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Incubo ucraino: la trappola territoriale e l’iconografia sfigurata

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Come nel sogno, sapete? Qualcosa sta per accadere. Qualcosa di terribile. Qualcosa che voi potete fermare. Ma non lo fate. In Ucraina, la lettura dominante della lentezza del conflitto è stata per tutto questo interminabile tempo e tuttora è: Putin non è in grado di concludere; ha sbagliato i calcoli; sta perdendo la guerra(asserisce perfino qualcuno). Mentre un ragazzo mi dice in TV che è tornato dall’Ungheria dove ha lasciato la sua famiglia. Si è arruolato, è pronto a combattere, a dare la vita per il suo Paese. E’ vestito come Rambo, giovane e bellissimo, ma non sa sparare, confessa.

Propaganda, direte voi: a ragione. Ma propaganda non è ciò che sta per succedere in Ucraina. E la desolante ignoranza degli analisti che impazzano nei talks, non ci salverà da quel che s’annuncia, sotto gli occhi del mondo. E che renderà t.u.t.t.o. più difficile. Anche se noi grottescamente continueremo ad avere la spiegazione perfetta: è colpa di Putin.

Due tra le cose che stanno per succedere in Ucraina mi preoccupano particolarmente, perché renderanno impraticabili dei negoziati equi e, dunque, getteranno le basi per una pace non stabile ma assolutamente precaria. Premessa per la prossima guerra che la “propaganda” troverà il modo di scaricare sul solito Putin o sul russo che eventualmente gli succederà. Già, perché le logiche imperiali -diversamente da quelle statuali- più che esprimere la volontà dei singoli uomini, sono interpretate dai leader. E quindi dopo Putin ci sarà un altro capo russo: e un capo russo è un capo russo. Così come un presidente americano, democratico o repubblicano che sia, è un presidente americano. Le due cose dunque? Eccole.

1. L’Ucraina è piena di milizie russe, o inquadrate nel dispositivo di invasione russo. Siriani, ceceni, mercenari di Wagner. Stiamo parlando di decine di migliaia di persone. Non che manchino contractors nel dispositivo della resistenza ucraina. Americani ed europei che per ora non combattono, a quanto sembra, ma avviano via terra le armi che affluiscono alle frontiere ucraine verso le città bombardate o assediate ed addestrano i combattenti al loro uso. I miliziani russi sono dei professionisti della contro-guerriglia. Essi non sono in Ucraina per appoggiare genericamente il corpo di spedizione moscovita. Sono lì, invece, per entrare in scena nel teatro di guerra delle città, quando si tratterà di combattere la guerriglia urbana che tutto lascia intendere si stia organizzando. Nelle città bombardate – selettivamente, e non indiscriminatamente, come in occasione di altri interventi NATO o liderati dall’Occidente- svuotate di una gran parte dei loro abitanti (a Kiev metà della popolazione è fuggita), comincerà ben presto la partita conclusiva –e vera- di questa guerra: tra una o due settimane, prevede qualche osservatore militare. Siamo pertanto d.e.n.t.r.o. una corsa contro il tempo. Interesse vitaledell’Ucraina è sedersi a un tavolo con una BATNA realistica e sufficientemente ben definita –come abbiamo spiegato su queste pagine- prima che cominci la lotta senza quartiere nelle case sventrate della capitale o di Kharkiv, di Dnipro o di Sumy. Prima che le città ucraine si trasformino in una rete di mattatoi. Prima che i dieci milioni di sfollati e rifugiati, prevalentemente donne e bambini, comincino a piangere i loro padri, i loro mariti, i loro fratelli, i loro figli.
2. Mentre tutti gli sguardi sono puntati su Kiev e su quello che diventerà presumibilmente un asse strategico di riassetto territoriale ucraino, vale a dire il fiume Dnepr, l’esercito di invasione sta sbarrando lo sbocco al mare dell’Ucraina. Con la presa di Mariupol, il Mar d’Azov diventa un lago russo.Con la caduta di Odessa, si chiudono gli accessi al Mar Nero. Scatta così quello che il geografo politico John Agnewchiama la “trappola territoriale”. A quindi, seppure un’operazione militare non abbia ambizioni territoriali –queltipo di ambizioni territoriali, in partenza- una volta che hai conquistato militarmente un territorio è difficile poi lasciarlo. Oppure, se lo lasci, lo lasci facendo pagare un prezzo salatissimo sul tavolo negoziale a quella che diventerà allora una tua “concessione”. Se Zelensky non va con una proposta credibile al tavolo con Putin –molto, ma molto rapidamente- la nuova geografia che si va a configurare può assumere il profilo peggiore: per l’Ucraina e per la durabilità della pace.L’Ucraina, cioè, potrebbe essere ridotta al bacino imbrifero di destra del Dnepr, sia pure includendo Kiev. Sto parlando della parte storicamente appropriata di quella borderland che il termine slavo u-kraj evoca (terra di confine o, ancor meglio, terre ai confini). Quella parte che ha gravitato verso le potenze europee (granducato Lituano-Polacco, Impero austro-ungarico) e che in realtà gli stessi moti visionari di Euromajdan evocavano. Ciò che le armate russe stanno facendo, ora, è creare le condizioni per privare questa Ucraina leopolitana, se possiamo dire, della cimosa costiera del Mar Nero. Qui non stiamo parlando del Donbas o della Crimea, che con il nazionalismo ucraino, con la cultura e la tradizione politica delle “terre ai confini” non hanno granché da spartire. Ricordiamo che il Donbas è una creazione sovietica e la Crimea è storicamente un khanato ottomano acquistato all’impero zarista da Caterina la Grande. Stiamo parlando invece del tratto che, di là da ogni frammentazione confinaria, unifica la territorialità ucraina, vale a dire la grande, antica e solida via commerciale che unisce il Mar Baltico e il Mar Nero. Chiudere l’accesso a quest’ultimo specchio d’acqua non significa solo colpire al cuore gli scambi internazionali presenti e futuri dell’Ucraina. Significa anche sgretolarne in radice l’iconografia, come direbbe Jean Gottmann, un altro grande studioso di Geografia Politica. E cioè degli interessi economici essenziali per il Paese, innestati sulla visione storica, sull’immaginario culturale e sul destino nazionale dell’Ucraina.

Tutto questo, nuovamente ci dice che interesse vitale dell’Ucraina è l’arresto immediato delle ostilità, un cessate il fuoco istantaneo e totale, come unica condizione per sedersi a un tavolo ed aprire un negoziato vero. Altro che discorsi ai Parlamenti del mondo, retoriche della Resistenza, richieste e forniture di armamenti. Qui si tratta, semplicemente e drammaticamente, dell’esistenza stessa dell’Ucraina. Fermare la cancrena che ne erode le basi geografiche e storiche, non meno che economiche e politiche, è il compito i.m.p.e.l.l.e.n.t.e. degli attori primari di questa tragica partitura (Zelensky e Putin) come degli attori che stanno dietro le loro spalle (Biden e XiJinping). Tutto il resto è girarci attorno. Compreso il vuoto pneumatico in cui galleggia l’Europa, del tutto incapace di occuparsi delle faccende che, dopotutto, si svolgono sull’uscio di casa.  

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Ucraina: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti… per cosa?

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Dunque, facciamo un riassunto. Tre anni fa, il 24 febbraio 2022, la Russia invadeva l’Ucraina. L’idea di Putin era chiara: una blitzkrieg, due giorni per arrivare a Kiev, eliminare il governo e sostituirlo con una marionetta del Cremlino. Facile, no? Peccato che la storia non abbia seguito il copione scritto a Mosca.

La “non-guerra” russa e l’ecatombe in corso

In Russia, guai a chiamarla guerra. È una “operazione speciale militare”, un po’ come definire il Titanic “un incidente nautico di lieve entità”. Eppure, questa non-guerra ha prodotto una ecatombe: centinaia di migliaia di soldati russi morti, oltre 80mila ucraini caduti. E queste sono solo le stime ufficiali, perché il numero reale di vittime potrebbe essere ancora più tragico.

Ma non parliamo di numeri. Parliamo di morti, di una carneficina che ha lasciato città distrutte, milioni di sfollati e un’Europa che per tre anni ha investito miliardi per difendere l’integrità territoriale ucraina, la democrazia e i principi cardine del diritto internazionale.

L’Occidente che armava Kiev (fino a ieri)

Per tre anni, l’Europa e gli Stati Uniti di Joe Biden hanno riversato in Ucraina decine di miliardi di euro e dollari, inviando armi, addestrando soldati, costruendo difese, imponendo sanzioni alla Russia e isolando il Cremlino. La NATO ha fatto il possibile per tenere l’Ucraina in vita, ma soprattutto per tenere i russi fuori dai confini europei.

E nonostante tutto, la grande Armata Rossa non ha mai sfondato. Putin ha mandato in battaglia galeotti, ha chiesto aiuto ai nordcoreani, ha arruolato mercenari, ha schierato la famigerata Wagner. Eppure, gli ucraini non hanno ceduto. Hanno preferito morire piuttosto che tornare sotto la sferza russa.

L’Unione Europea accelerava per accogliere Kiev nell’UE. La NATO era pronta a fare dell’Ucraina un suo membro. Ma poi…

Trump entra alla Casa Bianca, Putin sorride

Il 20 gennaio 2025 Donald Trump torna presidente degli Stati Uniti d’America. In meno di un mese, qualcosa cambia. Washington e Mosca riprendono a parlarsi, Trump e Putin si sentono al telefono come vecchi amici. E soprattutto, decidono che la guerra deve finire.

Come? Semplice. L’America di Trump smette di inviare armi e suggerisce che gli ucraini devono rassegnarsi a perdere pezzi del loro Paese. Niente NATO per Kiev, niente resistenza fino alla fine. E soprattutto, gli Stati Uniti vogliono le terre rare ucraine, quelle risorse minerarie fondamentali per l’industria tecnologica.

Dunque, riepiloghiamo: tre anni di guerra, centinaia di migliaia di morti, miliardi di euro investiti per difendere l’Ucraina… e ora tutto si risolve così? Trump e Putin spartiscono il Paese, gli ucraini devono ingoiare il rospo, e il mondo guarda in silenzio.

La spartizione dell’Ucraina e il nuovo ordine mondiale

Il nuovo accordo sembra scritto con un righello:

  • Un pezzo all’Ucraina (giusto per non cancellarla del tutto).
  • Un pezzo alla Russia, che si tiene le terre occupate.
  • Un pezzo agli Stati Uniti, che si prendono le risorse minerarie strategiche.
  • Un pezzo ai caschi blu dell’ONU, o a qualche “forza internazionale” che piaccia a Putin.

Nel frattempo, Trump pensa in grande: riannettere il Canale di Panama, erigere nuovi muri con il Messico, ribattezzare il Golfo del Messico in “Golfo d’America”, comprare la Groenlandia, annettere il Canada. Sì, perché gli Stati Uniti hanno bisogno di espandersi, non solo in Ucraina, ma ovunque Trump voglia lasciare il segno.

Tre anni di guerra… per cosa?

Alla fine, quello che per tre anni era stato un punto fermo – la difesa dell’Ucraina, della democrazia, dei confini europei – non conta più nulla. Si fa come decidono Trump e Putin. L’Ucraina viene smembrata. I morti? Un dettaglio di cui nessuno parlerà più.

E noi, in Europa, guardiamo in silenzio. Perché, alla fine, sembra che la storia sia scritta sempre dai più forti. E gli ideali? Quei principi che hanno giustificato tre anni di guerra, le parole sulle libertà, la sovranità, la democrazia? Tutto inutile. Basta una stretta di mano tra due uomini e il destino di una nazione cambia per sempre.

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Cremlino, è Kiev che non vuole colloqui di pace

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“Mosca è pronta a risolvere il conflitto ucraino attraverso colloqui di pace, ma Kiev rifiuta di impegnarsi in questo processo”: così il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov (foto in evidenza) commentado le parole del premier ungherese Viktor Orban, secondo cui il conflitto armato in Ucraina finirà nel 2025, “o attraverso un trattato di pace o dopo il crollo di uno dei belligeranti”. “Vladimir Putin ha ripetutamente sottolineato che siamo aperti a risolvere le nostre divergenze attraverso colloqui di pace. Tuttavia, poiché l’Ucraina attualmente si rifiuta di impegnarsi nei colloqui, continuiamo la nostra operazione”, ha detto il responsabile alla Tass. “Per noi è importante raggiungere tutti gli obiettivi che abbiamo di fronte per garantire la sicurezza del nostro Paese”, ha ribadito.

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La spia che venne dagli Usa, l’uomo di Mosca nel Donbass

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Le prime foto di lui, con il viso pixelato e abbracciato a un soldato, erano apparse sui canali di blogger militari russi il 28 ottobre, subito dopo l’operazione che lo aveva esfiltrato dal territorio ucraino. Ma oggi Daniel Martindale si è presentato a volto scoperto e mostrando i suoi documenti di americano davanti ai giornalisti a Mosca, affermando di aver operato per oltre due anni dietro le linee nemiche fornendo preziose informazioni alle truppe di Mosca nel Donbass. Ora Martindale, che ha 33 anni, dice di voler farsi una vita e una famiglia in Russia e lavorare come agricoltore.

Oltre che acquisire la cittadinanza russa. Come Edward Snowden, l’informatico e attivista statunitense già tecnico della Cia che dal 2013 vive in Russia dopo aver rivelato i dettagli di diversi programmi top secret di sorveglianza di massa del governo di Washington e quello di Londra. E non sarà certo una sorpresa se Mosca deciderà di concedere la cittadinanza anche al nuovo transfuga, che promette di diventare una importante pedina della macchina propagandistica. “Dal 2005 considero gli Usa il mio nemico”, ha dichiarato Martindale, presentatosi alla stampa in camicia arancione e un cappellino nero con visiera. Quello che accade in Ucraina, ha insistito, “è un tentativo dell’America di contenere la Russia per non permetterle di competere ad armi pari con gli Stati Uniti”.

Poi un messaggio diretto a Washington: “Se qualcosa succede a me o a qualche mio parente non sarà un incidente, ma opera delle autorità americane per costringermi a tornare negli Usa e accusarmi di tutti i peccati”. Martindale ha detto di essere stato un “missionario” in Polonia. Quando ha capito che stava per scoppiare una guerra, si è trasferito in Ucraina e, dopo essere passato per Kiev, è arrivato nel territorio della regione di Donetsk controllato dalle forze governative solo una decina di giorni prima dell’attacco russo. Da lì, ha detto, si è messo in contatto con le forze separatiste filorusse scrivendo sul loro canale Telegram. Lo stesso sistema ha utilizzato per mantenere poi i contatti con le agenzie di sicurezza russe, che gli hanno fatto arrivare un nuovo telefono cellulare con un drone.

La settimana scorsa le forze speciali della 29/a Armata hanno fatto un’incursione in territorio ucraino per farlo uscire, dopo che, sostengono i canali degli osservatori militari russi, aveva avuto “un ruolo chiave nella preparazione dell’assalto al villaggio di Bogoyavlenka”, caduto in mano russa qualche giorno fa. Anche oggi Mosca ha annunciato la conquista di nuovi villaggi, quelli di Kurakhivka nella regione di Donetsk e quello di Pershotravneve nella regione di Kharkiv, in un’avanzata nell’est dell’Ucraina che ha accelerato nelle ultime settimane. Le truppe ucraine stanno affrontando una delle più “potenti” offensive della Russia dall’inizio dell’invasione, ha detto il comandante delle forze armate, Oleksandr Syrsky. La situazione è difficile, e “le ostilità in alcune aree richiedono un costante rinnovamento delle risorse delle unità ucraine”, ha aggiunto.

Difficoltà confermate dall’intelligence militare dell’Estonia, secondo la quale solo nell’ultima settimana le forze russe hanno occupato circa 150 chilometri quadrati di territorio nella regione di Donetsk. Il presidente Volodymyr Zelensky ha denunciato massicci attacchi di droni nella notte su varie regioni, compresa Kiev, dove le autorità locali hanno parlato di incendi scoppiati in vari edifici residenziali. Due feriti sono segnalati nella capitale e cinque, di cui tre bambini, a causa di un bombardamento di artiglieria nella città meridionale di Kherson. “I costanti attacchi terroristici contro le città ucraine provano che la pressione esercitata sulla Russia e i suoi complici non è sufficiente”, ha affermato Zelensky. Le autorità russe hanno invece detto che quattro civili sono rimasti feriti in attacchi di droni ucraini sulla regione frontaliera di Kursk e uno su quella di Belgorod. Oltre a due persone rimaste ferite in un attacco di artiglieria delle forze di Kiev a Gorlovka, località nel Donetsk controllata dalle truppe di Mosca.

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