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Cronache

Il miracolo della neonata viva sotto le macerie

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L’hanno trovata viva, appena nata e ancora attaccata con il cordone ombelicale alla sua mamma che non conoscerà mai. Mentre si continua a scavare senza sosta tra le macerie, dai cumuli di detriti e resti di vite spezzate arrivano anche storie di speranza. E di vita. Come quella di una neonata salvata a Jandairis, città siriana al confine con la Turchia: venuta alla luce tra le potentissime scosse, forse ore dopo quella che ha sconquassato il confine tra Turchia e Siria, ma già attaccata alla vita. I soccorritori l’hanno trovata ancora legata alla madre morta.

La piccola è l’unica sopravvissuta della sua famiglia. Il sisma ha cancellato la sua famiglia, li ha portati via tutti, ma non le ha tolto la voglia di farcela: dopo il crollo del palazzo di quattro piani sono stati ritrovati i corpi del padre, della madre, delle sue tre sorelle, di suo fratello e di sua zia. “Abbiamo sentito un rumore mentre stavamo scavando, abbiamo ripulito e trovato questa piccolina, grazie a Dio”, ha raccontato un soccorritore. “Abbiamo tagliato il cordone e mio cugino l’ha portata subito in ospedale”, ha proseguito. La sua storia sta facendo il giro del mondo in un video sui social che immortala i momenti del ritrovamento: un uomo che porta via la neonata coperta di polvere in mezzo alle macerie, mentre un altro gli lancia una coperta per proteggerla dalle temperature bassissime.

Ed una terza persona che urla, cerca una macchina per andare in ospedale, nella vicina città di Afrin, dove la piccola è stata messa in incubatrice, con la fronte e le dita ancora bluastre per il freddo pungente. Ma ce la farà, le sue condizioni sono stabili, assicurano i medici. La speranza e la ricompensa per chi scava ininterrottamente da quasi 48 ore arriva anche da Idlib, dove due fratellini sono stati estratti vivi dopo un incubo di 17 ore sotto la coltre di detriti che ha inghiottito la loro casa.

La più grande ha protetto il più piccolo fino all’arrivo dei soccorritori. Tante storie spesso simili ma straordinarie, che arrivano anche dalla Turchia: a Nizip, quartiere di Gaziantep a circa 30 chilometri dall’epicentro del sisma, una donna e i suoi tre figli sono stati tirati fuori dai resti di un palazzo 28 ore dopo il sisma. I quattro sopravvissuti sono stati trovati durante i sopralluoghi che i vigili del fuoco stanno facendo insieme ai volontari.

“Vieni, tutti ti stanno aspettando. È come uno scivolo, piccolina”, ha invece detto un soccorritore ad un’altra bambina, salvata nella provincia di Hatay, trascinandola dai piedi delicatamente e aiutandola ad uscire fuori. Tante storie, molte legate ai bambini, vittime di una tragedia più grande di loro. Sono le vittime più fragili e vulnerabili di una tragedia che soprattutto in Siria si aggiunge al dramma della guerra.

“C’è il rischio che molti rimangano soli”, spiega Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia. “I danni alle strutture come scuole, centri sanitari, idrici, alle riserve di acqua sono di vasta portata. Ci sono notizie di morti e feriti tra i bambini che in Siria continuano ad affrontare una delle emergenze più complesse al mondo”. Secondo l’Unicef, due terzi della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria a causa del peggioramento della crisi economica.

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Commerciante ucciso a Firenze, fermati due dipendenti

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Due giovani sono stati sottoposti a fermo per l’omicidio di Safaei Chakar Kiomars, il 72enne commerciante iraniano trovato privo di vita nel suo appartamento in via de Pinedo, nel quartiere di Novoli, alla periferia di Firenze giovedì scorso. Da quanto appreso sono due fratelli, uno dei quali lavorava per la vittima, l’altro è un suo ex dipendente. Una rapina finita male l’ipotesi avanzata dagli inquirenti. I due giovani sono stati sottoposi al fermo, disposto dal pm Sandro Cutrignelli, nella notte: ad arrestarli la squadra mobile fiorentina, impegnata in un’indagine i cui particolari, così si legge in una nota della Questura che si è limitata a confermare i fermi, “saranno illustrati dal Procuratore capo di Firenze a seguito del pronunciamento del giudice competente”.

Safaei Chaikar Kiomars era stato trovato privo di vita nella sua casa il 30 novembre scorso dal fratello e dal nipote, andati a casa del 72enne perchè non si era presentato al mercato del Porcellino, a due passi dal centro storico di Firenze, dove aveva un banco come ambulante e non rispondeva alle loro telefonate. L’anziano era stato rinvenuto sul pavimento nell’ingresso, le mani legate dietro la schiena con nastro adesivo e un sacchetto di tela messo sulla testa. L’appartamento in parte era messo a soqquadro. Sulle cause del decesso – soffocamento, strangolamento, oppure un malore a seguito dell’aggressione? – si attendeva l’autopsia, eseguita ieri: l’esame avrebbe rilevato fratture sul corpo, ma non sarebbero state quelle a determinare la morte, facendo invece ipotizzare che l’uomo, che tra l’altro era cardiopatico, fosse stato picchiato.

“La scena” dell’omicidio, “si presenta complessa, è avvenuto in modalità violenta e ci sono molte tracce utili”, le parole usate dal neo procuratore del capoluogo toscano Filippo Spiezia al termine di un sopralluogo nella casa. Per dare un volto a chi aveva ucciso l’ambulante la polizia ha esaminato le immagini registrate dalle telecamere nella zona dove Safaei Chaikar Kiomars abitava e convocato familiari, amici e vicini di casa della vittima, che a Firenze viveva fin dagli anni ’70 e faceva il venditore di souvenir al mercato del Porcellino: qui, il giorno dopo la scoperta della sua morte, sono stati lasciati dei fiori in suo ricordo e su alcuni banchi che non hanno aperto era esposto un foglio con scritto ‘Il tempo lenirà il dolore ma il suo vivo ricordo ci accompagnerà per sempre. Buon viaggio caro amico’. Descritta come una persona abitudinaria, il 72enne mercoledì scorso sarebbe rientrato nella casa dove viveva da solo come sempre intorno alle 20. E a attenderlo avrebbe trovato chi ne ha poi causato la morte.

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I genitori di Turetta in carcere, un’ora con il figlio

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“E’ mio figlio, comunque lo rivedrò”. Lo aveva detto, disperato e sotto choc, due settimane fa Nicola Turetta quando Filippo era stato arrestato in Germania, mentre neanche ventiquattro ore prima il corpo senza vita di Giulia Cecchettin era stato trovato in fondo ad una scarpata in Friuli. Il padre e la madre hanno scelto assieme di “non abbandonarlo” quel ragazzo che fino a meno di un mese fa consideravano “un figlio perfetto” e che si è dimostrato capace di compiere un femminicidio atroce, non fermandosi nemmeno di fronte agli strenui tentativi di difesa della 22enne che ha lottato per mezz’ora per salvarsi, invano, la vita.

Oggi la coppia è andata ad incontrarlo nel carcere di Verona, dove è detenuto da otto giorni e dopo che mercoledì scorso il gip di Venezia Benedetta Vitolo aveva dato l’autorizzazione alla visita, saltata perché né il giovane né i genitori erano ancora psicologicamente pronti. Nicola Turetta ed Elisabetta Martini sono entrati nell’istituto penitenziario stamattina poco dopo le 12 e sono rimasti a colloquio col figlio circa un’ora.

“Grazie per essere venuti da me”, avrebbe detto lui che, sin da quando era stato estradato in Italia, continuava a chiedere di poterli vedere. Hanno pianto, si sono abbracciati e l’ex studente di ingegneria biomedica – stesso corso che frequentava Giulia, che era ad un passo dalla laurea – ha ripetuto parole già usate davanti ai magistrati: “Devo pagare tutto fino alla fine, ho fatto qualcosa di terribile, ho perso la testa, ma non volevo e so che non potrete mai perdonarmi”. I due genitori mai si sarebbero immaginati nella vita questa prova: stare vicino ad un figlio che non ha esitato ad infliggere più di venti coltellate a quella ragazza che anche loro conoscevano bene. Hanno lasciato il carcere in lacrime, ringraziando gli agenti della polizia penitenziaria per il loro lavoro di custodia, e hanno promesso al figlio che torneranno. Intanto le indagini procedono: Gli inquirenti ritengono esaustivo l’interrogatorio di nove ore reso da Turetta due giorni fa.

Non ne sono stati programmati altri per ora, anche se non è escluso che, nelle indagini del pm di Venezia Andrea Petroni e dei carabinieri, ci possa essere la necessità di risentirlo. Il 21enne ha sostenuto di aver “perso la testa” quella sera dell’11 novembre di fronte a Giulia che gli aveva ribadito che non c’era spazio per riallacciare una relazione e che doveva smetterla di seguirla e ricattarla psicologicamente. Lui ha detto che era “ossessionato” da lei. “La volevo solo per me e non accettavo la fine della storia”, avrebbe messo a verbale. “Non volevo ucciderla, mi è scattato qualcosa”, ha ripetuto, mettendo di fatto sul piatto elementi che per la difesa significano, da un lato, cercare di escludere la premeditazione e, dall’altro, sollevare il tema di un ipotetico vizio di mente. Oltre ad insinuare pure dubbi sull’intenzionalità dell’omicidio, già comunque accertata dal gip, senza ricorsi al Riesame.

Con la premeditazione o altre aggravanti come la crudeltà o i motivi abietti la pena massima per Turetta passerebbe da 30 anni, ossia quella delle imputazioni attuali, all’ergastolo e non avrebbe così la possibilità di chiedere il rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo. Ora uno dei punti dell’indagine, su cui sono in corso approfondimenti, riguarda luogo e momento in cui Turetta ha sferrato la coltellata mortale all’arteria basilare, nella parte posteriore del collo.

Ovvero se l’abbia fatto mentre Giulia scappava, verso le 23.40 a Fossò, quando poi cadde sbattendo la testa sul marciapiede o all’interno dell’auto nei dieci minuti successivi, dopo averla caricata nella macchina. Dalle immagini delle telecamere acquisite e dai primi esiti dell’autopsia non si possono ancora avere certezze. Decisive su questo punto saranno anche le analisi del Ris di Parma sulla Fiat Grande Punto nera ancora in Germania e che non sarà riportata in Italia prima del 10 dicembre. Oggi è stato chiarito, infine, che non è possibile ancora sapere se il telefono trovato all’interno dell’auto sia di Turetta o di Giulia fino a che non sarà a disposizione degli investigatori, assieme alla macchina e al resto degli oggetti sequestrati.

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Asaps, sfondato muro dei 400 pedoni morti su strade italiane

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E’ stato sfondato il muro dei 400 pedoni morti sulle strade italiane dall’inizio dell’anno: ad oggi questa tragica conta ha raggiunto quota 401, di cui 257 uomini e 144 donne. Oltre la metà sono over 65. Ultima in ordine di tempo, la donna di 31 anni di origine albanese deceduta ieri sera dopo essere stata travolta da un’auto mentre camminava lungo la Statale 16 a Rimini, e nove i morti nell’ultima settimana. Lo scorso anno le vittime erano state 485, e 471 nel 2021.

I dati sono contenuti nel report in tempo reale dell’Osservatorio Pedoni dell’Asaps, l’Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale, in collaborazione con Sapidata. Sono dati comunque parziali, perchè non tengono conto dei gravi feriti che molto spesso perdono la vita negli ospedali anche a distanza di mesi: Istat infatti conta solo i decessi nei primi trenta giorni dal sinistro.

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