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Cronache

Il racconto della mamma di Anna Siena, una donna di 36 anni morta tra dolori lancinanti in un pronto soccorso a Napoli

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Come è morta Anna Siena? Che cosa le è successo? Com’è possibile che una donna di 35 anni in perfetto stato di salute accompagnata al pronto soccorso dell’ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli in preda a dolori lancinanti addominali, alla schiena e alle gambe, tanto da non essere in grado di camminare, e senza alcuna indagine strumentale (ecografia, radiografia), venga dimessa e rispedita a casa con due diagnosi agli antipodi?

Come è possibile che una paziente nello stato in cui s’è presentata Anna Siena (urlava dal dolore, era piegata in due, sistemata su una sedia quasi per umana pietà da un infermiere) al pronto soccorso c’è rimasta oltre due ore in attesa per essere visitata? Com’è possibile che nessuno abbia capito la gravità della situazione? Com’è possibile che un medico l’abbia visitata velocemente al pronto soccorso e diagnosticato “una colica renale con probabile sabbiolina” prima di passarla ad una sua collega perché lui era indaffarato? E com’è possibile che questa sua collega  pochi minuti dopo, sempre in maniera sommaria, veloce, senza alcun esame strumentale, come denunciano i familiari, abbia diagnosticato alla stessa donna, ad Anna Siena, una lombosciataglia e l’abbia dimessa con la prescrizione di farmaci antalgici (per lenire il dolore)?

Anna Siena. Morta tra dolori lancinanti dopo essere stata ricoverata e poi dimessa dal Vecchio Pellegrini sembra senza fare alcuna indagine strumentale

Era il 15 gennaio, mattina presto, quando Anna Siena è stata accompagnata dalla mamma in ospedale a bordo di un taxi. Al pronto soccorso Anna ci è rimasta per ore in attesa di essere visitata. Come è stata visitata l’abbiamo spiegato non in base alle nostre elucubrazioni mentali ma seguendo il filo logico della denuncia formale esposta dalla mamma di Anna alla polizia di Stato.

Perchè sulla morte di Anna Siena c’è una inchiesta della procura di Napoli. L’ipotesi di reato è quella di omicidio. Non c’è ancora nessun iscritto nel registro degli indagati, per ora. Lunedì mattina, tra poche ore, il magistrato inquirente che leggerà il primo rapporto della Polizia di Stato dovrà immediatamente nominare dei Ctu (Consulenti Tecnici d’Ufficio della procura) che saranno incaricati di eseguire l’autopsia sul corpo della donna che si trova presso l’obitorio. È un esame che verrà effettuato alla presenza dei Ctp (Consulenti Tecnici di Parte) ovvero dei consulenti nominati dai legali della famiglia Siena (che ha fatto denuncia) e quelli nominati dai legali degli indagati. Il magistrato individuerà sulla base del rapporto informativo della polizia chi sono gli indagati. Va da sé che saranno i medici che hanno curato la donna. Ovviamente, com’è giusto che sia e come è d’obbligo ribadire, chiunque sarà indagato dovrà nominare il consulente che parteciperà alla perizia necroscopica (l’autopsia), ma ciò non significa che automaticamente è colpevole di omicidio. Tutt’altro. L’avviso di garanzia, come sempre sosteniamo, è a garanzia dell’indagato. Il magistrato inquirente  informa l’indagato che c’è un accertamento di legalità sul suo conto e che potrà finire con un proscioglimento senza alcun processo o con la formulazione di accuse precise che poi dovranno essere dimostrate in un giudizio davanti ad un giudice terzo.

Rosa Tommasecchia e Angelo Siena. I genitori della povera Anna

Dal racconto della mamma della vittima, però, emerge un particolare drammatico per la famiglia Siena. Quando Anna Siena il 15 gennaio viene rimandata a casa con due diagnosi “colica renale” e “lombosciatalgia”, viene curata con farmaci antalgici prescritti dalla dottoressa che l’ha dimessa “senza averla mai sottoposta ad alcun indagine strumentale” sostiene la mamma della vittima, la signora Rosa.  Per due giorni Anna Siena rimane a letto. Non si muove. È pallida. Inappetente. Dopo due giorni di antidolorifici assunti come da prescrizione medica al pronto soccorso, la mattina del 18 gennaio, la povera Anna viene trovata a letto in condizoni pietose. “Era gonfia e ghiacciata all’addome e alle gambe” dice la mamma. Alle 5 con un taxi viene riportata all’ospedale Vecchio Pellegrini. È entrata subito in sala di rianimazione. “Alle 7,15 un medico è uscito dalla sala per dirmi che mia figlia era morta per cause a lui sconosciute”. Questa mamma, Rosa, che ha visto la figlia di 36 anni spegnersi in tre giorni, senza alcun apparente motivo, senza che in ospedale le facessero esami strumentali, si è rivolta alla magistratura. “Voglio giustizia, non cerco vendetta. Mia figlia stava bene. Era in ottima salute. Era felice. Non c’è più. E quello che è successo a lei non deve accadere a nessun altra persona. Nessun’altra mamma deve soffrire come sto soffrendo io” dice Rosa. È una mamma che sembra non abbia ancora del tutto realizzato l’entità della tragedia, non l’ha ovviamente potuta metabolizzare, sballottata com’è tra obitorio, polizia, avvocati. Difficile riuscire a spiegare a parole i sentimenti di questa donna, di questa famiglia perbene.

Pisani, il legale della famiglia della vittima: non si manda a casa una donna in quelle condizioni senza indagini strumentali

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Il divorzio Totti-Blasi, affido condiviso per i Rolex

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Adesso è definitivo: nel divorzio tra Francesco Totti e Ilary Blasi i quattro Rolex della discordia saranno in ‘affido condiviso’. Cioè i preziosi orologi rimarranno nella custodia della conduttrice, ma anche l’ormai ex marito potrà utilizzarli. Insomma: i due dovranno mettersi d’accordo. A deciderlo è stato il Tribunale Civile di Roma, che ha confermato quanto era già stato deciso in via interlocutoria nel 2023, mettendo fine, almeno per ora, a uno degli aspetti della separazione della coppia vip che più aveva fatto discutere gli appassionati di gossip.

Si parla di quattro Rolex Daytona, del valore di circa 80mila euro. Dei veri gioielli, dunque, che inizialmente erano rimasti a Blasi dopo la fine della relazione con l’ex capitano della Roma. Totti, da parte sua, ne aveva chiesto la restituzione. Una vicenda che aveva tenuto banco sulla stampa specializzata, due anni fa, e che era stata alimentata anche dalle provocazioni reciproche dei due ex coniugi. Blasi aveva persino postato un video sui social in cui prendeva in giro l’ex e in cui si immortalava davanti al negozio della Rolex nel centro storico della Capitale. Per quella provocazione si vide recapitare anche una multa per la sosta vietata della sua Smart dalla polizia locale di Roma: 42 euro.

Poca cosa, in realtà, per la popolarissima showgirl, rispetto al valore dei lussuosi orologi. Salomonica quindi la decisione del giudice: i Rolex della discordia devono rimanere nella disposizione di entrambi gli ex coniugi, ed entrambi potranno usarli, ha deciso il magistrato dopo la lettura dei documenti messi a disposizione dalla coppia. Ora le parti dovranno trovare un accordo per l’utilizzo condiviso degli orologi. Con la chiusura di questa fase, resta aperta la possibilità per entrambe le parti di impugnare il provvedimento

La decisione del Tribunale di Roma però riguarda la causa ‘possessoria’, e non già dunque la proprietà ma la disponibilità degli orologi. E anzi la proprietà degli orologi potrebbe scrivere un altro capitolo della saga Totti-Blasi, destinata ancora a guadagnarsi le prime pagine dei rotocalchi: lo scorso maggio la conduttrice era stata fotografata dal settimanale ‘Chi’ sul lago di Como con l’imprenditore tedesco Bastian Muller, col quale ha una relazione. Muller, a quanto pare, avrebbe chiesto a Blasi di sposarla. Ma prima di poterlo fare, Ilary dovrà concludere le pratiche di divorzio con l’ex Pupone.

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Strage del Ponte Morandi di Genova, il pm: schede su controlli copiate e incollate

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Copia e incolla e per giunta fatti male: erano fatte così, secondo l’accusa, le Rimt, ovvero le prove riflettometriche, i cui report servivano poi a programmare la eventuale manutenzione. E’ quanto sostenuto, in sintesi, dal pm Marco Airoldi, che con il collega Walter Cotugno, sta portando avanti la requisitoria nel processo a carico di 57 imputati per il crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43 vittime). Per dimostrarlo l’accusa ha citato la relazione del 2011 sui controllo della pila 9, quella crollata, lato mare. Quella relazione “riporta esiti di precedenti Rimt: inizia con ‘7.1 considerazioni pila 9 lato monte’ e mette questo sul lato mare.

Nella seconda riga riscrivono lato monte. Stessa cosa per la pila 10. Ma non hanno sbagliato a scrivere monte e parlano di valle, hanno proprio preso un pezzo della relazione lato monte e l’hanno incollata. Qualcuno se ne accorge e nella relazione successiva, nel 2013, sostituiscono le parole ma lasciando gli errori nelle righe dopo”. All’udienza di oggi, il pubblico ministero Airoldi ha anche parlato del calo delle spese per le manutenzioni. Come per esempio nel 2012 o nel 2016: nelle rispettive note alle relazioni di bilancio si parla di decremento delle prestazioni edili e professionali oltre che per la manutenzione sulla rete autostradale. Il motivo di tali risparmi era dovuto, per l’accusa, al fatto che non c’era più l’aumento indiscriminato dei pedaggi. E così, per sopperire, da un lato avevano più entrate dall’aumento del traffico e dall’altro perché ritardavano i lavori spalmando i costi.

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Il questore di Parma sull’aggressione ai tifosi del Napoli: “Risposta puntuale e decisa dello Stato”

Di Domenico ringrazia la Digos e respinge le critiche sulla gestione dell’ordine pubblico

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Volevo ringraziare la Digos per l’attività investigativa, ma anche gli operatori delle volanti e i vigili urbani che sono subito intervenuti sul posto”. Con queste parole il questore di Parma Maurizio Di Domenico ha commentato le indagini sull’aggressione avvenuta ai danni di un gruppo di tifosi del Napoli da parte di ultras parmigiani. Un episodio che ha suscitato clamore e critiche, soprattutto in relazione alla gestione della sicurezza durante i festeggiamenti per lo scudetto del club partenopeo.

L’agguato definito “sgradevole”

Il questore ha definito l’episodio uno “sgradevole agguato”, respingendo indirettamente le accuse di mala gestione dell’ordine pubblico e sottolineando la prontezza della risposta istituzionale. “La risposta della Procura è stata puntuale, decisa e soprattutto in tempi molto brevi”, ha dichiarato, richiamandosi alle parole del procuratore capo di Parma Alfonso D’Avino.

Difesa dei principi democratici

Di Domenico ha inoltre ribadito l’importanza del rispetto delle regole democratiche: “Siamo uno Stato democratico, principi fondamentali sono manifestare il pensiero e la libertà di unirsi pacificamente, senza armi soprattutto”. Un richiamo netto alla legalità e alla necessità che ogni manifestazione, anche sportiva, si svolga senza violenza e nel rispetto delle libertà costituzionali.

(Immagine realizzara con sistemi di Ia)

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