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Cronache

Inferno iraniano di Cecilia Sala: interrogatori incappucciata faccia a muro

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Interrogatori infiniti “incappucciata con la faccia rivolta al muro”, mentre in isolamento “temevo per i miei nervi”, passando il tempo a “leggere le istruzioni delle buste o a contare le dita delle mani”. Per la prima volta dal suo rilascio, Cecilia Sala decide di raccontare in tv i suoi 21 giorni di detenzione nel carcere di Evin, in Iran, fatti di accuse e paure, di speranze e timori. Intervistata da Fabio Fazio a ‘Che tempo che fa’ ripercorre quei momenti, senza mai dimenticare tutte quelle persone ancora detenute “che non hanno la fortuna di avere alle spalle un Paese che ti protegge e si prende cura di te”. Per sopravvivere – afferma – “ho pensato alle cose belle della mia vita e al fatto che prima o poi le avrei riavute”.

Ma ora, conclude, “non tornerò in Iran, almeno finché ci sarà la Repubblica Islamica”. Parlando della detenzione spesso le si rompe il fiato, l’emozione prende il sopravvento quando ripercorre con la mente “il tempo che ti spezza”, come dice lei stessa. “Mi hanno prelevata nella mia camera d’albergo mentre stavo lavorando – racconta -. In macchina ero incappucciata con la testa abbassata verso il sedile. Ho capito che mi stavano portano in carcere dal rumore del traffico e dalla strada che stavamo facendo”. Solo il giorno successivo le è stato concesso di fare le telefonate di rito all’ambasciata o ai familiari “per giustificare la mia sparizione”.

“Nei primi 15 giorni della detenzione mi interrogavano tutti i giorni – spiega -. Il giorno prima del rilascio mi hanno tenuta dieci ore di fila, sempre incappucciata. In uno degli interrogatori sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi. Mi interrogava sempre la stessa persona in perfetto inglese e da quello che diceva capivo che conosceva molto bene l’Italia”. L’isolamento è stato il momento più drammatico, con i rumori “strazianti” che arrivavano dalle altre celle, “pianti” o “tentativi di farsi del male”. “In una cella accanto c’era una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere più forte che poteva la testa contro la porta – racconta -. Durante una telefonata a Daniele (il compagno, ndr) gli ho detto di avere paura per la mia testa, avevo paura di perdere il controllo”.

Le preoccupazioni più grandi, ricorda ancora, erano legate alla crisi mediorientale e all’imminente insediamento di Donald Trump. “Era un conto alla rovescia che mi spaventava tantissimo. Se avesse detto pubblicamente che voleva ritorsioni contro qualche iraniano – le sue parole – la mia situazione poteva complicarmi moltissimo”. “Ho capito di essere un ostaggio – continua – quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l’unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione”. Durante l’intervista si è parlato anche del presunto coinvolgimento di Elon Musk.

“Nessuno della mia famiglia ha mai parlato con Elon Musk – ha detto -. Il mio compagno ha contattato il referente, Andrea Stroppa, chiedendogli se potesse far arrivare la notizia a Musk, che qualche mese prima aveva incontrato l’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, un evento storico dopo la crisi del ’79. Gli ha chiesto se potesse fare arrivare la notizia e l’unica risposta ricevuta è stata ‘informato'”.

Chiudendo l’intervista, la giornalista ricorda la sua diffidenza quando, la mattina dell’8 gennaio, le comunicano che sarà rilasciata. “Pensavo che le persone che mi erano venute a prendere fossero i pasdaran e non l’intelligence iraniana – dice -. Credevo mi stessero portando in una delle loro basi militari, quando poi all’aeroporto militare mi hanno sbendata e ho visto una faccia italianissima con un abito grigio ho fatto il sorriso più grande della mia vita”. Lo stesso che ha riservato poi al compagno e ai genitori in quell’abbraccio indimenticabile sulla pista dell’aeroporto di Ciampino.

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Uccide la compagna a coltellate e tenta il suicidio

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Ha accoltellato a morte la convivente e poi ha tentato il suicidio gettandosi dalla finestra della palazzina dove la coppia viveva, insieme al figlio di un anno e mezzo, a Rufina in provincia di Firenze. Una famiglia apparentemente senza problemi, lui architetto, lei impiegata in un’azienda che si occupa di energie rinnovabili. Secondo quanto ricostruito, Lorenzo Innocenti, 37 anni, stamani prima delle 7, avrebbe colpito con numerose coltellate Eleonora Guidi, 34, mentre la donna era in cucina a preparare il caffè. In casa, in un’altra stanza, anche il loro figlio, che dopo la tragedia è stato affidato a familiari.

A dare l’allarme al 118 sarebbe stato il padre dell’uomo, che vive insieme alla moglie sullo stesso pianerottolo di via Cesare Pavese, dove la giovane coppia si era trasferita con l’arrivo del figlio. Avrebbe sentito dei rumori sordi provenire dall’appartamento, allarmandosi. Una volta bussato alla porta, si sarebbe trovato davanti il figlio con il coltello in mano e sporco di sangue. Nei momenti concitati che sono seguiti avrebbe prima disarmato il 37enne e poi, quando il figlio ha cercato di scappare e di raggiungere un ballatoio, sarebbe riuscito a fermarlo una prima volta.

Lorenzo Innocenti però è riuscito a fuggire nuovamente e si è lanciato nel vuoto dal secondo piano. Soccorso e trasportato in codice rosse con l’elicottero Pegaso all’ospedale fiorentino di Careggi, ha riportato gravi lesioni e si trova ricoverato in prognosi riservata in rianimazione. Sono stati quindi gli stessi sanitari ad allertare i carabinieri. Sul posto, insieme agli investigatori e alla scientifica dell’Arma, anche la pm Ornella Galeotti che ha poi sentito i familiari della coppia. Ancora da chiarire cosa possa aver scatenato la furia del 37enne: è stata ordinata una serie di accertamenti mentre lunedì sarà disposta l’autopsia sul corpo della vittima. La coppia viene descritta come tranquilla, serena, non sarebbero emersi contrasti o problemi; due giovani riservati, poco presenti sui social. A Rufina nessuno riesce a darsi una spiegazione.

A partire dal sindaco Daniele Venturi: “Era una coppia normalissima, non c’è niente che potesse far presagire una cosa del genere. Li conoscevo, il paese è piccolo, io sono poco più grande di loro. Lorenzo, che è architetto e ha delle proprietà immobiliari, mi aveva parlato di alcune idee che voleva sviluppare su Rufina”. Anche i vicini sono increduli: “Si vedevano poco, anche se lui abitava in zona praticamente da sempre, sicuramente non li abbiamo mai sentiti litigare”, dicono da un negozio nei pressi della palazzina. “Non solo non li ho mai visti litigare, ma neanche adirati. Proprio non me lo spiego”, dice scuotendo la testa Vasco, che abita a pochi metri dall’edificio di via Pavese e lì accanto ha anche la ditta di pelletteria.

“L’ultima volta li avevo incontrati due giorni fa. Quando erano insieme, con il bambino in carrozzina, erano sempre i primi a salutare. Davvero non riesco a capire cosa sia successo. Lorenzo era una persona eccezionale, non litigava mai, non alzava mai la voce”, ripete. “Conosco bene il nonno, Alessio, babbo di Lorenzo – aggiunge – Il bambino era spesso con lui, quando invece era insieme alla mamma mi diceva sempre che andava a mangiare uno yogurt al bar Galletto” dove aveva lavorato fino a poco tempo fa la mamma di Eleonora, oggi in pensione. Anche qui poca voglia di parlare e tanta incredulità. “Cristina è stata con noi per tanti anni ed era come una di famiglia – racconta Fabrizio – conoscevamo anche Eleonora e quando la vedevamo sembrava la persona più felice del mondo. E’ un qualcosa di inspiegabile”.

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Napoli: picchia la compagna e sperona auto giovane intervenuto, arrestato

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Picchia la compagna, poi aggredisce un giovane che ha provato a soccorrerla speronando la sua auto. È successo a Torre del Greco, in provincia di Napoli, dove i Carabinieri hanno arrestato un 34enne di Boscotrecase, già noto alle forze dell’ordine. Il 20enne intervenuto ha notato l’uomo mentre in auto prendeva a schiaffi la donna seduta al suo fianco; il giovane ha chiamato il 112 chiedendo l’intervento dei Carabinieri ma nel frattempo ha gridato al conducente dell’auto di fermarsi. Il 34enne ha ingranato la marcia e ha speronato l’auto nella quale era rientrato il giovane intervenuto, poi ha perso il controllo del veicolo e ne ha tamponato un altro parcheggiato. Sul posto sono arrivati i Carabinieri della sezione radiomobile di Torre del Greco che, dopo una breve colluttazione, hanno arrestato il 34enne, risultato in permesso premio, appena uscito dal carcere di Eboli (Salerno) per qualche ora.Il 34enne, che è stato portato nel carcere di Poggioreale a Napoli, dovrà rispondere di maltrattamenti, danneggiamento, violenza privata, resistenza e minaccia a pubblico ufficiale.

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Detenuto morto per infarto, nessun segno di violenza sul corpo

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Sarebbe stato colto da infarto il detenuto napoletano di 37 anni trovato senza vita nella sua cella del carcere di Avellino. Sul cadavere non sono stati riscontrati segni di violenza e ora le ipotesi privilegiate circa le cause del decesso sono le cause naturali o l’arresto cardiocircolatorio determinato dall’assunzione di droga. Al momento però si tratta solo di ipotesi che solo l’esame autoptico potrà confermare o escludere. Di recente, nelle carceri, si sta riscontrando l’introduzione e la presenza, oltre che di hashish e cocaina, anche di crack, sostanza stupefacente ritenuta particolarmente pericolosa per la salute di chi l’assume. Il carcere di Avellino, che ospita 600 detenuti, quelli italiani quasi tutti della provincia di Napoli, è stato più volte al centro di episodi critici nei mesi scorsi che hanno spinto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ad accendere un faro sulle sue problematiche. Una volta ospitava anche i detenuti di Alta Sicurezza che nei mesi scorsi sono stati tutti trasferiti in altre carceri. Nel “Graziano Caputo” di Avellino, che si trova nella frazione di Bellizzi Irpino, più volte si sono verificati eventi critici, tra cui aggressioni tra detenuti e ai danni degli agenti della polizia penitenziaria, ed evasioni.

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