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Il presidente Mattarella sostiene che la “risposta è accogliere”. E incontra rifugiati al Centro Astalli

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L’accoglienza come risposta alla concretezza delle storie di chi approda in Europa. A indicare la chiave che apre le porte dell’integrazione e’ il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che al Centro Astalli, in occasione dell’inaugurazione a Roma di una nuova struttura per richiedenti asilo, ha ascoltato le vicende miste di sofferenza e riscatto dei rifugiati che ce l’hanno fatta. “Il fenomeno delle migrazioni e’ epocale, e’ presente ovunque, irrompe ovunque, e questo ovunque ci riguarda, riguarda tutti noi, in qualsiasi parte del mondo, perche’ il mondo sempre piu’ diventa piu’ raccolto – ha spiegato nel suo discorso Mattarella – Cio’ sottolinea l’esigenza che l’Onu raffigura di interventi globali, perche’ nessun Paese da solo e’ in grado di affrontare questo fenomeno”. Di fronte al presidente della Repubblica hanno preso la parola anche due rifugiati 25enni, un migrante afghano e una donna camerunense, che hanno raccontato le difficolta’ nel proprio Paese d’origine e il lungo viaggio fatto per arrivare in Italia. “Ho percorso l’Europa a piedi dopo essere sbarcato in Grecia da un barcone. E dopo essere stato accolto in Italia, in tre anni ho preso la licenza media e il diploma di scuola superiore, poi ho frequentato l’universita’ – ha raccontato Sorab che ha lasciato la madre in Afghanistan quando aveva 14 anni – e da poco piu’ di un mese sono un ingegnere meccanico laureato alla Sapienza”. Vicende che inorgogliscono il Paese e in primis il neonato ‘Centro Ricci’ per i rifugiati, intitolato al primo missionario gesuita in Cina, che si affianca alle strutture del Centro Astalli. “Accoglienza e integrazione sono le risposte alla concretezza di queste storie di sofferenza, dei conflitti, di difficolta’ nell’arrivo e nell’approdo in Europa, avendo sempre ben chiaro che al centro c’e’ la dignita’ della persona umana e la solidarieta’”, ha detto Mattarella dopo aver ascoltato i racconti di quegli migranti che nonostante le difficolta’ raggiungono l’eccellenza nel nostro Paese. “Secondo i dati dell’Onu – ha aggiunto Mattarella – i fuggiaschi, chi scappa della guerra, dalle carestie, persecuzioni sono circa 70 milioni: e’ un fenomeno che richiede un grande sforzo corale della comunita’ internazionale”. La nuova struttura e’ dedicata al sostegno dei percorsi di inclusione sociale e delle relazioni “positive e costruttive tra rifugiati e comunita’ locali”. All’interno del Centro ci sono 28 posti per l’accoglienza dei migranti impegnati in percorsi di inclusione, attivita’ di formazione, di supporto all’inserimento lavorativo, culturali e artistiche. In quelle aule da oggi c’e’ anche un crocifisso fatto di remi, donato da Papa Francesco, a simboleggiare i viaggi intrapresi dai migranti che tentano di attraversare il mare. Il crocifisso “e’ opera dell’artista Alexis Leyva Machado, meglio conosciuto come Kicho. Papa Francesco ha donato anche il necessario per il primo mese di attivita’ del Centro Matteo Ricci. “Era rammaricato per la mancanza di finanziamenti pubblici per i migranti vulnerabili che necessitano di un posto in questa struttura”, ha spiegato padre Miachael Czerny, sottosegretario della sezione migranti e rifugiati del Dicastero del Vaticano.

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Campi Flegrei, la terra trema ancora, epicentro a Bacoli

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Continuo a tremare la terra nei campi Flegrei: magnitudo 2.1, epicentro a Bacoli alla profondità di poco più di 2 km. Anche ieri erano state registrate delle scosse a Pozzuoli, poco più che strumentali ma pure avvertite dalla popolazione. Paura ma nessun danno. Pochi hanno deciso di scendere in strada anche a causa del maltempo che ha imperversato per tutta la notte con piogge forti e temporali.

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L’eredità di Totò diventa un brand: gli eredi regolamentano l’uso dell’immagine dell’artista

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Il celebre attore e poeta napoletano Totò, noto per la sua poesia “A Livella”, è diventato un’icona talmente amata da essere frequentemente rappresentata in ristoranti, pizzerie e su prodotti come le etichette di vino. Questo uso diffuso ha portato gli eredi dell’artista a decidere di intervenire per regolamentare e proteggere l’immagine del “principe della risata”.

Elena De Curtis, nipote di Totò, ha espresso preoccupazione per il modo in cui il nome e l’immagine del nonno vengono utilizzati: «Ci imbattiamo ovunque, nei posti più impensati, nel suo nome e nelle sue foto utilizzati senza il minimo rispetto del diritto all’immagine». Di fronte a questa situazione, gli avvocati degli eredi hanno iniziato a inviare comunicazioni legali a numerose attività commerciali in Italia, specialmente pizzerie che utilizzano il nome o l’immagine dell’artista.

Questo fenomeno non è limitato a un’area specifica ma si estende in varie città italiane, da Torino a Latina a Porto Ascoli. Tra i nomi di locali coinvolti figurano “Casa Totò”, “Totò e Peppino” e “A Livella”. Anche decorazioni come quadri e poesie che adornano le pareti di questi locali sono diventati oggetto di contenzioso.

L’intervento legale non si ferma solo a una questione di immagine, ma coinvolge anche il rispetto delle nuove normative. A seguito di un’ordinanza cautelare emessa a giugno 2023 dal Tribunale di Torino, è stato chiarito che l’utilizzo del nome e dell’immagine di Totò senza consenso costituisce un sfruttamento illegittimo. Gli eredi ora richiedono che non si usino più il nome e l’immagine dell’artista per fini commerciali e pubblicitari, eliminando ogni riferimento nei segni distintivi dei locali, dai siti web ai materiali di marketing.

In caso di inosservanza, il Tribunale di Torino ha stabilito il pagamento di una penale di 200 euro per ogni violazione constatata. Alcuni locali hanno già iniziato a cambiare insegna e nome per conformarsi a queste richieste, spesso sotto la guida di processi di mediazione legale.

La famiglia De Curtis, venuta a conoscenza dell’utilizzo non autorizzato del nome da parte della pizzeria “Alla casa di Totò” a Torino, ha sospeso tutte le attività che miravano alla creazione di un brand e di un format di ristoranti e pizzerie ispirati a Totò. Questo ha portato a una ricerca su scala nazionale per prevenire ulteriori usi non autorizzati del nome d’arte.

Il processo di regolamentazione, secondo gli eredi, è diventato essenziale. “Una regolamentazione a questo punto è assolutamente necessaria”, sottolinea la famiglia, non solo per proteggere l’eredità di Totò, ma anche per garantire che il suo nome e la sua immagine siano usati in modo rispettoso e appropriato.

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Carcere Lager Beccaria, la Procura di Milano: sulle torture omissioni dai vertici

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Una struttura senza alcun controllo interno, nella quale quel “sistema consolidato” negli anni di pestaggi e torture su ragazzi di 16 e 17 anni con storie problematiche, tra disagio, reati e tossicodipendenza, aveva preso piede indisturbato, almeno fino a qualche mese fa con l’arrivo del nuovo direttore al carcere minorile Beccaria. E’ lo scenario inquietante che viene a galla non solo dagli atti della Procura di Milano, nell’inchiesta che ha portato in carcere 13 agenti della Penitenziaria e alla sospensione di otto colleghi, ma dalle stesse parole degli arrestati nei primi interrogatori.

Il “metodo di violenze” attuato al Beccaria, scrivono l’aggiunto Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, “ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali”. Tra questi viene citato l’ex comandante della Polizia penitenziaria Francesco Ferone, ieri sospeso e accusato di falso nelle relazioni, “che ha consapevolmente agevolato e rafforzato le determinazioni criminose dei suoi sottoposti”.

Per questo le indagini, condotte dalla Squadra mobile e dalla stessa Polizia penitenziaria, vanno avanti per accertare, sempre da testimonianze e segnalazioni, eventuali altri casi di abusi, ma pure sospette coperture e depistaggi nell’istituto in relazione all’operato degli agenti. Intanto, cinque arrestati su sei (uno si è avvalso della facoltà di non rispondere e gli altri saranno sentiti nei prossimi giorni), interrogati dal gip Stefania Donadeo, hanno detto di essersi sentiti “abbandonati a loro stessi”, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni”. Hanno raccontato di essersi trovati a dover affrontare il rapporto coi ragazzi detenuti senza adeguata formazione, loro stessi giovani, tra i 25 e i 35 anni, di prima nomina e con scarsa esperienza. Nessun aiuto da superiori o da altre figure.

In certi casi avrebbero salvato vite intervenendo per tentativi di suicidio o incendi scoppiati. In altri, invece, sarebbe loro partita la mano come reazione violenta. Nella carte, nel frattempo, si trova uno scambio di mail del gennaio 2023 tra la mamma di un detenuto e l’allora direttrice facente funzione Maria Vittoria Menenti. La madre, dopo aver visto in videochiamata il figlio con “segni di percosse sul viso”, aveva segnalato l’episodio alla direzione. Otto giorni più tardi Menenti le aveva risposto rassicurandola “sull’adozione delle procedure previste nel caso specifico”.

Lo stesso ragazzo, mettendo a verbale l’aggressione subita il 22 dicembre 2022 da tre agenti, ha dichiarato che “mentre si trovava steso a terra davanti all’ufficio del capoposto, ancora ammanettato e sanguinante in volto”, era intervenuta l’allora direttrice “che intimava agli assistenti di togliergli le manette” e “disponeva l’invio in infermeria”. Gli agenti, scrivono i pm, “interrompevano il violento pestaggio solo per l’arrivo della direttrice”, la quale “vedeva il detenuto a terra sanguinante”. Menenti avrebbe preso parte anche al colloquio di un altro ragazzo “con il comandante e la psicologa” su presunte violenze del 18 dicembre 2022. Lo scorso dicembre si è insediato il nuovo direttore Claudio Ferrari, il quale, secondo le parole intercettate degli indagati, non avrebbe più dato “protezione” agli agenti. Nel marzo scorso, quando i vertici avevano deciso infatti di acquisire le telecamere interne, c’era preoccupazione tra i poliziotti, perché “le immagini sono veramente disastrose (…) Non solo schiaffi, calci, pugni…quello a terra”. In un altro dialogo captato una agente diceva ad un collega, ora in carcere, di mettere “un po’ di ghiaccio” sulla mano.

L’altro poco prima le aveva raccontato di aver “battezzato” un ragazzo che faceva “il bulletto”, di averlo colpito tanto forte da farsi male. E mentre dalle opposizioni sono arrivate richieste al ministro Nordio di riferire in Parlamento, il Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Antonio Sangermano, si è recato oggi al Beccaria con i propri funzionari per ascoltare vertici, personale della struttura e giovani detenuti e stilare una relazione ispettiva. Altre ispezioni avevano già evidenziato anche la “omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti fra i detenuti”.

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