In Italia sono quasi 4 milioni gli italiani con diabete, e ve ne sono almeno altri 1,5-2 milioni ancora senza diagnosi, che sono cioe’ diabetici senza saperlo. Inoltre, solo una persona con diabete su 3 e’ attualmente assistita presso un centro diabetologico; una limitazione importante visto che al momento farmaci e device innovativi sono prescrivibili per lo piu’ solo dagli specialisti. E sono forti le differenze in termini di assistenza tra le Regioni. Fondamentale e’ dunque ‘ridisegnare’ l’assistenza diabetologica sul territorio per renderla piu’ vicina e fruibile da parte del paziente. A tal fine i fondi della missione 6 ‘Salute’ del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresentano una grande opportunita’ e una sfida da mettere a frutto. Ad accendere i riflettori sui problemi aperti nel contrastare ‘l’epidemia’ di diabete – malattia i cui numeri sono in crescita ne mondo ed anche in Italia – sono gli esperti riuniti a Riccione per il Forum biennale multidisciplinare ‘Panorama Diabete’, organizzato dalla Societa’ Italiana di Diabetologia (Sid). “Noi diabetologi – afferma Agostino Consoli, presidente Sid – vogliamo essere parte attiva nella ridefinizione del nuovo piano assistenziale. Per questo, insieme all’Associazione medici diabetologi Amd, abbiamo istituito un apposito tavolo tecnico consultivo, con il compito di elaborare proposte operative che aiutino a declinare le linee di indirizzo del Pnrr in relazione al diabete”. Al centro della missione 6 ‘Salute’ del Pnrr c’e’ il grande capitolo della ‘cronicita”, del quale il diabete e’ una parte importante. L’assistenza territoriale dovra’ essere ridisegnata in un’ottica di medicina di prossimita’, istituendo Case della Comunita’, Ospedali di Comunita’ e avvalendosi sempre piu’ di servizi di telemedicina. Ma per la gestione delle persone con diabete quale potrebbe essere la formula dell’assistenza ideale?
“Ci auguriamo – afferma Consoli – che la rete dei centri diabetologici, che tanto ha contribuito al benessere delle persone con diabete in Italia, non venga relegata nelle Case di Comunita’ e magari ridimensionata, ridotta cioe’ alla presenza del solo diabetologo, anziche’ del team. Riteniamo opportuno creare anche sul territorio delle forti unita’ di diabetologia, che possano lavorare in rete e interagire con le Case di Comunita’. E’ giusto che il paziente cronico venga assistito quanto piu’ possibile fuori dall’ospedale, ma e’ necessario che soprattutto sul territorio possa trovare strutture specialistiche di diabetologia in grado di assisterlo in maniera ottimale. Per questo e’ fondamentale creare o potenziare centri diabetologici hub, che consentano l’interazione efficace con la medicina generale e con tutti gli specialisti coinvolti nella gestione delle persone con diabete”. Proprio “l’omogeneita’ delle cure e’ l’accesso ad esse – afferma Angelo Avogaro, presidente eletto Sid – e’ un diritto inalienabile dei cittadini affetti da diabete. Purtroppo esistono pero’ forti difformita’ a livello delle singole Regioni nella gestione delle malattie croniche. Per questo la SID auspica che in tutte le Regioni italiane, in modo uniforme, il cittadino interessato da questa malattia possa essere seguito da un team diabetologico completo”. In tutte le persone affette dalla malattia, rileva, “dovrebbe non solo essere raggiunto un compenso metabolico ottimale attraverso l’impiego di farmaci innovativi, ma anche effettuato un periodico screening approfondito delle complicanze a lungo termine”. Questa omogeneita’ nell’assistenza delle persone con diabete e’ un “elemento essenziale della tanto auspicata equita’ del nostro Servizio sanitario nazionale”. E in questo, la filosofia del Pnrr puo’ venire in aiuto, dando, concludono i diabetologi, “omogeneita’ organizzativa e tecnologica all’assistenza territoriale ed estendendo cosi’ l’assistenza a fasce di popolazione al momento non raggiunte dallo specialista diabetologo”.
I numeri sono piccolissimi rispetto a qualche decennio fa, tuttavia nel 2023 si è registrato un aumento dei casi di epatite acuta in Italia rispetto all’anno precedente, specie di quelle di tipo A, B ed E; continua invece il calo dell’epatite C. È il trend fotografato dal Sistema di Sorveglianza sulle epatiti Seieva, dell’Istituto Superiore di Sanità da cui emerge una novità sulle modalità di contagio: i trattamenti di bellezza quali manicure, piercing e tatuaggi sono diventati il primo fattore di rischio per l’epatite B e C surclassando l’esposizione al virus in contesti sanitari, i rapporti sessuali a rischio o l’uso di droghe. Nel complesso, nel corso del 2023 in Italia sono stati registrati 523 nuovi casi di epatite A, B, C ed E acute.
A questi si sommano circa 60 casi per cui non è stata determinata la famiglia del virus. L’epatite A è quella più frequente: nel 2023 sono stati notificati 267 casi, quasi il doppio dell’anno precedente, quando erano stati 140. La maggioranza è legata al consumo di molluschi crudi o poco cotti, a viaggi in zone endemiche, rapporti sessuali e consumo di frutti di bosco. Più contenuta (+40%) la crescita dei casi di epatite B (153). In tal caso, le probabili fonti di infezione più frequenti sono stati l’esposizione a trattamenti di bellezza, le cure odontoiatriche, i comportamenti sessuali a rischio. Continua invece la discesa (-7%) dell’epatite C: i casi sono stati 51 e anche in questo caso il fattore di rischio più frequente è stato il ricorso a trattamenti estetici, che ha superato per la prima volta negli ultimi anni l’esposizione nosocomiale.
Sono stati 58 i casi di epatite E, con una crescita del 42% rispetto al 2022 e 4 di essi si sono verificati in persone di ritorno da Paesi in cui l’infezione è endemica. La gran parte dei casi autoctoni risultano invece legati al consumo di carne di maiale o cinghiale cruda o poco cotta. Nel 2023, inoltre, si sono verificati anche 3 decessi per epatite A e altrettanti per epatite B. Uno di questi ha riguardato una ragazza di 18 anni deceduta per insufficienza epatica acuta da virus B mentre era in attesa di trapianto di fegato. Un ulteriore giovane paziente di 31 anni, andato incontro a un’epatite fulminante da virus B, è stato salvato grazia al trapianto. Il rapporto sottolinea anche l’insufficiente quota di test eseguiti per rilevare l’epatite Delta. Il virus responsabile dell’infezione può infatti infettare le persone colpite da epatite B, aggravandone i danni al fegato.
Ancora prima che la bozza del ddl semplificazioni superi il varo in Consiglio dei Ministri (previsto lunedi’), le novità attese per le farmacie con il rafforzamento dell’offerta dei test diagnostici, fanno alzare gli scudi da parte dei microbiologi che chiedono lo stralcio della norma. Si tratta di alcuni esami diagnostici in telemedicina e l’allargamento dell’utilizzo di alcune analisi con prelievo di sangue capillare (controllo di glicemia, colesterolo, trigliceridi, ecc.) che comunque in alcune regioni sono gia’ a carico del servizio sanitario nazionale come in Liguria. La novità fra le molte contenute nel ddl, contribuisce a rafforzare le farmacie nel loro ruolo di centro di servizi sanitari sul territorio, con funzioni sempre più ampie.
Fra queste quella di luogo dove potersi sottoporre a tutte le vaccinazioni previste dal piano sanitario vaccinale per gli over 12 e punto per prenotare visite ed esami ma anche per scegliere il medico e il pediatra di base. “Siamo allarmati che con il ddl semplificazione venga data la possibilità alle Farmacie di eseguire esami diagnostici. Il cittadino in Farmacia non troverà uno specialista nelle discipline di Medicina di Laboratorio che per legge è l’unico a poter svolgere queste indagini dato il suo percorso accademico e curriculare” ha detto il presidente Amcli (l’associazione che rappresenta i microbiologi italiani) Pierangelo Clerici. “Non è possibile che si conceda la diagnostica di Laboratorio a chi non ha competenze – spiega – chiediamo a gran voce di fermare questo provvedimento nella parte riguardante le analisi di laboratorio”.
E si chiede anche di costituire una Commissione Tecnico Scientifica con tutti gli attori di questo percorso “per definire regole, obblighi e responsabilità delle Farmacie che vogliono eseguire test diagnostici, regole, obblighi e responsabilità che già oggi esistono per i Laboratori clinici (accreditamento e autorizzazione a svolgere indagini di Laboratorio) e che non possono essere tralasciate se non con il rischio di gravi ripercussioni per la salute del cittadino. Non può valere la regola ‘todos amigos todos caballeros’, ognuno faccia il proprio e non si improvvisino professionalità per mero interesse di parte”.
L’articolo 23 della bozza cita che i farmacisti potranno effettuare test diagnostici che prevedono il prelevamento del campione biologico a livello nasale (come è già avvenuto durante il Covid), salivare o orofaringeo, da effettuare in aree, locali o strutture, anche esterne, dotate di apprestamenti idonei sotto il profilo igienico-sanitario e atti a garantire la tutela della riservatezza. Il farmacista può effettuare anche “test diagnostici per il contrasto all’antibiotico-resistenza, a supporto del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta ai fini dell’appropriatezza prescrittiva”.
“Benché sembri che qualcosa, almeno in termini di operatività, sul limitare le liste d’attesa si stia muovendo i tempi per accedere alla diagnostica sono ancora poco sostenibili. Bisogna fare molto di più”. E’ quanto afferma la segreteria provinciale Fials di Roma dopo una analisi dettagliata di alcuni esami diagnostici e specialistici richiesti dagli utenti del territorio.
“Mammografia, ecografia mammaria richiedono attese fino a gennaio 2025, ecografia addominale e polisonnografia fino ad ottobre, ecocolordoppler dei vasi inferiori e superiori anche fino a dicembre, ecocardio altrettanto. E sono soltanto alcuni delle indagini più richieste. Eppure il modo per contrarre le attese c’è eccome – rimarca la nota -. Come mai infatti le strutture private offrono queste stesse prestazioni in tempi molto più brevi e alcune di loro compattate in pacchetti economici? La risposta è presto detta”.
“La ricetta ‘Fials’ comprende alcune accortezze che vorremmo presentare alla Regione Lazio e al presidente Rocca che ha tenuto per sé la delega sanitaria: anche le strutture pubbliche dovrebbero utilizzare le macchine per la diagnostica di pomeriggio e negli orari preserali, al contempo dovrebbero offrire pacchetti di prestazioni, sul modello del Pac, a prezzi competitivi. Se invece l’Istituzione regionale consentirà questa politica esclusivamente alle strutture private convenzionate, presto – precisa la nota – saranno i privati a dettare il prezzo dei Drg. Alzandolo a proprio piacimento”.
“Un costo aggiuntivo che automaticamente si andrebbe a ripercuotere sui cittadini con l’Irpef regionale senza migliorare l’offerta pubblica ma, finalizzando il percorso monopolistico del privato accreditato con ulteriori danni per l’intero sistema sanitario – conclude la Fials – ci auguriamo che il presidente Rocca comprenda la gravità della situazione”.