Il padrino dei Casalesi Sandokan, i rapporti con manager di Stato e alti prelati negli atti dell’inchiesta su presunti legami d’affari tra Casalesi e Rete Ferroviaria Italiana
C’è una intercettazione interessante depositata negli atti di inchiesta sulla melassa corruttiva e mafiosa dei rapporti (ad oggi si deve dire presunti) tra dirigenti di Rete Ferroviaria Italiana e esponenti di vertici del clan dei casalesi per infiltrare aziende legate all’organizzazione mafiosa negli appalti. In questa intercettazione si spiega che lui (Sandokan ovvero Francesco Schiavone) Vuole “due tute originali del Napoli”. Sono tute che il padrino in cella le vuole dall’amico di infanzia. Francesco Schiavone, il capo dei capi dei casalesi, in questa intercettazione che può apparire insignificante ma che per gli inquirenti riveste una grande importanza, conferma il rapporto tra il boss “Sandokan” e il suo amico d’ infanzia, quel Nicola Schiavone classe 1954, oggi accusato di aver veicolato appalti grazie a solidi rapporti di amicizia in Rfi oltre ad avere una “rete fatta di manager di Stato, di alti prelati, di contatti con il Ministero dei Trasporti”.
È il 5 marzo del 2016, “Sandokan” (al 41 bis) è a colloquio con la figlia e – tra gesti delle dita portate alla bocca, strizzate d’occhio, linguaggio criptico – le ripete cosa deve andare a dire a “Zio Nicola”. In sintesi: «Devi dire: …ha detto papà, vuole due cose di… (mima il numero di tre toccando il vetro divisorio), perché tu mi sei zio e mi devi aiutare (Schiavone fa l’occhiolino alla figlia)”.
Nicola Schiavone. Col padre in cella per qualche anno ha retto le fila del clan dei casalesi e sta raccontando da pentito i rapporti con la politica
E a questo punto il boss ricorre a una metafora agricola, per spiegare che tipo di rapporto c’era – almeno tanti anni fa – tra i suoi interessi e quelli di “zio Nicola”. Dunque, sentiamo che dice il boss alla figlia: “Io gli ho arato le terre quando facevo là, ho fatto tante di quelle cose, voglio due tute del Napoli… e che si interessasse ogni mese pure, per tutti quanti un poco di noi, perché mio padre è stato per te non come uno zio ma come un fratello… e sta la dentro pure per te…”. A leggerla con malizia questa intercettazione ambientale, sembra quasi che Sandokan dica alla figlia spiega a Nicola Schiavone che sono sepolto dentro un carcere al 41 bis ma posso anche decidere di uscire da qui dentro e cominciare a fare il bravo cittadino e a collaborare con la giustizia.
A proposito di collaboratori di giustizia. Per gli inquirenti non ci sono dubbi. Sono i carabinieri del comando provinciale di Caserta a ribadire che “zio Nicola” è sicuramente Nicola Schiavone classe 1954, quello che ha battezzato il figlio primogenito di Francesco Schiavone (Nicola, oggi collaboratore di giustizia), finito oggi al centro di un’ inchiesta su una decina di appalti assegnati dalla Rete ferroviaria italiana. L’inchiesta, delicatissima per il livello di rapporti che coinvolge (camorra, imprenditoria, manager di levatura e classe dirigente di rango ministeriale e politica), è dei pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede. Si scava nella rete di contatti del manager Nicola Schiavone. C’è un presunto collegamento con i clan casalesi, che viene confermato dal pentito Schiavone jr (Nicola, figlio di Sandokan), ma anche dalle metafore usate nel nucleo familiare dello stesso “Sandokan”. Per spiegare i rapporti tra l’imprenditore e il marito, Giuseppina Nappa ha fatto leva su una metafora gastronomica: “Mio marito ha messo il lievito madre…” o per usare le metafore del boss “ho arato la terra”, riferendosi ai presunti capitali sporchi investiti nelle ditte del manager;
Che cosa mostrano queste intercettazioni accluse alla informativa dei carabinieri? Intanto tratteggiano la personalità del manager di Casale di Principe con casa a Posillipo e studio in piazza dei Martiri. Un uomo pieno di risorse e rapporti. Un uomo che intreccia legami di affari e di amicizia con manager della Rfi (finiti sotto inchiesta). Un uomo che nella realtà oltre ad essere “interlocutore del presidente di Trenitalia (che non risulta agli atti essere indagato, ndr), “può contare su contatti con alti prelati e il ministero dei Trasporti”.
E la sua vita imprenditoriale è un continuo viaggiare tra Napoli e Roma, pranzi nei migliori ristoranti della Capitale, ingressi nella sede centrale della Rfi, ma anche vacanze in Costiera nei migliori alberghi, con tanto di buste regalo di cravatte di sartoria. Al San Pietro di Positano, secondo la ricostruzione degli investigatori che pedinavano Schiavone, avrebbero accertato che proprio lui salda il conto per il soggiorno di Massimo Iorani, direttore dell’area tencnico-commerciale di Rfi.
Ovviamente siamo nel campo dell’accusa, delle contestazioni, anche di reati gravi, con intercettazioni e altre fonti di prova che però devono essere passate al vaglio non solo di giudici terzi ma anche dei legali della difesa. Una difesa che conta penalisti di calibro professionale eccellente come Melania Esposito, Carlo Fabozzo, Giovanni Esposito Fariello, Fabio Fulgeri. Ed è evidente che gli indagati sono pronti a replicare alle accuse, per dimostrare la correttezza della propria condotta come amministratori pubblici o come manager privati.
Dieci appalti nel mirino, si scava nelle carte acquisite in questi giorni, mentre si cerca di capire in che modo l’ex amico di scorribande di Sandokan è riuscito ad avere facile accesso nei colossi dell’imprenditoria di Stato.
Alla centrale operativa della Compagnia Carabinieri di Giugliano in Campania arrivano diverse segnalazioni ma il messaggio è sostanzialmente lo stesso: “C’è una persona che sta passeggiando sull’Asse Mediano, sembra spaesato”.
I militari della sezione radiomobile della compagnia di Giugliano raggiungono in pochi minuti l’asse mediano. Ogni minuto può essere prezioso e la Gazzella dell’Arma percorre la strada – nota per essere percorsa ad alta velocità – in direzione Giugliano centro.
Ad un tratto compare l’uomo che vaga sulla corsia di soprasso contro le auto che sfrecciano. Lampeggianti accesi e segnalazione sul tetto dell’auto con l’avvertimento di rallentare e i carabinieri scendono dalla gazzella. Pochi secondi e l’uomo – visibilmente disorientato – viene messo in auto tra il vento, la pioggia e le auto. L’uomo, un 80enne del posto, è stato affidato ai medici del 118 e fortunatamente sta bene. I carabinieri successivamente constateranno che l’anziano si era allontanato poco prima da una casa albergo per anziani.
Una scossa di terremoto che ha avuto magnitudo 4.1, ipocentro a 10 chilometri di profondità ed epicentro a 5 chilometri dai comuni di Socchieve (Udine) e di Tramonti di Sopra (Pordenone) è stata registrata alle 22.19. Il terremoto è stato avvertito chiaramente in tutta la regione, da Pordenone a Udine, a Trieste. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia la scossa avrebbe avuto l’epicentro a Socchieve (Udine), piccolo comune della Carnia, a una profondità di dieci chilometri. La spallata è stata avvertita nettamente – anche in Veneto, in Trentino Alto Adige e nelle confinanti Austria e Slovenia – e i centralini dei vigili del fuoco hanno ricevuto decine e decine di telefonate. Al momento non si registrano danni a persone o cose.
“Abbiamo sentito un botto tremendo e abbiamo avuto tanta paura”, poi “è mancata la luce per alcuni minuti”. Lo ha detto a Rainews24 Coriglio Zannier, sindaco di Socchieve, il comune più vicino all’epicentro della scossa di terremoto di magnitudo 4.5 avvertita questa sera in Friuli-Venezia Giulia. Come danni, ha detto il sindaco, si registra “qualche caduta di tegole”, ma ora “stiamo tornando alla normalità”.
La vita di un uomo qualunque. L’acquisto di un’auto, la fila in banca per ritirare un assegno, le polizze assicurative e i bolli meticolosamente pagati. E poi gli esami medici, il ricovero e l’intervento chirurgico ottenuti in tempi record (questo forse non proprio come un comune cittadino). Man mano che emergono nuovi particolari sulla latitanza trentennale di Matteo Messina Denaroil quadro si fa più inquietante e si confermano i primi sospetti: il boss più ricercato del Paese conduceva una esistenza ordinaria grazie a una fitta rete di complici.
Oggi i carabinieri del Ros, coordinati dalla Procura di Palermo, ne hanno arrestati altri tre: l’architetto Massimo Gentile, siciliano da anni residente a Limbiate, in provincia di Monza, dove si occupa di appalti per conto del Comune e dove ha gestito decine di opere finanziate dal Pnrr; suo cognato Cosimo Leone, tecnico radiologo all’ospedale di Mazara del Vallo e Leonardo Gulotta. Salgono dunque a 14 i fiancheggiatori del capomafia finiti in cella dal 16 gennaio scorso, quando un blitz dei Carabinieri mise fine alla sua latitanza.
Da allora i militari con un paziente lavoro hanno tentato di ricostruire la vita alla macchia del boss. E stavolta hanno scoperto che a novembre del 2014 Messina Denaro andò personalmente da un concessionario auto di Palermo per acquistare una Fiat 500 e poi in banca a ritirare l’assegno da consegnare al rivenditore. Il boss usò una falsa carta di identità intestata all’architetto Massimo Gentile e indicò come numero telefonico di riferimento per eventuali comunicazioni quello di Leonardo Gulotta. L’input all’ultima indagine deriva da un appunto trovato in casa del boss.
La caccia al veicolo ha portato i carabinieri alla concessionaria dove è stata trovata la pratica dell’acquisto della macchina con i documenti consegnati dall’acquirente, tra i quali la fotocopia della carta d’identità su cui era stata incollata la foto di Messina Denaro. Il documento, che portava la firma dal padrino, conteneva alcuni dati corrispondenti a quelli di Gentile e altri falsi: come l’indirizzo di residenza indicato in “via Bono”. Per l’acquisito il capomafia ha versato mille euro in contanti e 9.000 attraverso un assegno circolare emesso dalla filiale di Palermo dell’Unicredit di corso Calatafimi.
Allo sportello, per ottenere l’assegno, ha esibito il falso documento, versato euro 9.000 cash e dichiarato che il Denaro era frutto della propria attività di commerciante di vestiti. Come recapito telefonico per le comunicazioni ancora una volta il boss ha lasciato il cellulare di Gulotta. L’auto è stata assicurata a nome di Gentile e in almeno un anno le polizze, come hanno mostrato le comparazioni grafiche, hanno portato la firma di Messina Denaro. Dalle indagini è emerso anche che nel 2007 l’architetto ha acquistato per conto del mafioso una moto Bmw che sarà poi lo stesso Gentile a portare alla demolizione in una officina a cui si fa riferimento in un pizzino nascosto in una sedia, trovato a casa della sorella di Messina Denaro, Rosalia.
I bolli di moto e auto nel 2016 sono stati pagati l’uno a 40 secondi dall’altro in una tabaccheria di Campobello di Mazara dove, sette anni dopo, pochi giorni prima dell’arresto, il capomafia era andato a fare acquisti, come dimostra uno scontrino ritrovato dal Ros. Poi c’è il fronte sanitario, tutto ancora da scandagliare. Al momento è emerso che il latitante ha potuto godere di aiuti importanti come quello ricevuto da Cosimo Leone, che si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia (Tac, come risulta da documenti sanitari, anticipata più volte).
Secondo gli investigatori, inoltre, Leone avrebbe costantemente informato dello stato del paziente un altro fiancheggiatore, Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato al boss l’identità per farsi curare. Sono decine i contatti telefonici tra i due nei giorni in cui il capomafia si trovava all’ospedale di Mazara scoperti dai carabinieri. E dalle analisi dei tabulati risulta evidente che Bonafede fece avere al boss un cellulare mentre questi era ricoverato.