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Il Papa prepara suoi inviati di pace a Kiev e Mosca

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La costruzione della delicata missione di pace per l’Ucraina voluta da Papa Francesco prosegue. Sia il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che quello russo Vladimir Putin, separatamente, avrebbero accettato colloqui con due inviati speciali di Papa Francesco al fine di discutere e raggiungere un cessate il fuoco. Lo riferisce il sito di informazione vaticana Il Sismografo, indicando anche che gli inviati di Bergoglio sarebbero, per Kiev, il cardinale e arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, e per Mosca l’arcivescovo Claudio Gugerotti, prefetto del dicastero per le Chiese Orientali ed ex nunzio apostolico in Gran Bretagna, in Ucraina, in Bielorussia e nei paesi del Caucaso Armenia, Georgia e Azerbaigian.

In attesa di conferme ufficiali, potrebbe dunque essere questa la modalità della “missione di pace” per l’Ucraina annunciata dallo stesso Pontefice il 30 aprile scorso durante il volo di ritorno da Budapest. Zuppi ha l’esperienza già fatta in questo campo: aiutò infatti a raggiungere un difficile accordo di pace, quello realizzato nel 1992 per il Mozambico con la Comunità di Sant’Egidio, che pose fine a sedici anni di guerra civile con un milione di morti e quattro milioni di profughi. Portò avanti per mesi un dialogo lungo, paziente, coraggioso con i belligeranti. Zuppi, allora giovane vice parroco a Santa Maria in Trastevere, costruì questa tela, che portò allo storico accordo, con il fondatore della Comunità Andrea Riccardi. Gugerotti può contare invece sulla sua lunga carriera diplomatica nella quale ha potuto conoscere bene queste terre martoriate dalla guerra, la stessa Ucraina ma anche i Paesi del Caucaso.

Ha poi molti interlocutori, dall’una e dall’altra parte. Aspetto non secondario, il Prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, tra le diverse lingue che conosce, parla il russo. Il primo dunque potrebbe essere destinato a Kiev, il secondo a Mosca. Tutto resta però coperto ancora dal massimo riserbo e non si esclude al momento il coinvolgimento di altri alti rappresentanti del Papa, primo tra tutti quello del Segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Richard Gallagher, che è stato in missione in Ucraina a maggio del 2022 ed ha accolto Zelensky in Vaticano lo scorso sabato. E se la Santa Sede, anche per la delicatezza della questione, preferisce non commentare le indiscrezioni, quello che invece ribadisce ufficialmente è che “continuerà a fare la sua parte”, come detto ieri dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, intervenuto al dibattito generale della giornata conclusiva del summit dei capi di stato e di governo del Consiglio d’Europa, a Reykjavik. L’obiettivo resta quello di raggiungere una “pace giusta”.

“Insieme a Papa Francesco dovremmo chiedere, insieme all’Ucraina, come creare la pace: non possiamo accettare passivamente che la guerra di aggressione continui in quel Paese. È il popolo ucraino che sta morendo e soffre. È il momento di prendere iniziative per creare una pace giusta in Ucraina e in tutte le cosiddette aree grigie in Europa. Vi garantisco che la Santa Sede continuerà a fare la propria parte”, ha assicurato Parolin.

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La strage dei neonati, si allarga l’inchiesta dopo la condanna della infermiera

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Si allargano anche alle possibili negligenze dei vertici della struttura sanitaria locale le indagini idella polizia britannica sulla “strage di neonati” del Countess of Chester Hospital: l’ospedale del nord dell’Inghilterra in cui un’infermiera addetta al reparto maternità fece morire – deliberatamente secondo le accuse – 7 neonati fra il 2015 e il 2016, esponendo a sovradosaggi di farmaci almeno altri 6, per motivi deliranti che in parte restano oscuri. Il primo capitolo della vicenda si è chiuso nell’agosto scorso con la condanna all’ergastolo dell’ex infermiera 33enne Lucy Letby, ribattezzata dai tabloid “la nurse killer del Chestershire”. Mentre è di oggi l’ufficializzazione della notizia dell’apertura formale di un secondo fascicolo parallelo da parte della polizia della contea sull’ipotesi di reato di complicità in omicidio colposo plurimo a carico di responsabili dell’ospedale o di figure addette sulla carta alla sorveglianza in seno al servizio sanitario nazionale (Nhs). Figure al momento non identificate. Il sovrintendente detective Simon Blackwell ha sottolineato che le verifiche riguarderanno anche i massimi vertici dell’epoca della struttura, precisando che esse sono tuttavia “a uno stadio iniziale”. E che quindi non vi sono per ora specifici individui nel registro degli indagati.

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Ricatto di Saied, l’arma dell’invasione per i fondi

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Saied presidente Tunisia

Un gioco al rialzo o rivendicazioni a uso e consumo interno? Il presidente tunisino Kais Saied ha rifiutato un primo assegno da 127 milioni dell’Unione europea, bollandolo come “elemosina”, con un rigurgito – almeno all’apparenza – di anticolonialismo. O, piuttosto, per alzare la posta, brandendo la minaccia dell’invasione di migliaia di migranti pronti a salpare da Sfax verso le coste italiane. Con un duplice obiettivo: ricevere una somma più alta, sul modello dell’accordo da 6 miliardi di euro raggiunto dall’Ue con la Turchia di Erdogan nel 2016 per chiudere i rubinetti della rotta balcanica; e riuscire ad ottenere i 900 milioni di assistenza macrofinanziaria previsti dal memorandum del luglio scorso, sganciandoli dai quasi 2 miliardi che l’Fmi tiene bloccati in attesa di riforme. Riforme che Saied – che dal 2021 si presenta come nuovo autocrate del Nord Africa – non sembra intenzionato nemmeno ad avviare.

La Commissione europea aveva annunciato nei giorni scorsi di aver stanziato i 127 milioni da versare “rapidamente” a Tunisi. Bruxelles aveva precisato che si trattava di 67 milioni per combattere l’immigrazione illegale (i primi 42 milioni dei 105 milioni di aiuti previsti dal memorandum firmato due mesi fa e altri 24,7 milioni nell’ambito di programmi già in corso) e 60 milioni legati al sostegno del bilancio tunisino. Ma Saied ha bloccato tutto: “La Tunisia accetta la cooperazione, ma non accetta nulla che somigli a carità o favore, quando questo è senza rispetto”, ha dichiarato il presidente dopo aver rinviato e sospeso nei giorni scorsi anche le visite delle delegazioni europee, prima parlamentare e poi della Commissione. Questo rifiuto, ha tenuto a sottolineare Saied, “non è dovuto all’importo irrisorio ma al fatto che questa proposta va contro” l’accordo firmato a Tunisi e “lo spirito che ha prevalso durante la Conferenza di Roma” di luglio, “iniziativa avviata da Tunisia e Italia”.

“Non abbiamo capito ancora cosa volesse dire Saied. Non abbiamo avuto la trascrizione e stiamo lavorando per avere più informazioni”, ha ammesso un alto funzionario Ue, intuendo però che il tunisino “avrebbe preferito più aiuti” rispetto alla prima tranche. Sullo stato dell’intesa la fonte ha ricordato che il Consiglio “non è stato coinvolto” nei negoziati. Ma, ha sottolineato, “non possiamo dire che il Memorandum sia un fallimento”. E se anche a Bruxelles l’intesa con Tunisi trova un ostacolo nelle diverse posizioni dei 27, preoccupa lo stato dei diritti umani nel Paese, dove la democrazia sognata dalla rivoluzione dei Gelsomini è ormai naufragata e dove lo stesso Saied ha di fatto aizzato una caccia al migrante subsahariano, ormai poco tollerato da una popolazione alle prese con una grave crisi economica e alimentare.

Resta il fatto che l’Europa e l’Italia non possono fare a meno di lavorare con la Tunisia per arginare gli sbarchi che rischiano di mettere in crisi l’Unione e il suo futuro dopo le elezioni di giugno. E Saied lo ha capito, rilanciando ogni giorno, non solo per sedare le tensioni interne ma anche e soprattutto per spingere l’Europa, di fronte ad una crisi migratoria senza precedenti, a fare pressione su Washington per lo sblocco degli 1,9 miliardi del Fondo Monetario Internazionale.

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La Camera destituisce lo speaker, prima volta negli Usa

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La Camera ha approvato la mozione per destituire lo speaker repubblicano Kevin McCarthy, facendo precipitare il Capitol nel caos e nell’incertezza. E’ la prima volta nella storia Usa. A proporre la mozione il deputato del suo partito Matt Gaetz, un fedelissimo di Donald Trump ed esponente di una fronda parlamentare alla Camera legata al tycoon.

La votazione si è conclusa con 216 voti a favore e 210 no. Otto repubblicani hanno votato contro McCarthy. Quest’ultimo ora dovrà indicare il suo sostituto provvisorio sino all’elezione di un nuovo speaker, passaggio che non sarà certo facile e che rischia di paralizzare il Congresso proprio quando deve negoziare la prossima legge di spesa.

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