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Esteri

Israele ricorda il 7 ottobre, ma la guerra non si ferma

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Da un lato della recinzione cominciava la commemorazione delle vittime, dall’altro Hamas – seguendo un copione simbolico – lanciava dal sud della Striscia quattro razzi verso le comunità meridionali israeliane. Una mossa che porta la firma di Yahya Sinwar, evidentemente vivo e vegeto come ha confermato un report saudita in serata. Tre ore e mezza più tardi nella mattinata, una raffica di razzi Maqadmeh M90 è stata sparata da Gaza su Tel Aviv. Certo, nulla in confronto alle 5.000 bombe tirate in sequenza su Israele il 7 ottobre 2023. Ma è il messaggio che conta, secondo Hamas. “L’attacco dell’anno scorso ha riportato Israele al punto zero”, ha dichiarato l’alto funzionario politico rifugiato in Qatar Khaled Meshaal.

Pienamente allineato Ali Khamenei, la guida supera dell’Iran: “L’operazione alluvione Al-Aqsa ha riportato il regime sionista a 70 anni fa”, ha scritto su X in lingua ebraica. Poi le brigate al Qassam, braccio armato del gruppo fondamentalista dell’enclave, hanno rivendicato i Maqadmeh M90. Hezbollah, dal Libano, ha preso la palla al balzo per dire la sua in questa giornata che ricorderà per sempre la sconfitta di Israele, promettendo di continuare a combattere “l’aggressione dello Stato ebraico, un’entità cancerosa che deve essere eliminata”.

Nel mentre i suoi miliziani hanno continuato a lanciare decine di razzi sul nord di Israele. L’altro alleato di Teheran, il gruppo yemenita Houthi, non è stato da meno nell’accerchiamento: nel pomeriggio decine di sirene d’allarme sono scattate a Tel Aviv e in decine di località del centro del Paese per un missile terra-terra lanciato dallo Yemen. In tarda mattinata, il primo ministro Benyamin Netanyahu, in riunione con il governo per la ricorrenza, ha chiesto che la guerra in corso contro Hamas e Hezbollah venga chiamata ‘Guerra della rinascita’, cambiando il nome della campagna militare denominata finora ‘Spade di ferro’: “Questa è una guerra per la nostra esistenza. Il contrattacco contro i nostri nemici dell’asse del male dell’Iran è una condizione necessaria per garantire il nostro futuro e la nostra sicurezza”, ha dichiarato.

Durante l’incontro, Netanyahu ha acceso una candela in onore delle vittime, poi un minuto di silenzio. Dopo la recita di salmi e una preghiera per i soldati dell’Idf e gli ostaggi, i ministri hanno visto i filmati delle atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Il Forum delle famiglie ha rilasciato una dichiarazione in risposta alle parole di Bibi: “Vorremmo ricordare al premier che non può esserci e non ci sarà alcuna rinascita senza il ritorno di tutti gli ostaggi”. Dagli Usa intanto sono arrivate le parole di Matthew Miller, del Dipartimento di Stato, il quale rispondendo alla domanda se gli Stati Uniti sostengano la fine della campagna di Israele contro Hamas a Gaza, ha affermato che l’amministrazione non è per un cessate il fuoco unilaterale da parte di Israele, ma piuttosto per un accordo con Hamas che comporterebbe il rilascio dei restanti 101 ostaggi a Gaza.

Alla Casa Bianca anche Joe Biden e la first lady Jill hanno tenuto una cerimonia di accensione delle candele. Di fatto, le commemorazioni e i ricordi in patria, come in tutti i Paesi alleati di Israele, non hanno fermato neppure per un momento le operazioni militari dell’Idf contro Hamas e Hezbollah. Per quanto riguarda i piani relativi al terzo fronte, quello dell’Iran, nulla è trapelato su tempi, modi e obiettivi di un’operazione che si continua a considerare imminente. Mentre da Teheran è filtrata una sinistra minaccia nucleare. “In base ai principi islamici – ha scritto la rivista dell’ufficio di rappresentanza di Ali Khamenei nelle Guardie rivoluzionarie – non è consentito costruire e utilizzare armi nucleari, e l’Iran ha sempre annunciato che non lo farà. Ma se ci sarà la necessità di proteggere le vite, la proprietà e l’onore dei musulmani e del popolo iraniano, Teheran prenderà le misure necessarie e certamente rivedrà la sua politica”.

In serata l’Idf ha annunciato che circa 100 aerei da combattimento hanno lanciato una vasta ondata di attacchi aerei contro più di 120 obiettivi di Hezbollah nel Libano meridionale. Così come sono continuati i raid nella zona sud di Beirut, sei di seguito, dove si trovano i centri di comando del gruppo sciita. Quindi è arrivato l’avvertimento per i civili libanesi, un “avviso urgente” alle persone a nord di Sidone di spostarsi dalla costa verso sud poiché la Marina israeliana inizierà presto a operare contro Hezbollah dal mare. “Israele sta usando l’Unifil come scudi umani”, hanno denunciato da parte loro i miliziani, sostenendo di aver ordinato ai loro combattenti di non attaccare le truppe dell’Idf che si sarebbero spostate dietro a una posizione dei peacekeeper Onu vicino a un villaggio di confine libanese.

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Giudice sospende caso contro Trump per assalto al Capitol

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Tanya Chutkan, la giudice che supervisiona il caso contro Donald Trump per l’assalto al Capitol, ha accolto la richiesta del procuratore speciale Jack Smith di sospendere le procedure in corso e ha annullato tutte le scadenze pendenti nella fase pre-processuale. Un passo legato alla consolidata prassi del Dipartimento di Giustizia secondo cui un presidente in carica non può essere perseguito.

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Discussioni al Pentagono su come reagire a ordini illegali Trump

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Dirigenti del Pentagono stanno tenendo discussioni informali su cosa fare se Donald Trump dovesse dare un ordine illegale, come ad esempio dispiegare l’esercito internamente, e si stanno preparando all’eventualità che possa modificare le regole per poter licenziare numerosi funzionari pubblici di carriera. Lo riferisce la Cnn. Durante la campagna elettorale, Trump ha ventilato l’ipotesi di impiegare l’esercito contro i suoi nemici politici e anche per respingere i migranti al confine col Messico. La legge americana generalmente vieta l’impiego delle truppe attive per scopi di ordine pubblico. Esistono anche timori che possa smantellare il ruolo dei civili nel Pentagono e sostituire il personale licenziato con dipendenti scelti per la loro lealtà nei suoi confronti.

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Il futuro di Harris dopo la sconfitta

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Kamala Harris non pensa ancora al futuro. La ferita della sconfitta è ancora troppo fresca per consentirle di guardare avanti con lucidità. Ipotizzare la strada che intraprenderà, riferiscono amici e consiglieri, è prematuro ma la vicepresidente potrebbe avere varie opzioni fra cui scegliere una volta che i tempi saranno maturi. La possibilità che resti in politica è la più remota. Al momento anche solo pensare a una sua ricandidatura alle elezioni del 2028 appare un miraggio, considerata la facilità con cui Donald Trump ha vinto. Ma quattro anni in politica sono un’eternità e Harris ha accesso a una vasta rete di donatori che, se il mandato del presidente-eletto dovesse essere caotico, forse potrebbe sostenerla ancora nel cercare di realizzare il sogno di infrangere il soffitto di cristallo. Harris difficilmente – riporta il New York Times – potrebbe decidere di ricandidarsi per il Senato: i due senatori che rappresenteranno la California sono appena stati eletti ed è improbabile che lascino a breve. Nel suo stato Harris potrebbe aspirare a diventare governatrice, raccogliendo l’eredità di Gavin Newsom qualora decidesse, come si vocifera da tempo, di scendere in campo nel 2028.

Fra gli incarichi istituzionali c’è chi sogna che Joe Biden la nomini alla Corte Suprema prima del suo addio alla Casa Bianca. Un’ipotesi irrealizzabile visto che i democratici dovrebbero prima convincere la giudice Sonya Sotomayor a lasciare e poi premere sull’acceleratore per confermare Harris prima del 20 gennaio. Le ipotesi che, al momento, sono le più accreditate fra i sui alleati sono il settore privato, anche nei panni di lobbista, o l’ingresso in un think tank dove avrebbe la possibilità di portare avanti le sue cause senza le restrizioni imposte dal ruolo di vicepresidente di Biden. Harris potrebbe optare anche per scrivere un libro, sulla scia di quanto fatto da Hillary Clinton nel 2016 dopo la sconfitta contro Donald Trump. Quello che appare certo è che la vicepresidente, trascorsi questi ultimi 70 giorni alla Casa Bianca, si prenderà del tempo per sé stessa e per riflettere sulle sue prossime mosse fra passeggiate e cibo non consumato in aereo. Poco prima del voto, per l’esattezza il 27 ottobre, Harris aveva infatti chiarito che fra i suoi piani post-elezioni ci sarebbe stato “ingrassare qualche chilo”. “Mi stanno consumando”, aveva scherzato ignara di quello che l’avrebbe attesa solo qualche giorno dopo.

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