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Tecnologia

Iliad rompe il mercato, Wind piange al telefono e salta l’alleanza russo-cinese in Italia tra Veon e CK Hutchinson

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Telefonia. Grandi manovre per conquistare clienti dopo l’ingresso dell’operatore low cost Iliad in Italia

L’alleanza russo-cinese nel mercato italiano della telefonia salta dopo 18 mesi. La società russa Veon ha comunicato che dopo volta ottenuti i via libera dalle autorità di vigilanza italiane ed euruopee  venderà ai soci cinesi di CK Hutchinson il suo 50% di Wind Tre, la società nata il 31 dicembre del 2016 dall’unione di 3 Italia e Wind. Veon, la ex Vimpelcom che aveva comprato Wind dall’egiziano Naguib Sawiris nel 2011 (il quale a sua volta l’ aveva rilevata dall’Enel), chiude la sua esperienza incassando 2,45 miliardi di euro dai cinesi, con un guadagno netto di quasi un milione di euro. Soldi che utilizzerà per ridurre i debiti e per crescere nel mercato asiatico, in particolare in Bangladesh e Pakistan dove milioni di persone chiedono di accedere al servizio di telefonia mobile. CK Hutchinson, che diventerà proprietario unico, ha definito l’intesa «un passo chiave nel consolidare una parte importante degli asset nelle telecomunicazioni» dell’azienda, che si è data l’obiettivo di costruire «una piattaforma di rilevanza globale per arrivare alla nuova generazione di prodotti e servizi». Per i clienti questa modifica dell’assetto proprietario non cambierà nulla. Può essere che CK Hutchinson usi la maggiore autonomia per sfruttare il più possibile strategie di prezzo e d’offerta adeguate al’lto competitività del settore.

L’ operazione dovrebbe concludersi entro settembre e conferma la vivacità del mondo delle telecomunicazioni italiano, scombussolato dall’ingresso dell’operatore low cost francese Iliad a fine maggio. Secondo un report della banca d’affari Berenberg citato da Mf, il gruppo fondato da Xavier Niel sarebbe partito forte, registrando a giugno 250mila richieste di portabilità e quindi drenando clienti dalle compagnie rivali. Wind Tre, che con il 35,2% delle sim “umane” (cioè quelle legate a smartphone e tablet) è il leader di mercato italiano, è quella che rischia di più. In un recente studio di Standard & Poor’s, gli analisti ricordano che il posizionamento dell’azienda nella fascia medio-bassa del mercato la rende concorrente naturale di Iliad, alla quale ha concesso l’utilizzo della rete di trasmissione. Nello stesso tempo le aziende rivali, Tim e Vodafone, si sono adoperate per rispondere alla concorrenza dei francesi lanciando i loro marchi low cost, rispettivamente Kena e “ho”, con prezzi competitivi e la forza di una rete di trasmissione più forte di quella di Wind Tre.

Già a febbraio Veon aveva comunicato che il fatturato di Wind Tre nell’ultimo trimestre del 2017 era sceso dell’11%, a 1,6 miliardi di euro, a causa di un calo dell’8,1% dei ricavi nel servizio mobile e una diminuzione dei clienti del 5,8%, a quota 29,5 milioni.  

 

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Neuralink di Elon Musk raccoglie 43 milioni di dollari

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Neuralink, la società fondata da Elon Musk che sviluppa chip impiantabili in grado di leggere le onde cerebrali, ha raccolto ulteriori 43 milioni di dollari di nuovi investimenti. Lo riporta il sito TechCrunch, basandosi su un documento depositato presso la Sec, l’ente federale statunitense che vigila sulla Borsa. Il documento mostra che la nuova iniezione di capitale è arrivata pochi mesi dopo un’altra operazione da 280 milioni di dollari guidata dal Founders Fund di Peter Thiel, uno dei nomi più iconici della Silicon Valley. Secondo il sito, Neuralink ora sarebbe valutata circa 5 miliardi di dollari.

Fondata nel 2016, Neuralink ha ideato un dispositivo in grado di impiantare fili ultrasottili all’interno del cervello. I fili si collegano a un chip progettato su misura contenente elettrodi in grado di leggere informazioni da gruppi di neuroni. Dopo sperimentazioni su animali e dopo diversi dinieghi, a maggio la società di Elon Musk ha ricevuto l’approvazione della Fda per gli studi clinici sull’uomo e ha aperto al reclutamento. Sta cercando un volontario per il suo primo test clinico: un adulto con meno di 40 anni e con i quattro arti paralizzati.

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IA sul lavoro, favorevole il 72% delle aziende italiane

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Il 72% dei leader aziendali in Italia afferma che l’IA generativa sarà vantaggiosa per i dipendenti. È quanto emerge dalla nuova indagine di LinkedIn condotta su oltre 1.000 manager in sei paesi europei. Gli italiani ritengono che l’eliminazione di attività noiose e ripetitive (49%), l’aumento della produttività (45%) e la maggiore disponibilità di tempo da dedicare al pensiero creativo (40%) rappresentino i maggiori benefici che l’IA generativa porterà ai dipendenti. Oltre un terzo (34%) ritiene inoltre che l’ascesa della tecnologia creerà nuovi ruoli all’interno della propria organizzazione.

I dati dell’ultimo report Future of Work: AI at Work di LinkedIn mostrano che l’IA sta già ridisegnando il mondo del lavoro, con le imprese che cercano di massimizzare il potenziale della tecnologia. Le posizioni di “Head of AI” sono triplicate a livello globale negli ultimi cinque anni e, in Italia, gli annunci di lavoro che menzionano l’IA sono quasi quintuplicati (4,7 volte) negli ultimi due anni.

A livello europeo, sono i manager in Germania i più ottimisti sull’IA (93%), seguiti da Regno Unito (81%) e Francia (80%). Nuovi dati diffusi dal Work Trend Index di Microsoft confermano il guadagno in termini di produttività derivante dagli strumenti di IA generativa come Microsoft Copilot. Il 77% tra i primi utenti che hanno provato il nuovo chatbot per Microsoft 365 per svolgere il proprio lavoro ha dichiarato di non volervi più rinunciare. LinkedIn prevede che le competenze richieste ai lavoratori cambieranno almeno del 65% entro il 2030, accelerate dai rapidi sviluppi dell’intelligenza artificiale. “Un futuro all’insegna dell’intelligenza artificiale è possibile, ma sarà fondamentale che i leader aziendali in tutto il mondo comprendano come preparare la forza lavoro” ha sottolineato in una nota ufficiale Marcello Albergoni, Country Manager di LinkedIn Italia.

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Tecnologia

Negoziato in salita sulle regole Ue per l’IA

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Bruxelles si preparava a brindare al via libera dell’AI Act, la prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale, ma i festeggiamenti rischiano ora di slittare al nuovo anno. A mettere i bastoni tra le ruote di un negoziato già complesso, ci hanno pensato Italia, Francia e Germania che in un documento hanno espresso la propria contrarietà a introdurre nel provvedimento delle “norme non testate” sui modelli più performanti dell’IA come GPT-4, alla base del chatbot ChatGPT. Sul punto, uno dei più spinosi delle trattative che vedono coinvolte le istituzioni europee, i tre big dell’Ue suggeriscono di scegliere la via dell’autoregolamentazione attraverso codici di condotta per gli sviluppatori di IA.

E questo per non gravare le imprese di eccessivi oneri amministrativi che soffocherebbero l’innovazione in un settore cruciale per il futuro. Un tema caro soprattutto al presidente francese, Emmanuel Macron, che nei giorni scorsi aveva esortato a elaborare una “regolamentazione non punitiva per preservare l’innovazione”. Nella ricerca di un delicato equilibrio tra progresso e tutela dei diritti umani, spetta al Parlamento europeo puntare i piedi. “Non siamo disposti ad accettare autoregolamentazioni light per i modelli più potenti” spiega Brando Benifei, capodelegazione degli eurodeputati Pd al Parlamento Europeo e relatore dell’AI Act, aprendo, tuttavia, alla possibilità di limitare il campo di applicazione di questa specifica regolamentazione a modelli a uso generale. I codici di condotta non sono sufficienti, basti pensare, spiega Benifei, alla vicenda di OpenAI che “ha mostrato tutta l’instabilità anche della governance delle imprese sviluppatrici di modelli potenti, che comportano cioè un rischio sistemico”.

Imperativo quindi introdurre “obblighi chiari” e “sanzionabili”, dice ancora l’eurodeputato dem ricordando che nella proposta di Roma, Parigi e Berlino “non c’è nessun incentivo a rispettare le regole auto-attribuite”. Ma a minare il campo verso la chiusura del dossier c’è anche la questione dell’uso degli strumenti di IA nell’ambito della sicurezza nazionale, su cui gli Stati dell’Ue chiedono delle ampie deroghe rispetto all’impostazione più restrittiva del Parlamento. La conclusione dell’accordo sull’AI Act, attesa per il 6 dicembre, dipenderà, per Benifei, dallo “sforzo che farà il Consiglio di trovare un punto di caduta sufficientemente ambizioso”.

Fino al via libera e all’attuazione della legge sull’IA, gli Stati non se ne staranno però con le mani in mano. Un segnale in questo senso arriva dal Garante per la protezione dei dati personali che ha avviato un’indagine conoscitiva su siti internet pubblici e privati per verificare l’adozione di misure di sicurezza adeguate ad impedire la raccolta massiva di dati personali, nota come webscraping, per l’addestramento degli algoritmi di IA da parte di soggetti terzi. A seguito dell’indagine conoscitiva, l’Autorità potrà adottare i necessari provvedimenti, anche in via d’urgenza.

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