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Cultura

Intelligenza artificiale e democrazia: perché la trasparenza non è un’opzione

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Ogni giorno, milioni di decisioni che influenzano la vita di cittadini e imprese vengono prese da sistemi di intelligenza artificiale, spesso senza che sia chiaro su quali basi. Quanto sono trasparenti i criteri alla base di queste scelte automatizzate? È una domanda cruciale, soprattutto ora che anche la Pubblica Amministrazione affida a questi strumenti valutazioni, selezioni, previsioni e decisioni.

Cosa significa davvero trasparenza

La trasparenza in ambito IA non è uno slogan: vuol dire rendere visibili e comprensibili i criteri, i dati e le logiche che portano un sistema a generare un output. È un principio essenziale per gli algoritmi predittivi tradizionali, ma lo è ancor di più per i nuovi modelli generativi e Large Language Models (LLM), utilizzati per sintetizzare diagnosi mediche, suggerire investimenti o prendere decisioni amministrative.

Quando un algoritmo incide su diritti o risorse, la trasparenza non è facoltativa: è una garanzia di equità e controllo. Senza trasparenza, i cittadini non possono verificare se la decisione è corretta, discriminatoria o arbitraria. Con trasparenza, invece, si apre lo spazio per la fiducia, la correzione e la responsabilizzazione.

Strumenti per la trasparenza: Model card, XAI e audit

Per rendere chiari i meccanismi decisionali, esistono diversi strumenti. Le model card descrivono scopi, dati, metriche e limiti di un modello. Le tecniche di eXplainable AI (XAI) aiutano a capire quali fattori hanno pesato su una determinata decisione. Gli audit indipendenti, infine, sono fondamentali per individuare bias e discriminazioni prima che provochino danni reali.

Questo è particolarmente vero per i modelli LLM, che possono “confabulare”: produrre affermazioni errate, pur con tono credibile. Senza accesso alle fonti e ai processi decisionali, diventa difficile distinguere verità da errore.

Anche i dati devono essere tracciabili

Non basta aprire la “scatola nera” dell’algoritmo: bisogna sapere anche da dove arrivano i dati. Le datasheet for datasets permettono di tracciare l’intero ciclo di vita dell’informazione e prevenire distorsioni sistemiche.

Il rischio altrimenti è concreto: un algoritmo può perpetuare discriminazioni anche senza usare dati vietati. Un esempio? Nel 2021 uno studio ha scoperto che alcuni algoritmi di pricing delle assicurazioni auto penalizzavano i nati all’estero, semplicemente per la struttura dei dati. A parità di condizioni, un conducente straniero pagava anche mille euro in più. Nessuno se n’era accorto, proprio per la mancanza di trasparenza.

La trasparenza è una responsabilità

Rendere trasparente un sistema di IA non è solo un compito tecnico, ma un dovere etico e politico. È anche un obbligo normativo sempre più stringente, che punta a evitare abusi e garantire che le macchine restino al servizio dell’uomo. Se le decisioni delle macchine non sono leggibili e giustificabili, la democrazia digitale rischia di diventare un’illusione.

In un mondo dove le scelte automatizzate sono sempre più pervasive, la trasparenza è l’unico modo per tenere insieme tecnologia e diritti.

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Cultura

Tutti pazzi per i Beatles: 60 anni fa il leggendario concerto del Vigorelli

Il 24 giugno 1965 la beatlemania travolse Milano. Ora quella giornata rivive in una mostra fotografica.

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Sessant’anni fa, il 24 giugno 1965, Milano fu teatro di un evento destinato a entrare nella leggenda della musica: il doppio concerto dei Beatles al Velodromo Vigorelli. Non fu un’impresa semplice. All’epoca il quartetto inglese era ritenuto da alcuni ancora poco conosciuto in Italia, e la loro prima tappa italiana fu accompagnata da qualche scetticismo. Ma bastarono poche ore per capire che anche il pubblico italiano era pronto a farsi travolgere dalla Beatlemania.

Ora quell’epopea rivive in una mostra fotografica promossa da Intesa Sanpaolo, visitabile dal 24 giugno al 7 settembre alle Gallerie d’Italia di Milano, in Piazza Scala. La mostra, curata da Barbara Costa, responsabile dell’Archivio Storico della banca, si intitola: “Tutti pazzi per i Beatles. Il concerto del 1965 a Milano nelle fotografie di Publifoto”.

Le immagini che raccontano un mito

La rassegna espone 62 fotografie restaurate e digitalizzate tratte dall’archivio dell’agenzia Publifoto. In totale sono oltre 500 gli scatti custoditi e ora resi accessibili anche online (https://asisp.intesasanpaolo.com/publifoto/). Le immagini raccontano non solo i due concerti (uno alle 16, l’altro alle 21), ma anche l’arrivo del gruppo alla Stazione Centrale di Milano, la conferenza stampa al Grand Hotel Duomo, e soprattutto l’entusiasmo contagioso dei fan italiani.

«Publifoto è un giacimento straordinario di immagini che racconta la storia del Paese anche nei suoi momenti più euforici», spiega Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo. «Le fotografie che catturano i Beatles in Italia ci parlano ancora oggi con forza e freschezza».

L’arrivo, la folla, la magia

Il 23 giugno 1965, i Beatles arrivarono a Milano da Lione. Duemila fan li attendevano in stazione. Il fotografo Tino Petrelli li immortalò stipati tutti insieme su un’unica Alfa Romeo Spider, travolti dalla calca. Il giorno dopo, le foto con il Duomo sullo sfondo e la conferenza stampa anticiparono l’esibizione al Vigorelli.

Per documentare lo storico evento, Publifoto ingaggiò sei fotografi: oltre a Petrelli, anche Sergio Cossu, Gianfranco Ferrario, Carlo Fumagalli, Benito Marino ed Eugenio Pavone. Le immagini parlano da sole: un’Italia in fermento, la gioventù che si affaccia al mondo globalizzato, e l’eco di una rivoluzione musicale già leggenda.

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Cultura

Addio ad Arnaldo Pomodoro, genio della scultura italiana

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Arnaldo Pomodoro (foto Imagoeconomica)  è stato uno degli artisti italiani contemporanei più noti, riconoscibili e apprezzati a livello internazionale. Le sue sculture, a partire dalla celebre Sfera, sono diventate simboli urbani, installate nei luoghi più rappresentativi del mondo: dal Cortile della Pigna dei Musei Vaticani al Palazzo delle Nazioni Unite a New York, fino alla Farnesina a Roma e al lungomare di Pesaro, dove la sua “Sfera Grande” è ormai parte dell’identità cittadina.

Un universo nascosto nel metallo

La sua arte unisce la perfezione esterna del metallo splendente con un cuore di fragilità, mistero e meccanismo interno. Le sue opere – sfere, obelischi, dischi, labirinti – esprimono visivamente quella complessità che Pomodoro stesso sintetizzava in una frase: “L’arte è un labirinto”. Dentro la superficie levigata, si nasconde un universo segnato da fratture, tensioni, architetture nascoste.

Le origini e la formazione

Nato il 23 giugno 1926 a Morciano di Romagna, Pomodoro aveva iniziato gli studi come geometra. Si appassiona presto ai metalli e inizia come orafo. Il trasferimento a Milano nel 1954 segna la svolta: stringe legami con Lucio Fontana e fonda il gruppo Continuità, iniziando a lavorare su forme segniche che superano i confini tra bidimensionale e tridimensionale.

Dal teatro all’arte pubblica

Nel tempo, la sua arte si espande fino a toccare la scenografia teatrale, come per la storica Semiramide di Rossini al Teatro dell’Opera di Roma (1982) o per le Orestiadi di Gibellina nel 1985. Resta memorabile anche il suo lavoro su Edipo Re di Stravinsky a Siena, con una scenografia dominata da un gigantesco occhio. Celebre anche il guanto-scultura per Ornella Vanoni, esempio di commistione tra arte, gioielleria e moda.

Opere simboliche e imponenti

La sua produzione si estende anche a interventi religiosi e istituzionali: tra i tanti, il portale bronzeo del Duomo di Cefalù (1998), gli arredi sacri nella chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo in collaborazione con Renzo Piano, il Disco Solare donato alla Russia nel 1991, e il cimitero di Urbino. L’ultima grande mostra, nel 2023, è stata realizzata con Fendi al Palazzo della Civiltà Italiana a Roma.

Il ruolo della Fondazione

La Fondazione Arnaldo Pomodoro continuerà il lavoro iniziato dal maestro, come sottolinea la direttrice Carlotta Montebello: “Mancherai a tutti noi Arnaldo e faremo tesoro dei tuoi insegnamenti”. La Fondazione continuerà a diffondere il suo lascito artistico e intellettuale attraverso mostre, eventi e attività educative.

Il cordoglio delle istituzioni

Numerosi i messaggi istituzionali. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato di “un grande vuoto nel mondo dell’arte”. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha ricordato come “la sua arte ha scolpito l’anima dell’Italia”. Per il ministro della Cultura Alessandro Giuli, “l’Italia perde un protagonista indiscusso della scultura contemporanea”.

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Cultura

Addio ad Arnaldo Pomodoro: il grande Maestro della scultura si è spento a 99 anni

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Arnaldo Pomodoro, uno dei più grandi scultori del Novecento e voce autorevole del panorama artistico internazionale, è morto ieri sera, domenica 22 giugno, nella sua casa di Milano all’età di 99 anni. A darne notizia è stata la Fondazione che porta il suo nome.

“Con la scomparsa di Arnaldo Pomodoro il mondo dell’arte perde una delle sue voci più autorevoli, lucide e visionarie,” ha scritto la Fondazione. “Il Maestro lascia un’eredità immensa, non solo per la forza della sua opera, riconosciuta a livello internazionale, ma anche per la coerenza e l’intensità del suo pensiero, capace di guardare al futuro con instancabile energia creativa”.

Nato a Morciano di Romagna nel 1926, Pomodoro ha segnato in modo indelebile la storia dell’arte contemporanea. Le sue celebri “Sfere” – sculture monumentali in bronzo dal cuore fratturato e meccanico – campeggiano nelle piazze di tutto il mondo, da Roma a New York, da Copenaghen a Tokyo. Con il suo linguaggio scultoreo inconfondibile, fatto di materia, equilibrio e tensione interna, Pomodoro ha dato forma a una visione del mondo moderna, potente e carica di significati.

Ma il suo contributo non si è fermato all’arte plastica. Con la creazione della Fondazione Arnaldo Pomodoro, l’artista ha voluto tracciare un percorso duraturo di riflessione, confronto e promozione della cultura. “La Fondazione, nata da questa visione e forte della direzione tracciata da Arnaldo Pomodoro nel corso di trent’anni – si legge ancora nel comunicato –, continuerà ad operare secondo la volontà del fondatore, garantendo la conservazione e la valorizzazione della sua opera, impegnandosi a diffondere il proprio patrimonio materiale e immateriale attraverso la realizzazione di mostre, eventi e iniziative in uno spazio inventivo, quasi sperimentale, di studio e confronto sui temi dell’arte e della scultura, che mira a un coinvolgimento, profondo e globale, con le persone e la società”.

L’Italia e il mondo dell’arte perdono un Maestro vero, capace di lasciare un segno duraturo non solo nel bronzo e nel marmo, ma anche nelle menti e nei cuori di generazioni di artisti e appassionati. “Mancherai a tutti noi Arnaldo, e faremo tesoro dei tuoi insegnamenti,” conclude la Fondazione.

Arnaldo Pomodoro ci lascia con un’eredità culturale e umana di straordinario valore. Le sue opere continueranno a parlare per lui, a suscitare domande, emozioni e pensiero. Un addio che pesa, ma anche un invito a non smettere mai di creare, esplorare, immaginare.

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