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Israele lavora alla tregua in Libano e coinvolge Mosca

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A solo cinque giorni dall’elezione del nuovo presidente americano, la macchina diplomatica internazionale sembra avere accelerato per arrivare a una tregua in Libano. Israele, secondo il sempre ben informato Channel 12, sta considerando molto seriamente la possibilità di un cessate il fuoco – forse limitato nel tempo – con l’organizzazione sciita filoiraniana Hezbollah. Sabato sera il ministro più vicino al premier, Ron Dermer, si è imbarcato per gli Stati Uniti dove si prevede che incontrerà il presidente eletto Donald Trump e i consiglieri, nel primo colloquio di un alto funzionario di Gerusalemme con i membri della nuova amministrazione. Nonostante il neo ministro degli Esteri Israeliano sia Gideo Sa’ar, succeduto a Israel Katz, Dermer agisce di fatto come capo della diplomazia.

Sul tavolo a Washington, dicono i commentatori, ci saranno le guerre a Gaza e in Libano, le tensioni tra Israele e Iran e uno degli argomenti che maggiormente stanno a cuore agli Usa: l’ampliamento degli Accordi di Abramo per promuovere la normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi. Da parte sua Benyamin Netanyahu in un video registrato ha fatto sapere che dal giorno delle elezioni americane ha già parlato tre volte con Trump: “Siamo d’accordo sulla minaccia iraniana in tutte le sue componenti e sul pericolo che essa rappresenta”, ha affermato. Nel frattempo in serata si è riunito il gabinetto di sicurezza per fare il punto proprio sugli sforzi in atto per un cessate il fuoco nel Paese dei cedri. Intanto, quello di Dermer è il secondo viaggio nel giro di pochi giorni per sondare il terreno e tessere un canovaccio guardando alla fine del conflitto sul fronte nord: il ministro nei giorni scorsi, ha riferito la radio militare, è stato segretamente a Mosca per rappresentare gli sforzi di Israele per uno stop dei combattimenti.

La Russia infatti è un attore importante in Siria, dove risiedono diverse frange di Hezbollah che tra l’altro controllano l’arrivo di armi provenienti dall’Iran. I colloqui a quanto sembra stanno andando avanti da più tempo, tenuto conto che una delegazione russa ha visitato Israele il 24 ottobre. Sabato, alcuni funzionari statunitensi hanno confermato a Ynet che ci sono stati progressi nei colloqui per porre fine ai combattimenti tra Israele e Hezbollah: “Le possibilità di una soluzione stanno aumentando sotto la guida di Amos Hochstein, inviato del presidente Joe Biden, e con l’incoraggiamento del presidente eletto Trump. C’è anche un grande sforzo per realizzare un piccolo accordo sugli ostaggi”, hanno detto. Diverse fonti americane stimano che Trump voglia vedere una soluzione in Libano ancor prima di insediarsi alla Casa Bianca il 20 gennaio e ha informato l’amministrazione Biden che si aspetta progressi per un cessate il fuoco. Nel mentre la famiglia allargata di Trump sta operando su più fronti: il consuocero del presidente eletto, padre del marito di Tiffany Trump, Massad Boulos (importante uomo d’affari libanese-americano) starebbe facendo la sua parte nei programmi di pacificazione del Medio Oriente a cui pensa Trump, a settembre ha parlato con Abu Mazen della soluzione dei due Stati.

Tuttavia un cessate il fuoco immediato non convince tutti in Israele: a cominciare dal leader del partito di opposizione Unità Nazionale Benny Gantz secondo cui il Paese dovrebbe ignorare le pressioni internazionali e l’esercito dovrebbe aumentare la pressione su Hezbollah. “L’obiettivo principale nel nord è far tornare i residenti sfollati”, “non dobbiamo accettare un cessate il fuoco unilaterale”. In questo contesto, da Beirut, il ministro degli Esteri Abdallah Bou Habib ha fatto sapere che il Paese è determinato a rispettare la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza e schiererà maggiori forze militari nell’area meridionale. Del resto, al momento i raid dell’Idf in Libano continuano, non solo nel sud ma anche a nord della capitale. In Siria un altro attacco ha ucciso Salim Ayash, alto comandante militare di Hezbollah già condannato dalla Corte dell’Aja per l’omicidio del primo ministro libanese Rafik al Hariri nel 2005.

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Putin non vede Assad e tratta per salvare le basi

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La bandiera del deposto regime è stata sostituita da quella degli ex oppositori anche sull’ambasciata siriana a Mosca, e la sede diplomatica ha detto di essere ora in attesa di “istruzioni” da parte del nuovo governo. Non ci poteva essere segnale più chiaro di come il vento sia cambiato ma anche dell’incertezza che regna sul futuro, mentre il Cremlino cammina sul filo del rasoio cercando di non voltare completamente le spalle all’ex presidente ma anche di salvare il salvabile, a partire dalle sue basi sul Mediterraneo. E’ stato Vladimir Putin a prendere personalmente la decisione di concedere asilo “per motivi umanitari” ad Assad e alla sua famiglia, ha detto il portavoce Dmitry Peskov.

Una decisione fatta filtrare nella serata di domenica da “una fonte” all’agenzia Tass. Nessun annuncio ufficiale, insomma, e nessun incontro previsto, almeno pubblico, tra Putin e il suo ex protetto. “Non c’è alcun colloquio del genere nell’agenda ufficiale del presidente”, ha sottolineato Peskov, rifiutando anche di precisare quando sia stato l’ultimo incontro tra i due, anche se i media siriani avevano parlato di una visita segreta di Assad a Mosca alla fine di novembre. Il copione rispecchia la necessità della leadership russa di cercare di creare o mantenere contatti con i nuovi padroni a Damasco, con l’obiettivo primario di salvare la base navale di Tartus – l’unica di Mosca sul Mediterraneo – e quella aerea di Hmeimim, nella vicina Latakia. “E’ troppo presto per parlarne, in ogni caso questo sarà argomento di discussione con coloro che saranno al potere in Siria”, ha osservato il portavoce.

Ma per capire chi saranno costoro anche Mosca dovrà aspettare la formazione del governo, soppesare il ruolo e l’importanza delle varie figure e le influenze esercitate da potenze regionali e mondiali. Per questo, ha affermato Peskov, mentre la Siria si avvia ad attraversare “un periodo molto difficile a causa dell’instabilità”, è “molto importante mantenere il dialogo con tutti i Paesi della regione”. Compresa la Turchia, il principale sostenitore dei ribelli e jihadisti che hanno rovesciato Assad. La Russia cerca dunque di riprendersi dallo shock per lo smacco subito. “Quello che è successo probabilmente ha sorpreso il mondo intero, e noi non facciamo eccezione”, ha ammesso Peskov.

Mentre il segretario generale della Nato, Mark Rutte, non ha resistito alla tentazione di punzecchiare Mosca, insieme con Teheran, accusandole di essersi dimostrate “partner inaffidabili” di Assad. I media e i blogger militari russi si sono mostrati quasi altrettanto impietosi nell’analisi di quanto successo, e dei costi che Mosca potrebbe essere chiamata a pagare. Emblematico il titolo dell’autorevole giornale del mondo imprenditoriale Kommersant: ‘La Russia ha perso il principale alleato in Medio Oriente’. Mentre il canale Telegram Rybar, che vanta legami con il ministero della Difesa, mette in guardia dalle conseguenze di una possibile perdita delle due basi. Sia quella di Tartus sia quella di Hmeimim “hanno svolto un ruolo logistico importante per le operazioni della Russia in Libia e nel Sahel”, sottolinea il blog. Un rimedio efficace potrebbe essere l’apertura di una nuova base a Port Sudan, sul Mar Rosso. “Ma la guerra civile in Sudan non è ancora finita, il che complica i negoziati in corso”, valuta Rybar. Mentre un porto sulla costa libica della Cirenaica, di cui si parla da tempo, sarebbe troppo lontano per garantire i rifornimenti regolari con aerei da trasporto a pieno carico.

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Tv, Jolani sceglie premier di Hts per governo transitorio

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Sarà Muhammad Bashir, e non l’esiliato ex premier siriano Riad Hijab o l’attuale primo ministro Muhammad Jalali, il capo del governo di transizione a Damasco. Lo riferisce la tv al Jazira nella capitale siriana secondo cui Muhammad Bashir è il premier del “governo di salvezza”, che da anni amministra nel nord-ovest siriano le aree sotto controllo di Hayat Tahrir ash Sham (Hts), guidata da Abu Muhammad Jolani (Ahmad Sharaa). La scelta di Muhammad Bashir sarebbe stata imposta, afferma la tv, dallo stesso Jolani.

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Siria, Russia: prematuro parlare mantenimento presenza militare

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È prematuro parlare del mantenimento della presenza militare russa in Siria, sarà un argomento da discutere con le autorità. Lo ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov (foto Imagoeconomica in evidenza). “È prematuro parlare di questo. In ogni caso, è un argomento da discutere con coloro che saranno al potere in Siria”, ha dichiarato Peskov ai giornalisti, aggiungendo che il governo siriano sta attraversando un periodo di trasformazione ed è ancora instabile. L’esercito russo in Siria sta facendo tutto il necessario per garantire la sicurezza delle basi militari, ha dichiarato il funzionario, aggiungendo che la sicurezza di queste basi è una questione molto importante.

Le autorità russe stanno facendo tutto il necessario per entrare in contatto in Siria con quanti possono garantire la sicurezza delle basi militari, ha aggiunto. Ieri i gruppi armati dell’opposizione siriana hanno conquistato la capitale Damasco. Il primo ministro siriano Mohammad Ghazi al-Jalali ha dichiarato che lui e altri 18 ministri hanno deciso di restare nella capitale. Al-Jalali ha inoltre dichiarato di essere in contatto con i leader dei gruppi militanti entrati in città. Il ministero degli Esteri russo ha dichiarato che Bashar al-Assad si è dimesso da presidente e ha lasciato la Siria dopo i negoziati con alcuni partecipanti al conflitto siriano.

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