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In Danimarca vogliono abbattere 17 milioni di visoni perchè ‘trasmettono il virus mutato’

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Mentre il mondo intero – con l’Europa in prima fila – fronteggia con tutte le sue forze la seconda micidiale ondata di Coronavirus, dalla Danimarca arriva un nuovo insidioso fronte di pericolo: i visoni. Tra i circa 17 milioni di esemplari presenti nel Paese del nordeuropeo si e’ verificata una mutazione genetica del virus SarsCov2 che e’ gia’ stata trasmessa a 12 persone, minando l’efficacia dei loro anticorpi, ponendo anche un serio rischio – e’ l’allarme danese – sull’efficacia del vaccino che il pianeta attende con il fiato sospeso per uscire dall’incubo della pandemia. I dati sono frutto di uno studio dell’agenzia governativa ‘Statens Serum Institut’ che ha subito destato l’attenzione dell’Oms che ha prontamente fatto sapere di “essere in contatto con le autorita’ danesi per saperne di piu'”. Con una decisione presa “non a cuor leggero” la premier Mette Frederiksen ha ordinato che tutti gli esemplari di visone presenti negli oltre 1.100 allevamenti devono essere uccisi. “Il prima possibile”, gli ha fatto eco il capo della polizia nazionale Thorkild Fogde. E cosi’ e’ stato: l’inevitabile mattanza e’ iniziata senza esitazione con i dipendenti dell’Amministrazione veterinaria e alimentare e dell’Agenzia danese per la gestione delle emergenze che – muniti di tute protettive e maschere antigas – hanno cominciato ad abbattere i visoni a Gjol, nello Jutland settentrionale. In quest’area ben 207 allevamenti sono stati infettati. Un numero enorme se si pensa che il mese scorso erano 41. I primi casi di SarsCov2 negli allevamenti della zona erano stati rilevati a meta’ giugno. Lo scorso primo ottobre le autorita’ danesi avevano deciso di eliminare tutti gli animali infetti e gli allevamenti nel raggio di 7,8 chilometri. Ma evidentemente non e’ bastato. Per 280mila persone che vivono nello Jutland sono scattate delle restrizioni speciali. La premier li ha “fortemente incoraggiati a non spostarsi per evitare la diffusione del virus” e al contempo ha ordinato la chiusura di bar e ristoranti dell’area.

La presenza di questa mutazione trasmessa dai visoni all’uomo, e’ importante non solo per la Danimarca, rileva Herve Bercovier, professore di Microbiologia dell’universita’ di Gerusalemme, ricordando che “casi di Covid-19 sono stati segnalati finora anche negli allevamenti di Olanda, Spagna, Usa e Svezia”. Con la consapevolezza che “il virus mutato puo’ avere conseguenze devastanti in tutto il mondo” la premier Frederiksn ha preso una decisione che avra’ conseguenze pesantissime per la Danimarca che e’ il secondo produttore mondiale di pellicce di visone dopo la Cina. La sola Kopenhagen Fur, una cooperativa di 1.500 allevatori danesi, rappresenta il 40% della produzione mondiale delle pellicce di questi esemplari. Secondo le stime di Copenaghen, l’abbattimento dei 17 milioni di visoni del Paese potrebbe costare fino a 5 miliardi di corone, quasi 800 milioni di dollari. La drastica decisione adottata dai danesi ha indotto l’associazione animalista Lav (Lega antivivisezione) ad appellarsi nuovamente al Governo italiano affinche’ insieme agli esperti del Comitato Tecnico Scientifico “decida finalmente di vietare definitivamente in Italia l’allevamento di visoni e di animali per la produzione di pellicce”. Mentre la Danimarca ha appena iniziato la sua battaglia contro i visoni, l’Europa di fronte all’aggressivita’ del virus continua a ricorrere a confinamenti e restrizioni piu’ o meno estese. per cercare di difendersi. Anche la Grecia – come gia’ hanno fatto Francia, Spagna, Italia, Gran Bretagna e Germania – ha annunciato da sabato l’inizio del suo secondo lockdown. L’Onu, intanto, ha annunciato un summit straordinario sul Coronavirus il 3 e 4 dicembre prossimi.

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Copernicus, marzo 2024 il mese più caldo mai registrato

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Il marzo del 2024 è stato il mese di marzo più caldo mai registrato. Lo rende noto il servizio meteo della Ue Copernicus. La temperatura media globale il mese scorso è stata di 14,4°C, superiore di 0,73°C rispetto alla media del trentennio 1991 – 2020 e di 0,10°C rispetto al precedente record di marzo, quello del 2016. Il mese inoltre è stato di 1,68°C più caldo della media di marzo del cinquantennio 1850 – 1900, periodo di riferimento dell’era pre-industriale. Secondo Copernicus, il marzo 2024 è il decimo mese di fila che si classifica come il più caldo mai registrato.

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Ecdc-Efsa, rischio diffusione dell’aviaria su larga scala

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Si alza il livello di attenzione sull’influenza aviaria da virus A/H5N1. Dopo tre anni che l’agente patogeno circola in maniera particolarmente sostenuta tra uccelli selvatici e di allevamento, infettando anche mammiferi ed espandendo la sua area di diffusione, da poco più di una settimana gli occhi sono puntati sugli Stati Uniti, dove si segnalano infezioni in allevamenti di mucche da latte. Al momento sono interessati una dozzina di allevamenti dislocati in cinque stati (Texas, Kansas, Michigan, New Mexico, Idaho). Il primo aprile, poi, i Centers for Disease Control and Prevention hanno diffuso la notizia che anche un uomo ha contratto l’infezione; le sue condizioni sono buone.

Ad oggi si ritiene che sia gli animali sia l’uomo abbiano contratto l’infezione attraverso il contatto con uccelli infetti. Secondo le autorità americane questi casi non cambiano il livello di rischio, che resta basso per la popolazione generale. Tuttavia, i segnali di allarme si moltiplicano. In un rapporto pubblicato mercoledì, l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa), avvertono: “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.

Fino a oggi, le infezioni nell’uomo sono poche (circa 900 dal 2003) e del tutto occasionali. Non ci sono prove di trasmissione tra mammiferi, né da uomo a uomo. Tuttavia, la congiuntura invita alla massima attenzione. In piena pandemia, nel 2020, è comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione.

Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti. Anche i fattori ambientali giocano a suo favore: i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, influenzando le abitudini degli animali e intensificando gli incontri tra specie diversa, fanno crescere ulteriormente le probabilità che il virus vada incontro a modifiche.

Nonostante ciò, al momento non ci sono dati che indichino che A/H5N1 abbia acquisito una maggiore capacità di infettare l’uomo. Tuttavia, se questa trasformazione avvenisse saremmo particolarmente vulnerabili. “Gli anticorpi neutralizzanti contro i virus A/H5 sono rari nella popolazione umana, poiché l’H5 non è mai circolato negli esseri umani”, precisano le agenzie. Per ridurre i rischi Ecdc ed Efsa invitano ad alzare la guardia, rafforzando le misure di biosicurezza negli allevamenti, limitando l’esposizione al virus dei mammiferi, compreso l’uomo, e intensificando la sorveglianza e la condivisione dei da

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Da 20 anni aria più pulita in Europa, ma non basta

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Da 20 anni a questa parte si respira un’aria più pulita in Europa, ma nonostante ciò la maggior parte della popolazione vive in zone in cui le polveri sottili (PM2.5 e PM10) e il biossido di azoto (NO2) superano ancora i livelli di guardia indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: il Nord Italia, in particolare, è tra le regioni con le concentrazioni più alte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Nature Communications dall’Istituto di Barcellona per la salute globale (ISGlobal) e dal Centro nazionale di supercalcolo di Barcellona (Bsc-Cns). I ricercatori hanno sviluppato dei modelli di apprendimento automatico per stimare le concentrazioni giornaliere dei principali inquinanti atmosferici tra il 2003 e il 2019 in oltre 1.400 regioni di 35 Paesi europei, abitate complessivamente da 543 milioni di persone. Per lo studio sono stati raccolti dati satellitari, dati atmosferici e climatici e le informazioni riguardanti l’utilizzo del suolo, per ottenere una fotografia più definita rispetto a quella offerta dalle sole stazioni di monitoraggio. I risultati rivelano che in 20 anni i livelli di inquinanti sono calati in gran parte d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il PM10 (con un calo annuale del 2,72%), seguito da NO2 (-2,45%) e dal PM2.5 (-1,72%).

Le riduzioni più importanti di PM2.5 e PM10 sono state osservate nell’Europa centrale, mentre per NO2 sono state riscontrate nelle aree prevalentemente urbane dell’Europa occidentale. Nel periodo di studio, il PM2.5 e il PM10 sono risultati più alti nel Nord Italia e nell’Europa orientale. Livelli elevati di NO2 sono stati osservati nel Nord Italia e in alcune aree dell’Europa occidentale, come nel sud del Regno Unito, in Belgio e nei Paesi Bassi. L’ozono è aumentato annualmente dello 0,58% nell’Europa meridionale, mentre è diminuito o ha avuto un andamento non significativo nel resto del continente. Il complessivo miglioramento della qualità dell’aria non ha però risolto i problemi dei cittadini, che continuano a vivere per la maggior parte in zone dove si superano i limiti indicati dall’Oms per quanto riguarda il PM2.5 (98%), il PM10 (80%) e il biossido di azoto (86%). Questi risultati sono in linea con le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente per 27 Paesi dell’Ue, basate sui dati provenienti dalle stazioni urbane. Inoltre, nessun Paese ha rispettato il limite annuale di ozono durante la stagione di picco tra il 2003 e il 2019.

Lo studio ha infine esaminato il numero di giorni in cui i limiti per due o più inquinanti sono stati superati simultaneamente. E’ così emerso che nonostante i miglioramenti complessivi, l’86% della popolazione europea ha sperimentato almeno un giorno all’anno con sforamenti per due o più inquinanti: le accoppiate più frequenti sono PM2.5 con biossido di azoto e PM2.5 con ozono. Secondo il primo autore dello studio, Zhao-Yue Chen, “sono necessari sforzi mirati per affrontare i livelli di PM2.5 e ozono e i giorni di inquinamento associati, soprattutto alla luce delle crescenti minacce derivanti dai cambiamenti climatici in Europa”.

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