Non si attenua l’eco degli incendi nel mondo. E men che meno quello degli incendi in Italia. Allarme diffuso in Sicilia e Calabria, con boschi e pascoli aggrediti, abitazioni evacuate. Cronache di questi giorni. Arresto di un piromane a Montesarchio, sull’altro versante del Taburno, il bastione montuoso che ammiro ogni mattina dal mio terrazzo nella sua mole verde: ancora così tenacemente (così miracolosamente?) verde. Per oltre la metà gli incendi hanno un’origine dolosa: così ha riferito alla Camera il Ministro della Transizione Ecologica (TE), Roberto Cingolani (nella foto sotto). A questi, si deve aggiungere un 14% di origine non intenzionale: colposa, accidentale. Come la giri e come la volti, 2/3 dei fuochi italiani sono di origine umana. La natura, a quanto pare, c’entra per meno del 2%.
Che tipo di problema è questo? Cambiamento climatico, si capisce. Ma non possiamo buttare tutto e sempre nel mare magnum del riscaldamento del Pianeta, alimentato da forze che ci sovrastano. Esiste un problema reale di “irresponsabilità civile” che riguarda una parte importante degli abitanti di questo nostro meraviglioso Paese. Un problema culturale, voglio dire, che dovrebbe essere integrato nelle nuove pedagogie transizionali -e quindi scolastiche, formative, mediali- senza le quali non vedo come possa essere “pensata” la TE.
A meno di continuare a ridurre la TE a questa o quella operazione sostitutiva di una tecnologia “sporca” con un’altra più “pulita”. A meno di continuare a identificare la TE a questa o quella azione riparativa di un frammento di territorio compromesso, disinquinando una vallecola o costruendo un muro di protezione. A meno di continuare, infine e per fermarci qui, a confondere la TE con la “Decarbonizzazione”: un ulteriore problema culturale, anche questo, gravissimo. La riduzione delle emissioni di CO2 è un passaggio necessario ma assolutamente non sufficiente di una TE che vada oltre l’”adattamento climatico” e preluda a un modo differente di produrre e consumare, un modo nuovo di ”abitare-la-Terra”.
Attenzione, non stiamo parlando di un “libro dei sogni”, qualcosa rispetto a cui alzare le spalle e dire “sì, va bbbé…”. Stiamo parlando della plausibile riconfigurazione di un orizzonte politico che assuma una temporalità a 50 anni: e sappia fare progetti all’interno di questo perimetro, immaginare strumenti e operazionalità che “funzionino” scandendo la misura di questo periodo, si impegnino nella mobilitazione di risorse adeguate al ritmo, al respiro, alle ambizioni di questo periodo. Cinquant’anni: si può pensare un arco temporale del genere, senza perdere necessariamente il contatto con l’urgenza del quotidiano con cui ciascuno di noi deve pur fare i conti.
E per fare un esempio concreto di quel che intendo, ragionando sulla sua praticabilità, tornerei alle cronache ambientali che accompagnano questa nostra estate (sperabilmente) post-Covid. Oggi mi trovo di fronte a una drammaturgia geografica del Nord Italia che si mescola a quella del Sud, fin troppo abusata. Mi trovo di fronte all’esondazione del Lago di Como, alla colata di fango e detriti di Riva del Garda. Allagamenti, straripamenti, smottamenti, strade che franano da Varese a Lecco, dighe che minacciano di cedere, dal Trentino al Piemonte, dalla Lombardia all’Emilia Romagna. Cambiamento climatico? Sì, d’accordo. Ma i termini della questione vanno posti in modo corretto. Sono almeno quarant’anni che ogni autunno, cioè in quella che può essere considerata la “stagione delle piogge” in Italia, si hanno fenomenologie di questo tipo. Un nubifragio e…hop! La sequenza ha inizio, con “alti lai” da parte di tutti, richiesta dello “stato di calamità”, interventi di vigili del fuoco e Protezione Civile…E la dolorosa aggiunta di sfollati, di morti, di feriti.
Dimenticando che sono cent’anni che i geografi italiani, sotto la guida di Roberto Almagià, studiano le frane di questo Paese. E sono centocinquant’anni che illustri meridionalisti, a partire da Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini per arrivare a Francesco Compagna, parlano dello “sfasciume” delle aree interne del Mezzogiorno a cui bisognerebbe mettere riparo.
Già, proprio così: porre riparo. Non stiamo inventando molto con il cambiamento climatico. Stiamo accelerando, questo si, stiamo aggravando, stiamo estendendo: per cui non c’è più bisogno, ormai, di arrivare alla stagione delle piogge per avere un’alluvione. Basta un temporale estivo, a quel che vediamo. E dunque, se pensassimo alla messa in sicurezza idrogeologica e –necessariamente- insediativa del Paese, come a un Capitolo specifico della Transizione Ecologica? Un Capitolo ineludibile, organico, coerente, qualificante. Per dare un ordine di grandezza delle risorse mobilitabili: venti miliardi all’anno per i prossimi cinquant’anni come capitolo di spesa permanente del Bilancio dello Stato. Mille miliardi da investire in un programma di salvezza nazionale portando, allo stesso tempo, un contributo strutturale al mantenimento della buona salute del Pianeta. Aiutare la natura ad aiutarci, senza fughe declamatorie ma con qualche intendimento realistico: non vi sembra un buon programma politico?
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).
Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.
Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.
Il mese di febbraio 2024 è stato il piu’ caldo mai registrato al mondo, parte di una serie di nove record mensili consecutivi, con temperature ben al di sopra della norma in Europa. Lo ha annunciato Copernicus. La temperatura degli oceani, insolita da quasi un anno, contribuisce in gran parte a questa straordinaria serie. Secondo il bollettino mensile dell’Osservatorio europeo si e’ raggiunto un nuovo record assoluto, sommando tutti i mesi, con 21,06 C registrati a febbraio sulla superficie dei mari (escluse le zone vicine ai poli).
Dal Centro Nazionale Meteomont arrivano i consigli per evitare di trovarsi coinvolti in valanghe in montagna: le recenti nevicate, scrivono i carabinieri, localmente ancora in corso ed associate a vento forte, determinano attualmente e per i prossimi giorni un ulteriore aumento del pericolo valanghe su tutti i settori alpini. Fortemente sconsigliate le uscite escursionistiche ed alpinistiche al di fuori delle piste battute e segnalate. Attendere qualche giorno dopo le perturbazioni affinchè il manto nevoso si stabilizzi. Pericolo moderato ma in diminuzione alle alte quote dei settori liguri, emiliani ed abruzzesi. Seguire attentamente l’evoluzione dei prossimi giorni anche attraverso l’app METEOMONT CARABINIERI. In dettaglio:
– ALPI. Le diffuse ed abbondanti nevicate delle ultime 24 ore, localmente ancora in corso, associate con quelle dei giorni precedenti e con un forte vento, hanno determinato un ulteriore aumento del pericolo valanghe su tutti i settori alpini, con gradi diversificati a seconda delle cumulate registrate al suolo, delle quote e della posizione geografica. Dalle Alpi Marittime a quelle Lepontine, dalle Retiche alle Giulie, in generale, il grado di pericolo sale a FORTE 4 alle alte quote al di sopra dei 1700/1900 mslm, per problemi connessi principalmente alla NEVE FRESCA, localmente anche ai LASTRONI DA VENTO, mentre al di sotto di tali quote sale a MARCATO 3, per problemi connessi alla NEVE BAGNATA.
In generale, le uscite escursionistiche al di fuori delle piste battute e segnalate, sono sconsigliate alle alte quote delle Alpi. Attendere qualche giorno che il manto nevoso si stabilizzi. Fortemente limitate le attività a quote inferiori. Previste localmente in alta quota ulteriori nevicate nel corso della settimana. Seguire con attenzione l’evoluzione giornaliera e settimanale delle condizioni di stabilità del manto nevoso.
In alta quota il problema è legato alle nevicate in atto o più recenti, il cui sovraccarico progressivo prodotto sul manto nevoso preesistente è il fattore cruciale. Possibili valanghe di medie e, in taluni casi, di grandi dimensioni, a lastroni e a debole coesione asciutte, spontanee e provocate con debole sovraccarico, a tutte le esposizioni, per presenza di strati deboli nel manto nevoso e mancanza di coesione tra le particelle di precipitazione recenti. Pericolo presente durante le nevicate residuali ancora in corso e fino ad alcuni giorni dopo le nevicate. In caso di ulteriori nevicate pericolo stazionario. Avvertenze: fare attenzione ai cambiamenti minimali delle condizioni meteorologiche (es: il cambiamento dell’umidità e della temperatura dell’aria) che influenzano le condizioni della neve fresca. In alcuni casi il pericolo di caduta è più importante del pericolo di seppellimento. Attenzione ai pendii ripidi !
A quote inferiori il problema è legato all’indebolimento del manto nevoso per la presenza di acqua che si infiltra per fusione o per pioggia. Possibili valanghe di medie e, in taluni casi, anche di grandi dimensioni, a lastroni ed a debole coesione di neve bagnata, principalmente spontanee, a tutte le esposizioni (al di sotto dello zero termico o della quota limite della nevicata). Durata del pericolo da ore ad alcuni giorni, possibile una rapida perdita della stabilità. Avvertenze: l’inizio della pioggia, la formazione di pallottole e chiocciole di neve e piccole valanghe a lastroni bagnati o valanghe di neve bagnata a debole coesione sono precursori di un ciclo di valanghe spontanee a lastroni di neve bagnata. Un elevato sprofondamento dello scarpone è un altro segnale di progressivo inumidimento del manto nevoso. Valutare ed evitare le abituali zone di scorrimento ed accumulo delle valanghe di neve bagnata.
– APPENNINO, pericolo valanghe di grado MODERATO 2 alle alte quote dei settori LIGURI,EMILIANO ed ABRUZZESE, per NEVE BAGNATA, ma in progressiva e rapida diminuzione. Da seguire con attenzione l’evoluzione sui settori liguri (Alpi ed Appennino) nel corso della settimana.
Per le necessarie ed indispensabili informazioni locali, di dettaglio e di approfondimento, da seguire con attenzione nel corso della settimana, nonché per interpretare con correttezza i termini, le simbologie, i problemi e le situazioni tipo sopra riportate ed indicate nei bollettini valanghe nel rispetto degli standard europei EAWS, si consiglia di consultare il sito e l’app METEOMONT CARABINIERI.