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Il mare di Riva Fiorita diventa verde, l’effetto è suggestivo ma si teme per l’ambiente

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Mare verde fluorescente a Riva Fiorita, suggestivo borgo marino a Posillipo. L’impatto visivo è incantevole, ma non è il solito verde cristallino bensì qualche diluente o agente inquinante. A far cambiare colore all’acqua del mare, infatti, potrebbe essere stato uno sversamento tossico. I residenti di una delle più belle zone di Napoli hanno immediatamente allertato i carabinieri, il nucleo mare della Polizia locale, la Capitaneria di Porto e l’Arpac. I funzionari dell’agenzia regionale per l’ambiente della Campania, allertati dal consigliere regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli, hanno effettuato un sopralluogo e proceduto  al campionamento dell’acqua diventata verde. Sapremo che cos’è quel verde.  Domani 23 marzo alle 12 a Riva Fiorita a Posillipo il comitato cittadino locale e i Verdi manifesteranno per il mare pulito dopo l’ultimo episodio di sversamento avvenuto in queste ore.

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La sfida dell’idrogeno, trasporti puliti e competitività

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L’idrogeno è una delle chiavi principali per la decarbonizzazione, l’indipendenza energetica e la competitività tecnologica dell’Italia. E su di esso si punta anche per ridurre i costi di luce e gas di famiglie e imprese. Il governo “è determinato nel portare avanti questa sfida” ha assicurato il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto in occasione della presentazione della ‘Strategia nazionale idrogeno’ elaborata dal Mase.

La sfida, ha aggiunto il ministro, “sarà l’adattamento del nostro sistema industriale” perché “comporterà una vera rivoluzione industriale, con un mix di produzione di energia sotto forma ordinaria e in aggiunta l’idrogeno con il suo contributo importante negli anni futuri per noi, sul fronte del trasporto pesante, aereo, navale, stradale e ferroviario”. La strategia di diffusione dell’idrogeno si sviluppa su tre scenari al 2050.

Oggi l’Italia consuma 1,5 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti petrolio) di idrogeno, utilizzato quasi solo (99%) nel settore industriale, principalmente per raffinazione e chimica (ammoniaca e fertilizzanti); nel 2030 la domanda è prevista aumentare a 1,7 Mtep, con circa la metà soddisfatta da idrogeno verde (0,72Mtep). Il contributo dell’idrogeno blu è trascurabile. Al 2050, grazie a una maggiore diffusione delle tecnologie per l’utilizzo dell’idrogeno nel settore industriale e soprattutto in quello dei trasporti, la strategia stima un possibile consumo tra 6 e 12 Mtep. L’idrogeno potrà servire per decarbonizzare i i trasporti (aerei e trasporto merci) e l’industria hard-to-abate (raffinazione del petrolio, acciaio, chimica, vetro, ceramica).

La strategia punta sullo sviluppo dell’H2 verde, sfruttando sinergicamente – anche in ragione dei minori costi di produzione attesi – sia il potenziale dell’idrogeno blu (Ccs), sia il possibile contributo, in chiave prospettica, dell’idrogeno ottenuto da fonte nucleare. Gli attuali costi associati all’idrogeno sono infatti elevati ma con prospettive di riduzione per quanto riguarda sia la produzione sia l’approvvigionamento dall’estero grazie a un importante contributo derivante dall’import dai paesi Nord-Africani.

Nelle prime fasi sono necessarie misure di sostegno per garantire investimenti, know-how e occupazione e ricorrere anche ad altri strumenti quali la promozione dell’efficienza energetica, le rinnovabili, la Ccs (Carbon capture e storage) per ridurre l’impronta carbonica dell’industria, i biocarburanti e il biometano, e, in prospettiva, il nucleare. E’ opportuno cogliere anche le possibilità offerte da un mercato internazionale dell’idrogeno, sia in importazione, sia in esportazione sviluppando infrastrutture di trasporto a media e grande distanza (pipeline) e trasporto su nave (porti).

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Cop29, aiuti climatici aumentano fino a 300 miliardi

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Dopo due settimane di negoziati, alla Cop29 di Baku passa l’accordo sull’aumento degli aiuti climatici ai paesi in via di sviluppo. Dai 100 miliardi di dollari all’anno attuali, previsti dall’Accordo di Parigi, si arriverà gradualmente a 300 miliardi all’anno nel 2035. A Baku viene approvato anche il mercato internazionale del carbonio, che permetterà agli stati di investire in progetti di decarbonizzazione all’estero. La Cop in Azerbaigian (la seconda di seguito in un petrostato, dopo Dubai l’anno scorso) doveva chiudersi venerdì. Ma l’accordo sugli aiuti climatici (il dossier più importante) non era stato raggiunto.

Così la conferenza è stata prolungata ad oggi. Venerdì era stata pubblicata una bozza di documento finale sulla finanza, con un compromesso proposto dalla presidenza azera. I paesi sviluppati si impegnavano ad arrivare a 250 miliardi di dollari all’anno nel 2035 in aiuti ai paesi in via di sviluppo, per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico.

Questa cifra era fatta di contributi pubblici a fondo perduto, ma anche di prestiti da banche multilaterali di sviluppo e banche private. La proposta era stata respinta dai paesi emergenti e in via di sviluppo del G77+Cina. Questi chiedevano 1.300 miliardi di dollari all’anno subito dal 2025, prevalentemente in contributi pubblici a fondo perduto. Sabato i paesi sviluppati hanno alzato l’offerta, arrivando a 300 miliardi all’anno al 2035, sempre da fonti pubbliche e private. E’ partita una trattativa serrata. I paesi in via di sviluppo chiedevano almeno 500 miliardi.

I gruppi dei Paesi meno sviluppati e delle Piccole isole a un certo punto hanno minacciato di far saltare il banco, perché volevano di più. Ma alla fine, l’accordo è passato, dopo le due di notte. Il documento precisa che i paesi in via di sviluppo possono erogare aiuti, ma non hanno alcun obbligo, e i loro soldi non rientrano nel conteggio dei 300 miliardi. Un modo per accontentare la Cina, che per l’Onu risulta ancora paese in via di sviluppo: Pechino vuole erogare i suoi aiuti senza avere vincoli.

Il documento finale accontenta anche l’Arabia Saudita, perché non aumenta gli impegni di decarbonizzazione rispetto a quanto deciso l’anno scorso alla Cop28 di Dubai. La Ue ha dovuto cedere su questo, come pure su diritti umani e delle donne, citati in modo generico. Il testo invita comunque ad arrivare a 1300 miliardi all’anno di aiuti al 2035, e fissa una Roadmap da Baku a Belem, sede della prossima Cop30 in Brasile, per studiare come si possa arrivare a questo obiettivo.

La Cop29 ieri sera ha approvato anche le norme per il mercato internazionale delle emissioni di carbonio, previsto all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi e mai realizzato in dieci anni. La sua istituzione era il secondo dossier più importante della Cop. In questo mercato, gestito dall’agenzia dell’Onu per il clima, l’Unfccc, uno stato può acquistare un progetto di decarbonizzazione in un altro paese, in genere una riforestazione. Il taglio delle emissioni che risulta da questo progetto all’estero viene contabilizzato come taglio delle emissioni del paese che paga.

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Cop29, respinta ipotesi di aiuti per 300 miliardi

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Alla Cop29 di Baku i paesi ricchi provano a chiudere l’accordo sul fondo di aiuti climatici, alzando l’offerta a 300 miliardi di dollari all’anno dal 2035. Ma ai paesi più poveri sembrano ancora troppo pochi: così lasciano il tavolo delle trattative, anche se non escono dal negoziato. La situazione è confusa, le riunioni si susseguono. In serata viene fissata una nuova assemblea plenaria. La Cop29 doveva chiudersi venerdì. Ma l’accordo sugli aiuti climatici (il dossier più importante) non è stato raggiunto, e la conferenza è stata prolungata ad oggi. Venerdì era stata pubblicata una bozza di documento finale sulla finanza, con un compromesso proposto dalla presidenza azera. I paesi sviluppati si impegnavano a versare 250 miliardi di dollari all’anno dal 2035 in aiuti ai paesi in via di sviluppo per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Questa cifra era fatta di contributi pubblici a fondo perduto, ma anche di prestiti da banche multilaterali di sviluppo e banche private. La proposta era stata respinta dai paesi emergenti e in via di sviluppo del G77+Cina.

Questi chiedono 1.300 miliardi di dollari all’anno dal 2025, prevalentemente in contributi pubblici a fondo perduto, e sostengono che non si possa scendere sotto 300 miliardi all’anno dal 2030 e 390 dal 2035 (le cifre minime di aiuti indicate da uno studio di consulenti della Cop). Oggi i paesi sviluppati hanno provato ad alzare l’offerta, arrivando a 300 miliardi. In più, hanno precisato nella bozza che i paesi in via di sviluppo possono erogare aiuti, ma non hanno alcun obbligo, e i loro soldi non rientrano nel conteggio dei 300 miliardi. Un modo per accontentare la Cina, che per l’Onu risulta ancora paese in via di sviluppo: Pechino vuole erogare i suoi aiuti senza avere vincoli. La bozza accontenta anche l’Arabia Saudita, perché non aumenta gli impegni di decarbonizzazione rispetto a quanto deciso l’anno scorso alla Cop28 di Dubai. La Ue ha dovuto cedere su questo, come pure su diritti umani e delle donne, citati in modo generico.

Ma il gruppo dei paesi meno sviluppati (Ldc) e quello dei piccoli stati insulari (Aosis) hanno bocciato anche questa proposta. “Siamo temporaneamente usciti, ma rimaniamo interessati nei negoziati finché non otteniamo un accordo equo”, ha scritto su X Jiwoh Emmanuel Abdulahi, ministro dell’Ambiente e del cambiamento climatico della Sierra Leone. Cedric Schuster, presidente dell’Alleanza dei piccoli stati insulari (Aosis), in un comunicato ha detto che “siamo usciti dalle discussioni in stallo sull’Ncgg (l’obiettivo di finanza climatica, n.d.r.), che non stava offrendo alcun progresso. Ci siamo ritrovati continuamente insultati dalla mancanza di inclusione, le nostre richieste sono state ignorate”. “Un’altra Cop sta fallendo – ha commentato Greta Thunberg su X -. La bozza attuale è un completo disastro”. Più ottimista l’invia americano sul clima, John Podesta: “Spero che sia la tempesta prima della calma”.

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