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Cronache

Il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi e le chat tra Chaouqui e monsignor Balda

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Documenti recentemente resi pubblici potrebbero aggiungere un nuovo capitolo al lungo e intricato mistero della sparizione di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un messo vaticano scomparsa nel 1983. Francesca Immacolata Chaouqui e il segretario della prefettura degli affari economici del Vaticano, Angel Vallejo Balda, entrambi membri della COSEA, la commissione istituita da Papa Francesco per riformare gli enti economici della Santa Sede, appaiono in una serie di chat risalenti a dieci anni fa.

In queste conversazioni, depositate presso la Procura di Roma e una commissione parlamentare che indaga sulla scomparsa di Orlandi, Chaouqui fa riferimento alla necessità di “far sparire quella cosa della Orlandi” e parla di una presunta gestione delle prove che potrebbero essere compromettenti per il Vaticano. “Brucia questa conversazione appena la leggi”, scrive Chaouqui in una delle chat, suggerendo anche di inviare copie di documenti relativi al caso Orlandi in Procura in forma anonima.

Le chat rivelano inoltre una certa tensione e preoccupazione per le possibili implicazioni delle informazioni in loro possesso, con Balda che risponde, sebbene con un italiano incerto, che il cardinale ha sottolineato l’importanza di usare “tutta la forza” in questa vicenda e che “il Papa è con noi”.

Questi scambi di messaggi sono stati resi noti da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, tramite il suo avvocato Laura Sgrò. Durante un interrogatorio, Vallejo Balda ha negato di essere l’interlocutore in questi scambi, ma questa affermazione non è stata accolta con convinzione dal promotore di giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi.

Le rivelazioni contenute nelle chat sollevano questioni significative sulla gestione delle informazioni relative alla scomparsa di Emanuela Orlandi da parte di figure chiave all’interno del Vaticano e sulla possibile esistenza di una strategia per proteggere l’immagine della Santa Sede. La discussione sui metodi di pagamento per i servizi di georadar utilizzati per esaminare una tomba e le direttive apparentemente ricevute dal Papa evidenziano ulteriori complessità nella gestione del caso.

Questi nuovi elementi intensificano il dibattito e la speculazione pubblica su uno dei più persistenti e dolorosi misteri italiani, mettendo in luce la lotta interna tra la trasparenza desiderata da alcuni e gli sforzi di altri per mantenere segreti potenzialmente destabilizzanti. Con queste rivelazioni, la richiesta di verità da parte della famiglia Orlandi e dei sostenitori sembra destinata a intensificarsi, mentre il Vaticano potrebbe trovarsi sotto nuova pressione per fare luce sulla vicenda.

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Cronache

Vittorio Sgarbi ricoverato al Gemelli: la depressione lo piega, ma amici e ammiratori sperano in un ritorno

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Vittorio Sgarbi è ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma. Il critico d’arte e volto noto della cultura italiana è sotto osservazione a causa di un importante peggioramento delle sue condizioni di salute, legato a una sindrome depressivache lo affligge da tempo. Negli ultimi giorni, si sarebbe anche rifiutato di alimentarsi, condizione che ha reso inevitabile il ricovero in reparto per monitoraggi e controlli specialistici continui.

Una notizia che preoccupa il mondo della cultura e migliaia di persone che, al di là delle sue intemperanze e provocazioni, riconoscono a Sgarbi uno straordinario ruolo nella divulgazione dell’arte italiana.

Un anno difficile: dimissioni, inchieste e malattia

Il 2023 è stato un anno complicato per Sgarbi, cominciato con le dimissioni da sottosegretario alla Cultura, proseguito con una serie di indagini a suo carico legate ad alcune operazioni su opere d’arte, e accompagnato da problemi di salute di cui non ha mai fatto mistero. Tra questi, anche un tumore alla prostata, che ha affrontato con franchezza, raccontandolo pubblicamente senza filtri.

Nonostante tutto, a dicembre è arrivata nelle librerie la sua ultima fatica: “Natività, Madre e figlio nell’arte”, un volume che raccoglie ancora una volta il suo sguardo appassionato e visionario sull’arte sacra, e che testimonia la sua instancabile volontà di continuare a raccontare la bellezza.

“Un treno fermo in una stazione sconosciuta”

È stato lo stesso Sgarbi, in una recente intervista a Robinson de la Repubblica, a parlare apertamente della sua depressione:
«La mia attuale malinconia o depressione è una condizione morale e fisica che non posso evitare. Come abbiamo il corpo, così esistono anche le ombre della mente, dei pensieri, fantasmi che sono con noi e che non posso allontanare. Non ne avevo mai sofferto. Mi sembra un treno che si è fermato a una stazione sconosciuta».

Un’ammissione rara e potente, pronunciata da un uomo da sempre abituato a mostrarsi indistruttibile, tagliente, fuori dagli schemi. Ma anche nei suoi ultimi post social – un ricordo del padre, un pensiero per le donne, una battuta su Sanremo – si intravedeva un’ombra nuova, più malinconica, più fragile.

L’appello di Veneziani: «Rialzati e cammina, capra!»

A dare voce a chi lo ama e lo stima è stato l’amico Marcello Veneziani, che sul quotidiano La Verità gli ha dedicato un toccante appello in prima pagina:
«Rialzati e cammina, capra!». Intervistato dal Corriere della Sera, Veneziani ha parlato con lucidità del momento difficile che sta attraversando Sgarbi:
«Ha la percezione che molte delle sue libertà impulsive non potranno più essere praticate. Il suo universo si sta restringendo».

Eppure, Veneziani non perde la speranza:
«Conoscendo Vittorio, non escludo affatto un risorgimento personale. Penso che potrebbe riuscire a ritrovare il giusto impeto per riprendere la sua strada. Ma per farlo, dovrà dire addio al Vittorio Uno per aprire il capitolo del Vittorio Due».

L’augurio di tutti: ritrova la tua voce, Vittorio

Oggi Sgarbi è un paziente, ma anche un simbolo. Di una fragilità umana che può toccare chiunque, persino chi si è sempre esibito con piglio sicuro e disarmante, anche scomodo. La sua voce – ironica, appassionata, talvolta tagliente – è mancata negli ultimi giorni, e in tanti ne sentono l’assenza. Come critico d’arte, divulgatore, e prima ancora come uomo, Vittorio Sgarbi ha saputo toccare corde profonde.

Per questo oggi, l’unico vero appello che ha senso è uno solo: torna presto, Vittorio. Rialzati, riprendi a camminare, capra geniale che non ci hai mai lasciato indifferenti.

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Cronache

“Gomorra” sotto accusa a Napoli? Censurare l’arte è un errore

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Anche San Gregorio Armeno, celebre arteria dell’artigianato presepiale nel cuore di Napoli, si è unita alla protesta avviata nei Quartieri Spagnoli contro le riprese di “Gomorra: le origini”, il prequel della serie cult che racconta l’ascesa del boss immaginario Pietro Savastano. A parlare, lungo la strada dei pastori, è un grande striscione con una scritta forte e diretta:
“Gomorra napolesi in tv. Napoli dell’arte non vi sopporta più”.

L’iniziativa, lanciata dall’associazione Le Botteghe di San Gregorio Armeno, nasce con l’intento di denunciare quella che viene percepita come una rappresentazione distorta e violenta della città. «Un’immagine – spiegano – che non ci appartiene, che svilisce il cuore autentico della nostra cultura e che offusca il lavoro quotidiano di chi promuove arte, artigianato, storia e bellezza».

Una posizione legittima, che nasce da una ferita identitaria profonda, ma che non può tradursi in censura.

È giusto e condivisibile difendere la vera immagine di Napoli, città di luce, bellezza, creatività e accoglienza. Ma dire che Gomorra debba essere fermata perché offende la città è un passo falso. La fiction non racconta Napoli geograficamente, non la esaurisce, non la incasella. Gomorra è una rappresentazione simbolica, una lente d’ingrandimento su un fenomeno criminale che non è esclusivo di Napoli, ma appartiene a tutte le grandi città del mondo.

Gomorra è anche Milano, New York, Londra, Parigi. È ogni luogo dove la cultura della violenza, del denaro, della sopraffazione prevale sulla civiltà. Quella raccontata dalla serie è una realtà criminale purtroppo esistente e tangibile: la camorra esiste, uccide, controlla interi quartieri, opprime comunità, recluta giovanissimi. Far finta che non ci sia, non la fa sparire.

Non si comprende perché un documentario sulle bellezze del Golfo sia considerato “veritiero” e quello sulla camorra venga subito bollato come “fasullo”. La verità è che Napoli è entrambe le cose: splendore e abisso, arte e miseria, poesia e criminalità. Non si può celebrare la città solo quando si parla dei suoi pastori, dei suoi tramonti e dei suoi cantanti. Anche le sue ferite meritano di essere raccontate. E negare la voce all’arte, quando parla di questo, è ipocrisia pura.

C’è poi un altro aspetto che rende questa protesta al limite del paradossale: le stesse botteghe di San Gregorio Armeno che oggi si indignano, per anni hanno realizzato e venduto a centinaia le statuette dei protagonisti di Gomorra, con ottimi incassi. È lecito indignarsi oggi dopo aver cavalcato l’onda commerciale del fenomeno? Anche Don Matteo, fiction candida e rassicurante vista da milioni di italiani, non ha reso l’Italia un Paese migliore. La televisione non crea la realtà, semmai la interpreta. E Gomorra è riuscita, con efficacia narrativa e impatto estetico, a raccontare una verità scomoda.

Napoli ha diritto a raccontarsi per ciò che è: una capitale culturale, viva, geniale. Ma ha anche il dovere, come ogni città matura, di confrontarsi con le proprie ombre. L’arte non va censurata, neppure quando disturba. Al massimo, si può non condividerla, criticarla, controbilanciarla con altre narrazioni. Ma non vietarla.

La censura non è mai un atto d’amore verso la città. È solo paura. E Napoli, più di ogni altra città al mondo, ha sempre avuto il coraggio di guardarsi allo specchio. Anche quando quel riflesso faceva male. I napoletani possono avere qualunque difetto gli si voglia attribuire, ma hanno un pregio che è virtù di pochi popoli: non sono ipocriti e si raccontano da sempre con spietata severità. Forse Napoli è diventata una città migliore per questo motivo.

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Carini, tragedia durante una serata danzante: il dj Francesco Milazzo muore alla consolle

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Stava animando la serata con la sua musica, come aveva fatto tante altre volte. Ma questa volta, per Francesco Milazzo, 53 anni, non c’è stato nulla da fare. L’uomo è morto improvvisamente mentre si trovava alla consolle di un agriturismo a Carini, in provincia di Palermo, durante un evento danzante.

Milazzo era conosciuto non solo per il suo lavoro come amministratore di condominio, ma anche per la sua grande passione per la musica e la radio, che lo portava spesso a frequentare gli studi radiofonici palermitani, dove si era fatto apprezzare per la sua competenza e dedizione.

Inutili i soccorsi: Milazzo stroncato da un malore

Durante la serata, Milazzo ha accusato un malore improvviso proprio mentre stava suonando. L’allarme è scattato subito e sono intervenuti i sanitari del 118, ma nonostante i tentativi di rianimazione non è stato possibile salvargli la vita.

Sgomento tra i presenti e nella comunità che lo conosceva. La notizia si è diffusa rapidamente tra amici e colleghi del mondo radiofonico palermitano, che oggi lo ricordano con affetto.

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