Collegati con noi

Cronache

Ilaria Alpi, ucciso il somalo assolto dopo 16 anni

Pubblicato

del

Una bomba sotto il sedile della sua auto: un attentato nel piu’ classico stile da film d’intrigo ha ucciso oggi a Mogadiscio Hashi Omar Hassan, 49 anni, l’uomo che fece da capro espiatorio per l’omicidio nella capitale somala della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin. Con la sua morte si sigilla, forse definitivamente, il guscio di mistero che a oltre 28 anni di distanza avvolge ancora quel duplice delitto, senza colpevoli e senza verita’. Hashi e’ stato infatti l’unica persona condannata: indicato come autista del commando di miliziani somali che crivello’ di colpi i due giornalisti che indagavano su un presunto traffico internazionale di rifiuti e di armi. Nel 2016 Hassan e’ stato definitivamente assolto, dopo aver scontato oltre 16 anni di carcere e uno di servizi sociali, una volta accertato che l’ex miliziano somalo, che al momento dell’agguato – appurarono i suoi avvocati – era a centinaia di chilometri da Mogadiscio, fu vittima di depistaggi e false testimonianze. Una conclusione sulla quale tutte le parti si sono dichiarate d’accordo, familiari di Alpi compresi. Hassan fu poi risarcito dallo Stato italiano con oltre 3 milioni di euro. “Sono stati i terroristi islamici, nessun dubbio. Lo hanno ammazzato a scopo di estorsione per i soldi che aveva ottenuto per l’ingiusta detenzione in Italia”, ha dichiarato l’avvocato, Antonio Moriconi, uno dei legali del somalo. “Sono persone in cerca di soldi e se non sei d’accordo con loro ti uccidono”, ha aggiunto il legale. Una spiegazione che non accontenta pero’ la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, l’Ordine dei Giornalisti e l’Usigrai, che hanno chiesto l’apertura di una nuova inchiesta per verificare “l’esistenza di un eventuale collegamento fra questo delitto” e il processo giudiziario, che in 28 anni ha gia’ resistito a due richieste di archiviazione, per l’assassinio, il 20 marzo del 1994, dei due cronisti italiani: processo nel quale le organizzazioni giornalistiche sono parte civile. Dopo essere tornato in liberta’, secondo l’avvocato Moriconi, Hassan “voleva fare qualcosa per il suo Paese”, con il denaro del risarcimento “sognava di inserirsi nel settore dell’import-export. Faceva a volte tappa in Italia, ma andava anche in Svezia dalla figlia e poi da amici in altre citta’ d’Europa”. Hassan era stato arrestato nel 1998 durante un soggiorno in Italia, dove doveva deporre su altre vicende somale. Ad accusarlo furono due persone: Ahmed Ali Rage, detto Gelle, che si spaccio’ per testimone oculare del delitto Alpi-Hrovatin e che disse di averlo visto alla guida della Land Rover del commando di assassini; e l’autista occasionale di Ilaria Alpi, Ali Abdi, che fu ritrovato morto poco dopo il suo rientro in Somalia, nel 2003, dopo aver perso la protezione una volta accertato che la sua testimonianza era falsa. Quanto a Gelle, ha successivamente ritrattato tutto, affermando di essere stato pagato, in una deposizione resa per rogatoria acquisita dalla Corte d’appello di Perugia per la revisione del processo. Caduta l’ultima testimonianza, la vicenda di Hassan fu risolta con il processo di revisione presso la Corte d’appello perugina, che mise fine al calvario iniziato con l’assoluzione in primo grado presso la Corte d’Assise di Roma nel 1999 per “non aver commesso il fatto”: l’assoluzione fu ribaltata in appello a sorpresa nel 2000 con l’ergastolo per “concorso in omicidio”, confermato nel 2001 dalla Cassazione, che pero’ mitigo’ la condanna a 26 anni. “Non ci accontentiamo di questa verita’. Vogliamo i mandanti veri”, dissero per l’occasione i genitori di Ilaria. I mandanti veri che il 20 marzo di 28 anni fa misero a tacere Ilaria e Miran resteranno probabilmente ignoti. Alpi e Hrovatin si trovavano in Somalia dal 1992 per seguire la missione internazionale Restore Hope. L’agguato avvenne al loro rientro nella capitale poche ore dopo aver realizzato un’intervista al sultano di Bosaso, nel nord del Paese, Abdullahi Moussa Bogor, in cui seppero “di fatti e attivita’ scottanti”. “Fatti e attivita’ – dira’ poi l’inchiesta – connessi con traffici illeciti di vasto ambito”.

Advertisement

Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

Pubblicato

del

Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

Continua a leggere

Cronache

Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

Pubblicato

del

Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

Continua a leggere

Cronache

Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

Pubblicato

del

Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto