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Esteri

Iran, Trump ordina i raid contro Teheran ma poi li ferma “10 minuti prima” dell’attacco

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Tutto si e’ svolto in pochi drammatici minuti in cui mai, da quando la tensione tra Usa e Iran e’ tornata a salire alle stelle, il confine tra guerra e pace e’ stato cosi’ labile. Donald Trump e’ entrato nella Situation Room della Casa Bianca con l’ordine di attaccare, come rappresaglia per il drone americano abbattuto dalle forze di Teheran. Ma poco prima di dichiarare conclusa la riunione con i suoi generali e i suoi piu’ stretti collaboratori ha fermato tutto. Niente raid aerei, niente piu’ risposta militare punitiva, almeno per ora. A rivelare per primo la retromarcia last minute del presidente americano e’ stato il New York Times. Poi lo stesso tycoon ha confermato la versione via Twitter: “La scorsa notte eravamo pronti a colpire tre diversi siti, quando ho chiesto quante persone sarebbero morte. La risposta di un generale e’ stata 150 persone”, racconta Trump. Cosi’, “dieci minuti prima che partissero i bombardamenti li ho bloccati perche’ non li ho ritenuti proporzionati all’abbattimento di un drone senza pilota”. Ma a spiegare l’improvviso cambio di rotta non c’e’ solo la volonta’ di evitare molte vittime. Troppi i rischi di fronte a quello che davanti al mondo sarebbe comunque stato considerato un atto di guerra. Ma soprattutto troppe incognite, come l’incertezza su dove davvero stesse volando il velivolo senza pilota centrato dai missili iraniani: Washington continua a sostenere che era su acque internazionali, ma senza ancora avere le prove. Per Teheran, che ha diffuso le immagini dell’abbattimento, il drone avrebbe invece violato lo spazio aereo iraniano. Gli 007 Usa non hanno certezze, e proprio questo sarebbe uno dei motivi che ha indotto Trump a soprassedere sui raid e ad evitare il pericolo di un’escalation dalle conseguenze imprevedibili. A convincere il presidente, in una discussione che ancora una volta ha messo di fronte falchi e colombe dell’amministrazione Usa, sarebbe stato in particolare il segretario di Stato Mike Pompeo, stressando invece il concetto dell’efficacia di sanzioni economiche sempre piu’ dure per tagliare fuori l’Iran dal sistema finanziario internazionale. Trump sembra avere accolto il consiglio.

“Non ho fretta – ha scritto ancora su Twitter – noi siamo sempre pronti ad agire. Ma intanto le sanzioni stanno colpendo e altre ne abbiamo aggiunte”. Su queste ultime pero’ non e’ stata diffusa nessuna informazione. Che Trump stesse per attaccare davvero oppure il suo show faccia parte di una guerra psicologica per piegare gli ayatollah, l’allarme per i voli e’ scattato comunque, con le principali compagnie aeree internazionali che hanno annunciato il cambio di rotta di tutti gli aerei che sorvolano lo stretto di Hormuz ed il Golfo dell’Oman, da Lufthansa a British Airways, da Klm a Qantas, da Emirates a Ethiad. Anche Alitalia ha deciso di modificare la rotta dell’unico volo che passa sull’area, quello che collega Roma a New Delhi. La preoccupazione e’ giustificata. La tensione infatti resta altissima. E secondo molti commentatori per Trump e’ giunto davvero il momento della verita’ dopo aver innescato il nuovo corso conflittuale con Teheran stracciando l’accordo sul nucleare iraniano del 2015. Il tycoon dovra’ decidere se dare seguito alle minacce oppure tornare a percorrere la via della diplomazia, se seguire il suo istinto o far prevalere quel senso di giudizio e responsabilita’ che sono richiesti ad un presidente. Compito non facile, col tycoon stretto alla Casa Bianca e fuori tra fautori del dialogo e interventisti. Ad attaccarlo duramente per la sua retromarcia sui raid alcuni esponenti del partito repubblicano come Liz Cheney, figlia dell’ex vicepresidente Dick, che ha paragonato la mossa di Trump alla titubanza di Barack Obama sulla Siria nel 2012 e 2013: “Non aver risposto a una provocazione cosi’ grave puo’ rivelarsi un errore imperdonabile”.

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Esteri

Almeno 20 droni russi su Odessa, un morto

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Almeno una persona è stata uccisa e altre tre sono rimaste ferite la notte scorsa in seguito ad un massiccio attacco delle forze russe con una ventina di droni su Odessa, nell’Ucraina meridionale: lo hanno reso noto il sindaco della città, Gennady Trukhanov, e il capo dell’amministrazione militare regionale, Oleg Kiper. Nell’attacco, riporta Ukrainska Pravda, sono stati danneggiati alcuni condominii e uno è andato a fuoco. Secondo le informazioni finora disponibili, 5 persone sono state tratte in salvo dagli appartamenti in fiamme. Il Servizio di emergenza nazionale ha precisato che la vittima era una donna, riferisce Rbc-Ucraina.

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Esteri

Mbappé indagato a Parigi: sotto inchiesta cinque assegni a poliziotti della sicurezza

La procura di Parigi indaga su assegni firmati da Mbappé per oltre 180.000 euro a cinque agenti della sicurezza. Il sospetto è pagamento in nero per prestazioni private.

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La procura di Parigi ha aperto un’inchiesta su Kylian Mbappé, attaccante del Real Madrid e capitano della nazionale francese, per una serie di pagamenti sospetti destinati a cinque agenti della CRS (Compagnies Républicaines de Sécurité), impegnati nella sua protezione durante eventi pubblici e privati.

Gli assegni e il sospetto di pagamento in nero

Al centro delle indagini ci sono cinque assegni, emessi nel giugno 2023 da un conto bancario registrato a Monaco a nome di Mbappé, per un importo totale di 180.300 euro: 60.300 euro al comandante Mohamed Sanhadji, e 30.000 eurociascuno a quattro brigadieri.

Secondo l’IGPN, la “polizia della polizia”, l’obiettivo è chiarire se si tratti di compensi in nero per servizi di protezione privata, svolti al di fuori dei doveri istituzionali dei poliziotti, in violazione delle norme sull’esercizio della funzione pubblica.

L’entourage del calciatore: “Nessun pagamento per servizi privati”

La reazione dell’entourage del fuoriclasse francese non si è fatta attendere. In un comunicato ufficiale, si afferma che il comandante Sanhadji non avrebbe ricevuto nessun compenso per servizi privati: «Ha agito come rappresentante ufficiale della Repubblica francese e della Federazione di calcio, come aveva già fatto con altri giocatori prima di Kylian».

Il team di comunicazione del calciatore insiste sul fatto che non vi siano state contropartite, ma solo un gesto di gratitudine per l’impegno di chi lavora dietro le quinte con serietà e discrezione.

“Un dono legato al bonus dei Mondiali”

Le somme, secondo la ricostruzione fornita, farebbero parte del premio legato alla partecipazione alla Coppa del Mondo 2022 in Qatar, dove Mbappé fu protagonista assoluto con tre gol in finale contro l’Argentina. «Tutti i membri dello staff hanno ricevuto un bonus post-Mondiali – spiega il comunicato – tranne loro. Questo dono è stato fatto per spirito di equità».

Il ruolo di Mohamed Sanhadji, detto “Momo la République”

Sotto la lente degli investigatori c’è in particolare Mohamed Sanhadji, 56 anni, storico uomo della sicurezza dei Bleus dal 2004, soprannominato “Momo la République” e insignito della Legion d’onore nel 2021. Le telecamere lo hanno ripreso al fianco di Mbappé durante viaggi privati in Camerun e nel Vaucluse. È su queste presenze e sul contesto dei pagamenti che si concentra l’indagine.

Un caso tra sport, istituzioni e immagine pubblica

L’inchiesta, ancora in fase preliminare, rischia di scuotere non solo l’immagine di Mbappé, ma anche l’ambiente della Nazionale francese e il delicato equilibrio tra funzioni pubbliche e relazioni personali. In attesa di chiarimenti ufficiali, resta il dubbio: riconoscenza o retribuzione mascherata?.

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Cronache

Argentina, la Cassazione annulla il carcere per ex Br Leonardo Bertulazzi

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La Camera argentina di Cassazione penale ha annullato la decisione della giudice María Servini che aveva revocato i domiciliari dell’italiano 73enne, ex Br, Leonardo Bertulazzi, ordinandone la detenzione in carcere per rischio di fuga. Con voto favorevole dei giudici Angela Ledesma e Alejandro Slokar — e contrario di Guillermo Yacobucci — la Cassazione ha accolto il ricorso della difesa di Bertulazzi, ordinando un nuovo pronunciamento che consideri la sua età avanzata e il suo status di rifugiato ancora vigente. L’ex brigatista, di cui l’Italia ha chiesto l’estradizione, attende ora la decisione del tribunale amministrativo sul suo status.

Lo scorso 1 luglio, la Corte Suprema argentina aveva espresso parere favorevole all’estradizione in Italia di Leonardo Bertulazzi, agli arresti domiciliari dal 29 agosto scorso, proprio sulla base della revoca dello status di rifugiato, accogliendo il parere favorevole espresso dal Procuratore della Repubblica, Eduardo Casal, che riteneva “infondate” le ragioni espresse dalla Difesa dell’ex brigatista nell’appello contro una prima sentenza favorevole all’estradizione della stessa giustizia federale. La stessa Corte precisava ad ogni modo nella sentenza che la decisione sull’estradizione non riguardava invece il ricorso presentato dall’ex Br sulla revoca dello status di rifugiato che rimaneva quindi ancora aperto.

Il 29 agosto scorso, mezz’ora prima di essere arrestato, l’uomo si era visto revocare la decisione amministrativa che sostiene il suo status di rifugiato, una misura tuttavia non completa perché, come spiegato adall’avvocato specializzato in diritti umani Rodolfo Yanzón, la perdita definitiva dello status dipende dalla conferma delle autorità giudiziarie amministrative, come confermato poco fa dalla Camera argentina di Cassazione penale. Ora si allungano i tempi per l’estradizione di Berulazzi in Italia, dove l’ex Br non sarà automaticamente portato in carcere per scontare la pena (era stato condannato a 27 anni di carcere in contumacia) ma avrà diritto a un nuovo processo per i fatti di cui è accusato, vale a dire il sequestro dell’imprenditore genovese Pietro Costa del 1977 e la partecipazione a banda armata nelle Brigate Rosse (Br).

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