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Il Pd si compatta e torna in piazza contro la manovra del Governo, i sei candidati al congresso il 29 dicembre davanti Montecitorio

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E’ la manovra del governo, in particolare l’aumento delle tasse sul volontariato, a compattare il Pd e i sei candidati al congresso, che si ritroveranno tutti il 29 dicembre in una manifestazione davanti a Montecitorio. Questo momento unitario non interrompe tuttavia la corsa dei sei aspiranti segretari, che anche in questi giorni natalizi stanno conducendo la loro campagna in vista del voto degli iscritti nei circoli, che infatti iniziera’ gia’ il 7 gennaio. Come ha sintetizzato il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, il Pd e’ impegnato a contrastare la manovra “dentro e fuori il Parlamento”; pur non potendola cambiare alla Camera, visti i numeri, i Dem hanno dato battaglia in Commissione Bilancio e nei prossimi giorni lo faranno in Aula. Per questo il 29 e’ stata convocata una manifestazione davanti alla Camera nel giorno in cui si votera’ la fiducia: hanno annunciato la loro presenza tutti e sei i candidati al congresso, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina, Francesco Boccia, Roberto Giachetti, Dario Corallo e Maria Saladino. Anche se M5s e Lega hanno annunciato l’intenzione di eliminare in futuro l’aumento dell’Ires sul terzo Settore, questa misura viene utilizzata dai Dem per allacciare una interlocuzione con un settore della societa’ in passato sempre sensibile politicamente. Molti rappresentanti di questa realta’ sono conosciuti personalmente dai dirigenti del Pd, vista la riforma del Terzo Settore avviata dai governi Renzi-Gentiloni. E in questi giorni i contatti sono stati ripresi. Questa leva e’ anche uno strumento per riannodare i fili col mondo cattolico: come ha osservato il parlamentare Pd Stefano Ceccanti, “il governo sta spingendo la Chiesa verso l’opposizione sociale”. Da due sondaggi pubblicati oggi sul Sole 24 ore e sul Corriere della Sera, il Pd e’ sempre tra il 17 e il 18%; non beneficia della flessione di Lega e M5s, ma nemmeno arretra, mostrando di avere uno zoccolo duro sul quale puntano tutti i contendenti alla segreteria. Secondo il sondaggio del Corriere un possibile partito di Renzi non andrebbe oltre il 5% pescando solo entro il bacino Dem, il che scoraggia questa ipotesi, per altro definita “non all’ordine del giorno” da Renzi. Intanto prosegue la campagna congressuale. Zingaretti ha incontrato il mondo del volontariato, Martina ha lavorato all’organizzazione della manifestazione, Giachetti ha fatto una diretta Fb con Maria Elena Boschi sulla manovra, mentre Dario Corallo ha rilanciato la sua proposta che nel futuro Pd il segretario sia eletto dai soli iscritti. Questi ultimi, secondo l’attuale Statuto, voteranno dal 7 al 23 gennaio nei circoli, per selezionare i primi tre che accederanno alle primarie aperte. L’iscrizione on-line si e’ chiusa il 21 e il presidente della Commissione Congresso, Gianni Del Moro, ha inviato i nominativi alle federazioni provinciali per una verifica. A giorni si avranno i numeri precisi. Nel congresso 2017 gli iscritti erano 450 mila ma furono solo in 266 mila a votare nei circoli, mentre ai gazebo si recarono oltre 1,8 milioni di simpatizzanti.

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Bufera sul Garante per la Privacy, Stanzione respinge le accuse: “Non ci dimetteremo, attacco politico”

Il presidente del Garante per la Privacy Pasquale Stanzione respinge le accuse di contiguità politica e nega le dimissioni. Pd e M5S chiedono l’azzeramento dell’Autorità dopo il caso Report.

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Il presidente del Garante per la Privacy, Pasquale Stanzione (foto Imagoeconomica), ha respinto con fermezza le richieste di dimissioni arrivate dalle opposizioni dopo il caso Report, assicurando che il collegio non si dimetterà.

“Le accuse sono totalmente infondate”, ha dichiarato Stanzione, aggiungendo che “quando la politica grida allo scioglimento o alle dimissioni dell’Autorità, non è più credibile”.


La polemica e il caso Report

La bufera è nata dopo un servizio della trasmissione Report, condotta da Sigfrido Ranucci, che ha ipotizzato contiguità politiche e conflitti d’interesse all’interno dell’Autorità. Nel mirino è finito in particolare Agostino Ghiglia, membro del collegio, accusato di vicinanza a Fratelli d’Italia e collegato da Report alla multa inflitta alla stessa trasmissione dopo la messa in onda di un audio privato tra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie.

“La narrazione di un Garante subalterno alla maggioranza di governo è una mistificazione che mira a delegittimarne l’azione – ha replicato Stanzione –. Il Garante assume decisioni talvolta contrarie, talvolta favorevoli al governo. Questa è la vera autonomia”.


Le reazioni delle opposizioni

Le opposizioni – Pd, M5S e Avs – hanno chiesto l’azzeramento del collegio e le dimissioni immediate del presidente, definendo “indegna” l’intervista di Stanzione al Tg1.
I parlamentari del Movimento 5 Stelle in Commissione di Vigilanza Rai hanno annunciato un’interrogazione sull’episodio, accusando la testata di essersi “prestata a un comizio difensivo”.

“Non ha più credibilità per andare avanti”, ha detto Stefano Patuanelli, capogruppo M5S al Senato, mentre Giuseppe Conte, a DiMartedì, ha parlato apertamente di “azzeramento necessario”.


Le proposte di riforma

Nel dibattito è intervenuto anche il senatore Dario Parrini (Pd), vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali, proponendo di introdurre un quorum qualificato dei tre quinti del Parlamento per eleggere i membri delle autorità indipendenti, come avviene per la Corte Costituzionale o il Csm.

“Oggi l’attuale Garante è stato eletto nel 2020 con meno del 40% dei voti degli aventi diritto”, ha ricordato Parrini.

Anche l’eurodeputato Sandro Ruotolo ha definito la situazione “paradossale”:

“Abbiamo la possibilità di far dimettere il Capo dello Stato, ma non il collegio del Garante della Privacy. Serve un passo indietro e una riforma per garantire indipendenza e qualità”.


Il limite istituzionale

Come ha ricordato il giurista ed ex presidente Rai Roberto Zaccaria, né il governo né il Parlamento possono imporre lo scioglimento del Garante.

“L’unica ipotesi è che la maggioranza dei componenti, quindi tre su quattro, si dimetta. Altre non ne vedo in questo momento”.

Per ora, Stanzione non arretra: il Garante resta al suo posto, mentre lo scontro politico intorno all’Autorità continua ad alimentarsi.

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Garante Privacy, opposizioni chiedono l’azzeramento: Stanzione resiste, “accuse infondate”

Dopo il caso Report, le opposizioni chiedono l’azzeramento del Garante della Privacy. Il presidente Pasquale Stanzione respinge le accuse e difende l’autonomia dell’Autorità. Si apre il dibattito sulle regole di nomina.

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Scoppia la bufera attorno al Garante per la protezione dei dati personali dopo il servizio di Report che ha messo in dubbio l’indipendenza dell’Autorità e ipotizzato rapporti di contiguità politica tra alcuni componenti e la maggioranza di governo.

Le opposizioni, guidate da Giuseppe Conte e dal Movimento 5 Stelle, chiedono un “azzeramento” del collegio, mentre Fratelli d’Italia apre a un confronto sulle regole di nomina. Ma il presidente Pasquale Stanzione respinge con forza ogni ipotesi di dimissioni:

“Il collegio non presenterà le proprie dimissioni, le accuse sono totalmente infondate. Quando la politica grida allo scioglimento dell’Autorità, perde credibilità”.


Il caso Report e le accuse di conflitto d’interesse

L’inchiesta di Report, condotta da Sigfrido Ranucci, ha messo nel mirino in particolare Agostino Ghiglia, membro del collegio e vicino a Fratelli d’Italia, ipotizzando un conflitto d’interesse legato alla multa inflitta alla trasmissionedopo la messa in onda di un audio dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano.

Stanzione ha parlato di “mistificazione” e di un tentativo di delegittimare l’Autorità:

“Il Garante è indipendente. Le nostre decisioni possono essere talvolta sgradite al governo, ma questo è il senso dell’autonomia istituzionale”.


Le opposizioni: “Serve un nuovo metodo di nomina”

Nel centrosinistra cresce la richiesta di riformare le regole di nomina dei garanti. Il costituzionalista Stefano Ceccantiha proposto di introdurre un quorum dei tre quinti del Parlamento per garantire un consenso più ampio.
D’accordo anche Alleanza Verdi e Sinistra, con Angelo Bonelli che parla di “necessità di una maggioranza qualificata”.

Il Pd, attraverso il senatore Dario Parrini, rilancia:

“Oggi basta poco più di un terzo dei voti per eleggere i membri del Garante. Serve una regola che preveda almeno i tre quinti, come per i membri laici della Corte Costituzionale o del Csm”.

Parrini ha ricordato che nel 2020, sotto il governo Conte, gli attuali componenti furono eletti con percentuali inferiori al 40% degli aventi diritto: “Un consenso troppo esiguo per un organismo che deve rappresentare l’equilibrio delle istituzioni”.


Il centrodestra: “Ipocrisia del Pd”

Freddo il centrodestra alle richieste di riforma. “Quando il Pd era in maggioranza, non è venuto in mente a nessuno di cambiare le regole”, ha ribattuto Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, respingendo le accuse di ingerenza politica.


Pressioni politiche ma nessun potere di revoca

Nonostante le pressioni, né il governo né il Parlamento hanno il potere di sciogliere il Garante. Come ha ricordato il giurista Roberto Zaccaria, “l’unica possibilità è che la maggioranza dei componenti, tre su quattro, decida di dimettersi volontariamente”.

Una situazione che l’eurodeputato Pd Sandro Ruotolo ha definito “paradossale”:

“Abbiamo la possibilità di far dimettere il Capo dello Stato, ma non il collegio del Garante. Serve un passo indietro e poi una riforma che migliori la qualità e la trasparenza delle nomine”.

Per ora, però, il presidente Stanzione resta fermo al suo posto, deciso a difendere l’autonomia dell’Autorità da quella che definisce una “tempesta politica e mediatica infondata”.

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Politica

Manovra, scontro sulla rottamazione e coperture: la Lega spinge, il Mef frena

Inizia il confronto sulla manovra economica: la Lega chiede di ampliare la rottamazione, ma il Mef frena per mancanza di coperture. Tutti i partiti al lavoro sugli emendamenti in vista dell’esame al Senato.

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Il percorso della manovra economica è entrato nel vivo in Parlamento e già emergono le prime tensioni tra i partiti di maggioranza e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, deciso a mantenere invariati i saldi di bilancio.
A innescare lo scontro è stata la proposta della Lega di ampliare la rottamazione delle cartelle, un tema su cui via XX Settembre ha posto un netto freno per mancanza di coperture.


La posizione del Mef: “Conti pubblici sotto controllo”

Il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha espresso prudenza: “Il problema delle coperture si fa ancora più intenso. Valutiamo tutto, ma mantenendo la barra dritta sui conti”.
Una posizione che non frena l’entusiasmo del Carroccio: “Le coperture non è impossibile trovarle – replica il leghista Claudio Borghi, relatore della manovra – l’importante è che i saldi restino invariati e lo saranno”.

Leo ha inoltre confermato gli ambiti di intervento già delineati dal ministro Giancarlo Giorgetti, tra cui la possibilità di rendere strutturali iper e superammortamento, modificare le compensazioni dei crediti e rivedere l’aumento dell’Irap, con l’ipotesi di escludere le holding industriali non finanziarie.


I partiti al lavoro sugli emendamenti

Mentre il Mef impone prudenza, i partiti si preparano a presentare gli emendamenti. La Lega insiste su rottamazione, pensioni e sicurezza, chiedendo inoltre di cancellare l’aumento al 26% della cedolare secca sugli affitti brevi.
Forza Italia, che si riunirà giovedì, punta su casa, sicurezza e imprese, con l’obiettivo di cancellare la norma sui dividendi.
Fratelli d’Italia lavora su proposte di aggiustamento tecnico, mentre Noi Moderati chiede incentivi per gli affitti a lungo termine e la detassazione dei libri.

Un ulteriore nodo è quello del tesoretto da 100 milioni di euro, che dovrà essere distribuito tra i gruppi parlamentari. In arrivo anche la “tagliola” dei 400 emendamenti segnalati, destinati a essere discussi e votati.


Obiettivo: chiudere entro Natale

L’iter in Parlamento dovrà rispettare tempi serrati. L’obiettivo è portare la manovra in Aula al Senato il 15 dicembre e chiudere con il via libera definitivo alla Camera entro Natale.
“Questo è l’auspicio – ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani – ma dipenderà dalla buona volontà di tutti”.


Sindacati e imprese, nuove tensioni

Sul fronte sindacale, la Uil ha annunciato una manifestazione nazionale per il 29 novembre, mentre il leader della Cgil, Maurizio Landini, ha discusso le sue proposte con la segretaria del Pd Elly Schlein e con Avs.

Intanto, monta la polemica sul programma Transizione 5.0, i cui fondi risultano ormai esauriti. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha replicato a Confindustria, rivendicando i risultati ottenuti e sottolineando che l’esaurimento delle risorse “è la prova del successo della misura”. Tuttavia, anche i fondi di Transizione 4.0 risultano ormai completamente prenotati.

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