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In Umbria vince Donatella Tesei del centrodestra, bocciata l’alleanza 5S-Pd, la Lega sfonda

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La sconfitta è netta. L’Umbria ha come nuovo presidente Donatella Tesei. Supera il 57% distaccando di venti punti la coalizione M5S-Pd e altri del centrosinistra a sostegno di Vincenzo Bianconi. È la vittoria di Matteo Salvini. La Lega in Umbria, che alle precedenti regionali veleggiava sul 3% ora viaggia sul 37%. FI scende quasi al 5%, la metà dei voti  incassati da Fdi. Preoccupante invece il crollo del M5S. È sotto l’8%, la metà dei voti presi in Umbria alle Europee, quando fu un debacle. Parla di “lezione di democrazia” e dice che  “qualcuno a Roma avrà da riflettere” Salvini. Altissima l’affluenza, al 64,4%, nove punti in più rispetto al 2015. Del resto, nel Giardino d’Italia ci hanno messo la faccia tutti i leader nazionali e, sul finale della campagna, anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, protagonista della foto di Narni con Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e Roberto Speranza. Una reunion che, evidentemente non ha pagato. Salvini gongola, persino Berlusconi che sta  sparendo con Fi, si fa sentire e dice che “il centrodestra ha il diritto e il dovere di governare il Paese”. Giorgia Meloni incalza: “fossi in Conte rassegnerei le dimissioni piu’ velocemente della luce. Se avessero un po’ di dignita’ non arriverebbero a domattina”. Il governo non è in discussione. Lo dicono sia i Dem sia quelli del Movimento. Ma sulle Regionali 2020 la sensazione è che Di Maio voglia tornare all’antico, a cominciare da Emilia Romagna e Calabria. Anche perchè l’alleanza con il Pd non ha pagato nè per la coalizione di governo nè per il Movimento che ha preso meno della metà dei voti dei Dem. “Il patto civico per l’Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l’esperimento non ha funzionato. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti”, si legge in un post del M5S su facebook che assicura, comunque, come al governo “si rispetteranno gli impegni”. Ma il rischio e’ che gia’ nelle prossime ore Di Maio torni nel mirino dei malpancisti, dagli ex ministri come Lezzi a Grillo a chi non ha mai digerito il Conte 2 a chi, infine, vorrebbe una rivoluzione nella leadership. E in Calabria ed Emilia-Romagna e’ molto difficile che il M5S accetti un nuovo patto con il Pd che vedeva, gia’ prima dell’Umbria, un ampio scetticismo nella base e tra i parlamentari. “E’ una sconfitta netta” ma il “risultato conferma, malgrado scissioni e disimpegni, il consenso delle forze che hanno dato vita all’alleanza”, e’ il commento di Zingaretti. Tradotto: rispetto alle Europee i Dem hanno tenuto e nonostante la scissione di Matteo Renzi che, per ora, non commenta la sconfitta. E Zingaretti frena anche le polemiche interne al governo, facendo implicito riferimento anche al M5S. “Rifletteremo molto su questo voto e le scelte da fare, voto certo non aiutato dal caos di polemiche che ha accompagnato la manovra economica del Governo”, spiega il segretario Dem. Che, nelle prossime ore, potrebbe avere a che fare anche lui come Di Maio, con il malumore interno. “La sconfitta non ha ripercussioni sul governo ma impone una riflessione sulle alleanze”, spiega Andrea Marcucci. E Matteo Renzi? Non commenta ma e’ possibile che, gia’ da domani, da Italia Viva bollino come un errore la foto di Narni. Quella foto che li ha visti assenti. Ed e’ un’assenza che, nei Dem, non vorrebbero fosse replicata in Emilia-Romagna, dove i candidati renziani dovrebbero essere inseriti nella lista Bonaccini, senza simbolo. Lo tsunami leghista riaccende anche la battaglia interna alla coalizione del centrodestra, con una FI che rischia di subire una vera e propria diaspora, in direzione Fdi da un lato e Italia Viva dall’altro. E proprio Meloni torna a chiedere delle primarie interne per la leadership del centrodestra. Primarie? “La Lega e’ al 40%, mi sembra che gli italiani hanno gia’ deciso”, chiude Salvini.

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La Corte costituzionale conferma i limiti ai mandati dei sindaci

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Non è manifestamente irragionevole la scelta legislativa di stabilire, a seconda della dimensione demografica dei Comuni, un limite ai mandati consecutivi dei sindaci, sempre che essa realizzi un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali coinvolti da tale scelta. Lo afferma la Corte costituzionale (con sentenza n. 196) che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, proposte dalla Regione Liguria, nei confronti di una disposizione del decreto-legge n. 7 del 2024, che ha modificato la disciplina del Testo unico degli enti locali.

Con tale disposizione, il legislatore ha previsto che per i sindaci dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti non vi sia alcun limite ai mandati; che per i sindaci dei Comuni con popolazione compresa tra 5.001 e 15.000 abitanti il limite di mandati consecutivi sia pari a tre. Infine, che per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti resti fermo il limite di due mandati consecutivi. In particolare, la Regione Liguria riteneva che la nuova disciplina violasse diversi parametri costituzionali, considerando irragionevole la previsione di due o tre mandati consecutivi a seconda del dato dimensionale del Comune.

Di qui la richiesta di estendere anche ai sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti il limite di tre mandati consecutivi. La Corte ha ribadito che la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi è una scelta normativa idonea a bilanciare l’elezione diretta del sindaco con l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali. Il punto di equilibrio tra tali contrapposti interessi costituzionali deve essere fissato dal legislatore, ed è sindacabile solo se manifestamente irragionevole.

“L’attuale art. 51, comma 2, del t.u. enti locali pone limiti diversi ai mandati consecutivi secondo una logica graduale, sul presupposto che tra le classi di Comuni nei quali si articola l’attuale disciplina vi siano rilevanti differenze, in ordine agli interessi economici e sociali che fanno capo agli stessi: si tratta di un esercizio non manifestamente irragionevole della discrezionalità legislativa, che intende realizzare un equo contemperamento tra i diritti e i principi costituzionali che vengono in considerazione”, conclude la Consulta.

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Stretta del Governo sui cronisti, non si pubblicano ordinanze cautelari

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Arriva la stretta del governo sulla cronaca giudiziaria. Non sono state introdotte nuove sanzioni, ma ora scatta il divieto di pubblicazione “delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Lo prevede il decreto legislativo approvato oggi in Consiglio dei ministri, che era stato ribattezzato “legge bavaglio” dalle opposizioni e dalla Federazione nazionale della stampa. Il provvedimento, si legge, ha accolto le osservazioni delle commissioni parlamentari “solo in riferimento all’ampliamento del contenuto della norma, ma non all’introduzione di un nuovo apparato sanzionatorio”.

Durante l’esame della misura, infatti, dalla maggioranza e da Italia Viva erano arrivate indicazioni per introdurre multe sia per i giornalisti che per gli editori (fino a 500mila euro). La scure non è però passata al vaglio finale della riunione di Palazzo Chigi. E c’è già chi si è organizzato diversamente. Proprio oggi a Milano è stato siglato un protocollo, “il primo di questo genere in Italia”, che permetterà ai giornalisti accreditati al Palazzo di Giustizia di chiedere formalmente ed ottenere copie delle ordinanze cautelari dell’ufficio gip o alcuni altri atti giudiziari, come decreti o sentenze, secondo “una definizione di interesse pubblico” che terrà conto di un preciso “decalogo”. Il documento ‘pilota’ è firmato dal presidente del tribunale milanese, Fabio Roia, dal procuratore Marcello Viola e dai rappresentanti degli ordini degli avvocati e dei giornalisti.

Secondo Viola con la nuova legge “non cambia nulla. Nelle ultime due ordinanze significative”, quelle sul caso che riguarda le Curve Nord e Sud dello stadio Meazza e quella con al centro la presunta rete di cyber-spie, “i gip hanno fatto un lavoro di sintesi e assemblaggio evidenziando solo gli elementi del grave quadro indiziario e tutelando i terzi estranei”.

Il codice di procedura penale prevedeva già all’articolo 114 il divieto di pubblicazione, “anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”, ma faceva eccezione per l’ordinanza che dispone la misura cautelare.

Il nuovo decreto legislativo cassa questa eccezione ed aggiunge un comma che vieta esplicitamente “la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali”. Si tratta di disposizioni, recita l’articolo 1 il provvedimento, “per il rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza delle persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale in attuazione della direttiva (Ue) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016”.

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Grillo alla guerra sul simbolo, alt di Conte: la pagherà

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Tenere unita la comunità pentastellata e avvertire Beppe Grillo sui rischi di un’azione legale. Questi i due obiettivi dell’intervento social del presidente M5s Giuseppe Conte, che parla al Movimento dopo la chiusura della votazione bis sullo Statuto. La base ha confermato la cancellazione del ruolo del garante. E il leader invita tutti a “guardare avanti, quel che è stato è stato”. L’ex premier, ora più che mai, prova a serrare le fila con un appello alla coesione. “Il M5s è la casa democratica di tutti”, dice. Anche di chi si è astenuto, e di chi, con il suo voto, si è schierato dalla parte del fondatore. Una fetta non trascurabile di iscritti, a cui il presidente tende la mano.

“Non è più l’epoca delle cacciate e delle espulsioni”, scandisce. Guardando al futuro, però, i toni si fanno più muscolari. Danilo Toninelli, qualche ora prima della diretta social del leader, conferma i sospetti: “Grillo impugnerà il simbolo e lo farà diventare suo con un’azione legale”. Conte non scansa la questione. Anzi, avverte: “chi si azzarda a intralciare il M5s troverà una solida barriera legale, pagherà gli avvocati, anche i nostri, la lite temeraria, e pure i danni”.

Dopo mesi di conflitto aperto sulla Costituente, tutto lascia presagire che la battaglia si sposterà in tribunale. Con Grillo pronto alla sfida da lui stesso adombrata. Il suo entourage è convinto che “andrà avanti”. “Il simbolo è di sua proprietà al 100%”, incalza Toninelli. Ma quello sul contrassegno, potrebbe non essere l’unico fronte della guerra legale. Dall’inner circle grillino si moltiplicano gli attacchi diretti alla procedure di voto e alle modalità della Costituente, a partire dalla cancellazione degli iscritti della scorsa estate. E c’è chi non esclude che un’impugnazione parallela possa interessare anche questi aspetti.

“Grillo è sempre stato imprevedibile e lo sarà ancora”, avvisa chi lo conosce bene. E il presidente Conte non lascia cadere la questione. “Falsità e calunnie, tutto è stato trasparente”, spiega. Sulla cancellazione degli iscritti, chiarisce: “si è rispettata una clausola statutaria”. Sulla piattaforma di voto, lancia una frecciata a Roberto Casaleggio: “è gestita da terzi, non come Rousseau”. Poi, l’affondo: “chi rimesta nel torbido o fa un azione in giudizio, la pagherà”.

“Io ho l’onore di questa comunità e la difenderò con le unghie e con i denti”, è l’opposizione ‘fisica’ del leader. Che si dimostra sicuro. “Abbiamo adottato tutte le cautele del caso, studiato tutte le conseguenze e non abbiamo nessun timore”, è l’avvertimento. “Con un team di avvocati, – aggiunge – abbiamo spiegato a chi ha tentato di danneggiarci che è un grave danno all’azione del M5s, e chi l’ha fatto ha pagato le conseguenze”. Da una parte, Conte mostra i denti e gioca la carta della deterrenza in vista di una guerra legale con Grillo. Dall’altra, il leader dedica una minima parte del suo lungo discorso allo scontro con il garante. Si dice deluso dagli attacchi velenosi e dal sabotaggio della Costituente. Ricorda “l’aut aut” del fondatore e spiega: alla “logica del caminetto, ho preferito la comunità”.

Non a caso, al centro dell’intervento ci sono proprio gli iscritti, e Conte non evita di citare gli 8 mila nuovi arrivi dell’ultimo mese. “Il M5s non scimmiotterà gli altri partiti, cambiamo il Paese”, suona la carica. La sfida del rilancio, passa dalle proposte della Costituente. Etica pubblica, “contro i signori delle tessere”, e appello “contro il riarmo in Ue”, in primis. Con la contesa lanciata ai dem sul “vero progressismo”. Ma la sfida è anche quella di evitare scissioni e fuoriuscite. Tra i grillini, si fa largo una convinzione: “siamo pochi, ma ci stiamo coagulando”. Le chat sono infuocate, però il futuro resta incerto. C’è chi parla di liste alle amministrative, chi di associazioni, chi di fondazioni. “Domani, o magari dopodomani, nascerà qualcosa di nuovo, aspettiamo l’azione legale di Beppe”, sono le parole di Toninelli. Che lasciano intuire un percorso ancora in nuce. “Non vedo le ragioni politiche di una scissione, la si fa per perseguire l’autocrazia e respingere la democrazia del M5s?”, taglia corto Conte.

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