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Israele arresta 2 gendarmi francesi, scontro con Parigi

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Israele e Francia sempre più ai ferri corti. Un nuovo incidente diplomatico si inserisce nelle tensioni che da settimane hanno inasprito i rapporti tra Benyamin Netanyahu ed Emmanuel Macron, reo agli occhi del premier israeliano di aver invocato a più riprese un embargo delle armi che lo Stato ebraico usa a Gaza a danno dei civili palestinesi. Due gendarmi francesi sono stati arrestati – sebbene brevemente – dalla polizia israeliana, proprio durante la visita del ministro degli Esteri di Parigi Jean-Noel Barrot che ha denunciato “una situazione inaccettabile”.

Per protesta il Quai d’Orsay ha annunciato la convocazione dell’ambasciatore di Israele in Francia. Tutto è cominciato quando la polizia è entrata “armata” e “senza autorizzazione” nel Santuario di Eleona, un sito gestito e amministrato dalla Francia sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme Est, come ha riferito lo stesso ministro che a quel punto si è rifiutato di entrare finché gli agenti armati non ne fossero usciti. Quando la delegazione ha lasciato la zona – ha poi spiegato il Quai d’Orsay in una nota – “due dipendenti del Consolato francese a Gerusalemme sono stati arrestati dalla sicurezza israeliana, pur essendo agenti con lo status diplomatico. Sono stati rilasciati dopo l’intervento del ministro”.

Il brusco arresto è stato filmato e postato su X da un giornalista sul posto: “Ne me touche pas! Don’t touch me!”, intima uno dei due francesi prima di essere messo a terra da un agente israeliano ed essere portato via in macchina, le mani legate.

“Questi comportamenti non sono accettabili. La Francia li condanna con vigore, tanto più che giungono in un contesto in cui Parigi fa tutto il possibile per adoperarsi in favore di una de-escalation delle violenze nella regione”, ha insistito il ministero francese. “Il sito di Eleona – ha poi affermato Barrot – non solo appartiene alla Francia da oltre 150 anni, ma la Francia ne assicura la sicurezza e la manutenzione con enorme cura. L’integrità dei domini di cui la Francia ha la responsabilità qui a Gerusalemme deve essere rispettata”, ha ammonito.

L’episodio riporta alla mente altre occasioni simili in cui si sfiorò l’incidente diplomatico. Nel gennaio 2020 lo stesso Macron ammonì i militari israeliani che gli impedivano di entrare nella Chiesa di Sant’Anna, un altro sito in territorio francese a Gerusalemme (sono quattro in tutto): “I don’t like what you did in front of me” (“Non mi piace ciò che avete fatto davanti a me”). Ma il più noto risale al 1996 quando l’allora presidente Jacques Chirac si rifiutò – proprio come Barrot oggi – di entrare nella Chiesa di Sant’Anna perché anche in quell’occasione erano prima entrati i militari armati. In una passeggiata tra i vicoli della Città Vecchia, circondato e sballottato dalla sicurezza israeliana, Chirac sempre più spazientito urlò in inglese agli agenti: “Volete che torni sul mio aereo? Volete che ritorni in Francia? E’ questo che volete? Non c’è un problema di sicurezza. Questa è una provocazione!”.

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Putin non vede Assad e tratta per salvare le basi

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La bandiera del deposto regime è stata sostituita da quella degli ex oppositori anche sull’ambasciata siriana a Mosca, e la sede diplomatica ha detto di essere ora in attesa di “istruzioni” da parte del nuovo governo. Non ci poteva essere segnale più chiaro di come il vento sia cambiato ma anche dell’incertezza che regna sul futuro, mentre il Cremlino cammina sul filo del rasoio cercando di non voltare completamente le spalle all’ex presidente ma anche di salvare il salvabile, a partire dalle sue basi sul Mediterraneo. E’ stato Vladimir Putin a prendere personalmente la decisione di concedere asilo “per motivi umanitari” ad Assad e alla sua famiglia, ha detto il portavoce Dmitry Peskov.

Una decisione fatta filtrare nella serata di domenica da “una fonte” all’agenzia Tass. Nessun annuncio ufficiale, insomma, e nessun incontro previsto, almeno pubblico, tra Putin e il suo ex protetto. “Non c’è alcun colloquio del genere nell’agenda ufficiale del presidente”, ha sottolineato Peskov, rifiutando anche di precisare quando sia stato l’ultimo incontro tra i due, anche se i media siriani avevano parlato di una visita segreta di Assad a Mosca alla fine di novembre. Il copione rispecchia la necessità della leadership russa di cercare di creare o mantenere contatti con i nuovi padroni a Damasco, con l’obiettivo primario di salvare la base navale di Tartus – l’unica di Mosca sul Mediterraneo – e quella aerea di Hmeimim, nella vicina Latakia. “E’ troppo presto per parlarne, in ogni caso questo sarà argomento di discussione con coloro che saranno al potere in Siria”, ha osservato il portavoce.

Ma per capire chi saranno costoro anche Mosca dovrà aspettare la formazione del governo, soppesare il ruolo e l’importanza delle varie figure e le influenze esercitate da potenze regionali e mondiali. Per questo, ha affermato Peskov, mentre la Siria si avvia ad attraversare “un periodo molto difficile a causa dell’instabilità”, è “molto importante mantenere il dialogo con tutti i Paesi della regione”. Compresa la Turchia, il principale sostenitore dei ribelli e jihadisti che hanno rovesciato Assad. La Russia cerca dunque di riprendersi dallo shock per lo smacco subito. “Quello che è successo probabilmente ha sorpreso il mondo intero, e noi non facciamo eccezione”, ha ammesso Peskov.

Mentre il segretario generale della Nato, Mark Rutte, non ha resistito alla tentazione di punzecchiare Mosca, insieme con Teheran, accusandole di essersi dimostrate “partner inaffidabili” di Assad. I media e i blogger militari russi si sono mostrati quasi altrettanto impietosi nell’analisi di quanto successo, e dei costi che Mosca potrebbe essere chiamata a pagare. Emblematico il titolo dell’autorevole giornale del mondo imprenditoriale Kommersant: ‘La Russia ha perso il principale alleato in Medio Oriente’. Mentre il canale Telegram Rybar, che vanta legami con il ministero della Difesa, mette in guardia dalle conseguenze di una possibile perdita delle due basi. Sia quella di Tartus sia quella di Hmeimim “hanno svolto un ruolo logistico importante per le operazioni della Russia in Libia e nel Sahel”, sottolinea il blog. Un rimedio efficace potrebbe essere l’apertura di una nuova base a Port Sudan, sul Mar Rosso. “Ma la guerra civile in Sudan non è ancora finita, il che complica i negoziati in corso”, valuta Rybar. Mentre un porto sulla costa libica della Cirenaica, di cui si parla da tempo, sarebbe troppo lontano per garantire i rifornimenti regolari con aerei da trasporto a pieno carico.

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Tv, Jolani sceglie premier di Hts per governo transitorio

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Sarà Muhammad Bashir, e non l’esiliato ex premier siriano Riad Hijab o l’attuale primo ministro Muhammad Jalali, il capo del governo di transizione a Damasco. Lo riferisce la tv al Jazira nella capitale siriana secondo cui Muhammad Bashir è il premier del “governo di salvezza”, che da anni amministra nel nord-ovest siriano le aree sotto controllo di Hayat Tahrir ash Sham (Hts), guidata da Abu Muhammad Jolani (Ahmad Sharaa). La scelta di Muhammad Bashir sarebbe stata imposta, afferma la tv, dallo stesso Jolani.

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Siria, Russia: prematuro parlare mantenimento presenza militare

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È prematuro parlare del mantenimento della presenza militare russa in Siria, sarà un argomento da discutere con le autorità. Lo ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov (foto Imagoeconomica in evidenza). “È prematuro parlare di questo. In ogni caso, è un argomento da discutere con coloro che saranno al potere in Siria”, ha dichiarato Peskov ai giornalisti, aggiungendo che il governo siriano sta attraversando un periodo di trasformazione ed è ancora instabile. L’esercito russo in Siria sta facendo tutto il necessario per garantire la sicurezza delle basi militari, ha dichiarato il funzionario, aggiungendo che la sicurezza di queste basi è una questione molto importante.

Le autorità russe stanno facendo tutto il necessario per entrare in contatto in Siria con quanti possono garantire la sicurezza delle basi militari, ha aggiunto. Ieri i gruppi armati dell’opposizione siriana hanno conquistato la capitale Damasco. Il primo ministro siriano Mohammad Ghazi al-Jalali ha dichiarato che lui e altri 18 ministri hanno deciso di restare nella capitale. Al-Jalali ha inoltre dichiarato di essere in contatto con i leader dei gruppi militanti entrati in città. Il ministero degli Esteri russo ha dichiarato che Bashar al-Assad si è dimesso da presidente e ha lasciato la Siria dopo i negoziati con alcuni partecipanti al conflitto siriano.

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