidenza

Elly Schlein e i cacicchi: il Pd tra trattative, convivenze forzate e leadership fragile

Elly Schlein alle prese con i cacicchi del Pd. Trattative in Toscana, Campania e Puglia svelano una convivenza obbligata con i signori delle correnti.

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Due anni dopo la sua elezione, Elly Schlein è ancora lì, a trattare, mediare, contrattare. Il bersaglio del suo primo, vibrante attacco pubblico da segretaria – i famigerati cacicchi del Partito Democratico – non solo non è sparito, ma continua a occupare saldamente i nodi nevralgici del potere interno. Anzi, oggi sembrano diventati interlocutori indispensabili, con cui persino la leader – volente o nolente – deve fare i conti.

BEPPE SALA SINDACO DI MILANO, ELLY SCHLEIN SEGRETARIA DEL PD

I cacicchi, quei capi in via d’estinzione (ma solo altrove)

Mentre Forza Italia li ha smarriti con l’età e il M5S li ha sempre rigettati per natura, nel Pd i cacicchi sopravvivono, eccome. Sono esperti, cinici, astuti, radicati, e – come sostengono molti osservatori – ancora necessari al fragile equilibrio del partito. Elly Schlein, che all’Eur li aveva evocati con disprezzo, oggi è costretta a trattarci, soprattutto in vista delle prossime regionali in Toscana, Campania e Puglia.

Il caso Giani: la segretaria si ferma al primo ostacolo

In Toscana, Elly avrebbe voluto archiviare Eugenio Giani, il governatore uscente. Il partito romano già faceva girare nomi alternativi. Ma Giani, politico di lunghissimo corso, annusa l’aria e si presenta all’appuntamento con la segretaria più solido che mai. Il faccia a faccia dura quattro ore. Alla fine, Giani esce soddisfatto, tronfio, e lancia un messaggio beffardo: «Volete sapere com’è andata? Chiedete a lei». Elly non risponde, incassa e passa oltre. Lo scontro è evitato, per ora.

ELLY SCHLEIN SEGRETARIA PD, EUGENIO GIANI PRESIDENTE REGIONE TOSCANA

Campania e la trattativa con il sultano

Il secondo campo minato è la Campania, dove Enzo De Luca, non più ricandidabile, urla da settimane contro la possibile investitura di Roberto Fico, già presidente della Camera in quota M5S. Ma poi De Luca incontra Schlein. E la musica cambia. Niente più urla, solo trattativa: De Luca accetta Fico, ma pone condizioni: un ruolo per il figlio Piero, la vicepresidenza della giunta regionale e l’assessorato alla Sanità. La politica del compromesso, versione dem.

I padroni del partito e le loro stanze segrete

Nel Pd, le correnti non sono più quelle di una volta, ma i cacicchi non sono mai davvero spariti. Andrea Orlando è ancora lì, a presidiare i rapporti con gli industriali. Dario Franceschini lavora nell’ombra dell’Esquilino, in un ex officina diventata quartier generale. Goffredo Bettini riceve nella sua biblioteca romana e dispensa consigli, interviste, critiche e visioni. Nessuno ha una carica ufficiale, ma tutti pesano. E Schlein, che voleva cambiare tutto, ha scelto la convivenza come strategia di sopravvivenza.

Puglia, serie tv in diretta

Nel tacco d’Italia, la situazione è da copione. Il candidato naturale, Antonio Decaro, non vuole con sé Michele Emiliano, governatore uscente e cacicco in purezza. Volano scintille. Dall’entourage della segretaria arriva una minaccia semi-seria: «Se non si calmano tutti, candidiamo Boccia!». Il clima è teso, ma vitale. La macchina del Pd non si ferma mai, pur tra scontri, trattative e colpi di teatro.

Oltre i cacicchi: nuovi volti e fermento nei territori

Nonostante tutto, il Pd è vivo. E attento a ciò che accade nei territori. A Roma Roberto Gualtieri cresce nei consensi, guidato dall’ombra influente di Claudio Mancini. A Napoli, Gaetano Manfredi è sempre più centrale. E mentre Beppe Sala è in difficoltà a Milano, si osserva il quadro con discrezione. Segno che, nonostante i cacicchi, il partito è in fermento. E la Schlein, pur schivando i conflitti diretti, ha imparato a muoversi dentro questo equilibrio fragile, sapendo che in fondo il Pd è (ancora) anche dei cacicchi.

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Roma Capitale, il governo accelera: poteri speciali alla città eterna

Il governo Meloni porta in Cdm la riforma costituzionale per Roma Capitale: poteri speciali su trasporti, turismo, urbanistica e sicurezza.

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Il governo si prepara a riscrivere la storia amministrativa della Capitale con una riforma costituzionale che assegnerà poteri speciali a Roma, rendendola capace di legiferare su materie finora riservate alle Regioni, come turismo, trasporti, urbanistica, commercio e sicurezza. Un progetto accarezzato da anni dalla politica italiana, ma mai concretizzato. Ora, però, il Consiglio dei ministri è pronto a dare il via libera al disegno di legge costituzionale voluto fortemente da Giorgia Meloni e messo a punto con Elisabetta Casellati e Roberto Calderoli.

Il nuovo status di Roma

Nelle intenzioni dell’esecutivo, Roma entrerà nell’articolo 114 della Costituzione come ente autonomo, accanto a Stato, Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane. Il Campidoglio potrà finalmente scrivere leggi proprie su competenze chiave, evitando il labirinto burocratico di autorizzazioni regionali. Sarà possibile, ad esempio, decidere il prezzo dei biglietti del trasporto pubblico o la gestione dei rifiuti senza passare per il filtro della Regione Lazio.

Il ruolo politico di Giorgia Meloni

Per la premier, la riforma ha anche un significato personale: la sua carriera politica prese slancio dalla candidatura a sindaco di Roma nel 2016. Oggi, a distanza di quasi dieci anni, la firma su questo provvedimento rappresenta un compimento simbolico e concreto di un impegno politico di lunga data, condiviso anche da parte del Partito Democratico.

Decentramento, non spezzettamento

Uno dei temi più discussi è l’autonomia dei municipi romani. Forza Italia aveva proposto bilanci separati per ciascun municipio, ma l’idea non ha convinto il sindaco Gualtieri, che ha insistito per mantenere l’unità della governance capitolina. Il compromesso trovato nel testo finale parla di un più sobrio “decentramento amministrativo”, da attuare in collaborazione con il Comune.

Il doppio binario normativo

La riforma costituzionale definirà i principi generali, ma una legge ordinaria dovrà stabilire i dettagli operativi e, soprattutto, le risorse economiche necessarie per rendere effettivi i poteri speciali. Il rischio, altrimenti, è che tutto resti sulla carta. Il governo assicura che la questione delle risorse verrà affrontata seriamente per evitare di creare una nuova scatola vuota istituzionale.

L’unità del centrodestra e il sostegno leghista

La riforma gode dell’appoggio compatto del centrodestra. Anche la Lega, che un tempo urlava “Roma ladrona”, oggi sostiene con convinzione il progetto. Calderoli, ministro delle Autonomie, ha sottolineato come la concessione di poteri speciali alla Capitale rientri in un disegno più ampio di autonomia e responsabilità. Il clima politico, dunque, è favorevole.

Verso il Parlamento

Dopo il probabile via libera in Consiglio dei ministri entro la pausa estiva, il disegno di legge sarà trasmesso al Parlamento. Meloni punta su un’ampia maggioranza trasversale, contando anche su consensi nell’opposizione. La sfida, ora, è mantenere l’equilibrio tra autonomia e funzionalità, per restituire finalmente a Roma il ruolo che le spetta come Capitale della Repubblica.

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Politica

Regionali Campania, Cirielli: «No ai trasformisti, la scelta sarà sui sondaggi»

Il viceministro Cirielli sul vertice del centrodestra: «Decisivi i sondaggi per la Campania. No ai trasformisti. Priorità: sanità, lavoro e trasporti».

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È attesa per domani la riunione dei leader del centrodestra per decidere le candidature alle prossime elezioni regionali. Ma secondo Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri e coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, non sarà ancora il giorno della scelta definitiva per la Campania: «Dubito che la partita si chiuda domani. Serve prima capire cosa farà l’altro campo. La decisione finale deve basarsi sui sondaggi, che vanno fatti anche in relazione all’avversario».

Candidature: sì ai più forti, ma no ai trasformisti

Cirielli, nome forte di Fratelli d’Italia per la presidenza della Regione Campania, non chiude la porta a soluzioni alternative, ma con una condizione: «Chi è il più forte lo diranno i sondaggi. Se emergerà un nome più forte del mio, lo sosterrò. Ma il candidato non potrà essere un trasformista che ha sostenuto De Luca». Porte aperte, dunque, ai civici o ad altri politici, ma solo se credibili e coerenti, non a chi ha condiviso il percorso con il presidente uscente e oggi tenta di riciclarsi.

De Luca, Pd e accuse di “clientelismo feudale”

Nel commentare la rinnovata unità del centrosinistra, Cirielli attacca frontalmente sia Vincenzo De Luca che il Partito Democratico: «Avevo detto che De Luca stava ricattando la sua coalizione e ho avuto ragione. Il Pd gli ha dato molto più di quanto avrebbe chiesto. Questo dimostra che la sinistra è solo alla ricerca del potere. De Luca ha perso ogni etica politica: dopo aver attaccato Fico, ora è pronto ad allinearsi pur di conservare il suo potere». Secondo il viceministro, il vero errore del governatore uscente è stato quello di «aver costruito un sistema feudale che ha esasperato il clientelismo in Campania».

Le priorità programmatiche di Fratelli d’Italia

Tre i punti fondamentali del programma delineato da Cirielli:

  1. Sanità: «Il diritto alla salute è violato. Serve meritocrazia per valorizzare i professionisti e far funzionare il sistema».

  2. Lavoro: «Giorgia Meloni ha favorito la crescita e l’occupazione, ma restano ritardi da recuperare, in particolare sull’occupazione giovanile e per chi è uscito dal mercato del lavoro».

  3. Trasporti: «La Circum è in crisi, le linee ferroviarie regionali disastrose e le arterie stradali abbandonate. Anche opere già finanziate sono state bloccate».

A questi temi, Cirielli aggiunge un impegno trasparente nella gestione della cosa pubblica, come tratto distintivo rispetto ai dieci anni di gestione deluchiana.

Liste elettorali: apertura a politica e società civile

Sul tema delle liste, Fratelli d’Italia punta a coinvolgere sia esponenti politici sia rappresentanti della società civile, con l’obiettivo di selezionare candidati radicati nei territori: «Ad oggi in ogni provincia abbiamo il triplo delle richieste di candidatura rispetto ai posti disponibili».

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