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Cronache

Immigrazione illegale e jihad, arresti e perquisizioni

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“Hanno ancora le scarpe bagnate, ho paura che le forze di polizia se ne accorgano e ci controllino”. Da questa frase, intercettata dalla Digos e pronunciata da un uomo durante uno sbarco di clandestini a Mazara del Vallo (Trapani) prende il nome un’operazione – “Wet Shoes”, scarpe bagnate – che ha portato all’alba di oggi all’arresto di tre persone per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante della transnazionalità, e a 44 perquisizioni a carico di 18 indagati (oltre a 26 persone risultate vicine all’organizzazione), nelle province di Ancona, Fermo, Ferrara, Catanzaro, Modena, Macerata, Siracusa e Verona.

Si tratta del risultato di una vasta indagine diretta dalla Dda di Ancona, in coordinamento con la Procura di Macerata, condotta dalla Digos di Roma e Macerata e dalla Direzione centrale della Polizia di prevenzione. In manette tre tunisini: due in carcere, il terzo ai domiciliari, su disposizione del gip del Tribunale di Ancona. Secondo gli investigatori, grazie ad una fitta rete di complicità sul territorio maceratese, comprendente anche titolari di aziende e pubblici ufficiali, avevano costruito un sodalizio criminale che gestiva l’approdo clandestino di migranti, prevalentemente nordafricani, sulle coste siciliane, con supporto logistico e copertura per avere i documenti necessari a muoversi nell’area Schengen. Tra gli stranieri intenzionati ad arrivare in Europa anche persone ritenute dagli inquirenti contigue a circuiti di combattenti impegnati in teatri di jihad, tanto che i tre arrestati verranno sottoposti ad ulteriori accertamenti su eventuali movimentazioni finanziarie sospette che potrebbe essere connesse a fenomeni terroristici.

Tra i siti oggetto di indagine un Caf (Centro di assistenza fiscale) maceratese ed un casolare ritenuto meta abituale di clandestini nelle campagne maceratesi. L’indagine costituisce uno sviluppo investigativo dell’attività condotta dalla Digos di Roma, dopo l’attentato terroristico del 19 dicembre 2016 a Berlino, compiuto dal tunisino Anis Amri, ritenuto vicino all’Isis, che era entrato in Italia come clandestino per poi arrivare in Germania con falsi documenti di identità italiani. Amri morì ucciso in un conflitto a fuoco a Sesto San Giovanni (Milano), pochi giorni dopo l’attentato. La stessa attività ha portato nel tempo a disarticolare la rete dei contatti italiani dell’attentatore, in particolare tra Roma e Latina, e a individuare un gruppo dedito alla falsificazione dei documenti in Campania, culminando nelle operazioni della Digos Mosaico, Mosaico II e Mosaico III tra il 2018 e il 2022, con misure cautelari e una condanna definitiva.

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Processo sui conti della Juve aggiornato al 10 maggio per le richieste di aspiranti parti civili

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Inchiesta Juventus, udienza aggiornata al 10 maggio: la Juve ed Ernst & Young sono state citate come responsabili civili nel processo sui conti della società bianconera. Il giudice dell’udienza preliminare, Marco Picco, oggi a Torino nel corso dell’udienza, ha accolto una richiesta di alcune aspiranti parti civili, per questo motivo è stata aggiornata per discutere ulteriormente il loro ingresso nel processo. La Juventus è già presente fra gli imputati del procedimento in qualità di persona giuridica.

Gli imputati sono 13, fra cui Andrea Agnelli e la stessa società. Del collegio di difesa fa parte anche l’avvocata Paola Severino, già ministro della Giustizia fra il 2011 e il 2013.
Nella maxi aula non erano presenti  Cristiano Ronaldo né Paulo Dybala:i calciatori potrebbero rivendicare dalla società bianconera una parte degli stipendi arretrati. Tra i presenti figurano la Consob e gli avvocati di una trentina di piccoli azionisti e di alcune associazioni, tra cui il Codacons e il Siti (Sindacato Italiano tutela investimenti).

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Abodi a Napoli, palestre meritano aiuto per difficoltà

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“Le palestre sono un presidio di socialità e poi naturalmente di legalità. Questa mia visita stamattina è la dimensione più profonda del mandato che mi è stato affidato, perché è facile occuparsi dello sport di vertice o anche a livello industriale, ma credo che il senso di un ministro dello Sport si ritrovi nella dimensione sociale di queste palestre, di queste realtà che sono meritevoli di attenzioni non in una giornata speciale ma ogni giorno”. Lo ha detto il ministro dello sport Andrea Abodi a Napoli a margine della sua vista all’impianto Polifunzionale di Soccavo, punto di riferimento per l’ampia area occidentale di Napoli, e nel cuore del Parco San Paolo, in cui i giovani affrontano spesso problemi sociali.

Abodi ha incontrato il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, ma anche Patrizio Oliva e Diego Occhiuzzi, ex campioni mondiali nella boxe e nella scherma che ora gestiscono la palestra “Milleculure” nel centro Polifunzionale: “Quello che viene fatto qui – ha detto Abodi – come in tanti altri luoghi del nostro Paese merita qualcosa di più, anche il superamento delle difficoltà, perché quando si viene in luoghi come questo si gioisce per quello che si vede, l’entusiasmo delle persone, i bambini, la presenza di tanta gente che senza un’agenzia educativa come questa magari sarebbe in mezzo a una strada e senza un obiettivo, una regola. A volte si ha la certezza che lo sport, non dico si sostituisca, ma in qualche modo svolga pienamente di più la funzione rispetto ad altre agenzie educative che le hanno un po’ perse e mi auguro possano ritrovare. Lo dico senza mancare di riguardo alla scuola che è un presidio assoluto o alla famiglia che rimane un punto di riferimento inevitabile. Ma è evidente che vivendo mezza giornata qui ci si rende conto di quanto questa realtà educhi più di tante altre e quindi abbia bisogno di un ascolto costante. Ci vorrebbe semplicemente la capacità di osservare, ascoltare, rispettare e comportarci da parte nostra di conseguenza, perché le piccole e grandi problematiche possano essere affrontate con spirito nuovo. Il ministro vicino a realtà come queste, altrimenti non avrebbe senso avere un ministro per lo Sport”.

Abodi ha parlato concretamente della volontà di stanziare fondi: “Questo vale per Napoli – ha detto – così come per altre realtà, delle grandi città ma anche delle periferie sociali dell’Italia. Le risorse paradossalmente non mancano, dobbiamo scardinare meccanismi che a volte sono burocratici, dobbiamo far nascere progettualità e dove c’è la volontà come qui non è pensabile che non si trovino soluzioni”.

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Zia della bimba morta di stenti: mia sorella deve pagare

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“Diana era la bimba più bella del mondo, non si meritava tutto questo, lei deve pagare per ciò che ha fatto”. Lo ha detto ai cronisti Viviana Pifferi, sorella di Alessia, la 37enne che era presente stamani alla prima udienza del processo in cui è accusata di omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di quasi un anno e mezzo, abbandonandola da sola in casa per sei giorni. La sorella, anche lei in aula in Corte d’Assise a Milano e con una maglietta addosso con stampata la foto della nipote, e la madre della 37enne, nonna della piccola, saranno parti civili nel processo contro Alessia Pifferi.

Stamani il processo, davanti alla Corte presieduta da Ilio Mannucci Pacini, è stato subito rinviato al prossimo 8 maggio, perché nei giorni scorsi Alessia Pifferi ha cambiato ancora una volta difensore. Poi, ha richiamato il precedente legale, il quale alla fine ha rinunciato al mandato. Ora è assistita dall’avvocato Alessia Pontenani, la quale ha chiesto termini a difesa essendo stata nominata solo qualche giorno fa. Rinvio concesso dai giudici data la “delicatezza e complessità del procedimento”. Nella prossima udienza, come ha spiegato il legale Emanuele De Mitri che le rappresenta, la madre e la sorella di Alessia Pifferi, rispettivamente nonna e zia della bimba, si costituiranno parti civili contro la 37enne, in carcere da fine luglio scorso nell’inchiesta della Squadra mobile di Milano, coordinata dai pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro.

La Procura ha contestato nell’imputazione di omicidio volontario anche l’aggravante della premeditazione, oltre a quelle di aver ucciso la figlia e dei motivi futili e abietti. La piccola, scrivono i pm nell’imputazione, venne lasciata “priva di assistenza e assolutamente incapace, per la tenerissima età, di badare a se stessa, senza peraltro generi alimentari sufficienti e in condizioni di palese ed evidente pericolo per la sua vita, pure legate alle alte temperature del periodo”. Tutto ciò causò “nella minore una ‘forte disidratazione'” che portò alla morte. Dopo aver chiuso la porta di casa, la donna se ne era andata dal compagno (non padre della bimba) in provincia di Bergamo. La 37enne nel processo rischia la condanna all’ergastolo (aveva provato a chiedere il rito abbreviato, ma l’istanza è stata respinta in base alle normative). La difesa potrebbe puntare su un’istanza di perizia psichiatrica per valutare un eventuale vizio di mente al momento dei fatti. “Deve pagare”, ha ripetuto la zia in lacrime. Nella prossima udienza saranno trattate le questioni preliminari e la fase della ammissione prove. Il processo, ha spiegato il presidente della Corte, sarà trattato “tra la seconda metà di giugno e la prima metà di luglio” e si potrebbe chiudere anche prima dell’estate. Oppure a settembre.

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