Un’alleanza tra diversi? Una solida alleanza politica? O un modo per scongiurare la rottura degli argini della propaganda sovranista salviniana ancora molto salda nella società italiana? Luigi Di Maio annusa il Pd. È uno che ci va coi piedi di piombo. Non è uno di quelli che gioca di azzardo. Ha cambiato tante cose nella sua politica recente, deve cambiare tantissime altre cose dentro il suo Movimento. Il faro saranno le regole e l’identità.
Il Pd deve adattarsi, deve cambiare pelle per avere una interlocuzione seria e profonda con il M5S. Nicola Zingaretti osserva per ora ma di sicuro sfrutterà la sponda grillina per fare il suo gioco. Deve arginare Dario Franceschini che deborda ovunque nel partito, assorbire con calma e ridurre al minimo l’effetto RenzExit e limitare al massimo i mille feudatari che hanno cambiato l’immagine e forse anche il Dna di un grande partito di popolo vicino a valori operaisti. Il banco di prova per la tenuta dell’alleanza M5S-Pd è l’Umbria. Se il test va bene qui, potrebbe sfondare ovunque. Soprattutto al Sud. Ma anche in Lazio, Piemonte e altrove. In Umbria però l’alleanza tra Di Maio e Zingaretti sembra essere messa in discussione dal tempo a disposizione. Le liste da consegnare tra dieci giorni e il candidato, quello vero, quello civico, che non c’ è.
Però Di Maio e Zingaretti devono insistere, innanzitutto sul nome che andrebbe benissimo a tutti e due, lo stilista e imprenditore Brunello Cucinelli che pure ieri si è tirato fuori: “Non c’ è alcuna possibilità che io sia candidato alle elezioni regionali”.
Ma forse Cucinelli chiede solo altre garanzie. E allora Pd e M5S ci lavorano ancora a questa idea di Cucinelli, simbolo di successo dell’Italia nel mondo. Sarebbe un candidato eccellente. Di Maio lo ha già incontrato. È un nome che mette assieme sicuro M5S ePd. Per il M5S, ad esempio, il candidato del centrosinistra, l’ex presidente di Confcooperative Umbria Andrea Fora, non è un’opzione buona per loro.
Cucinelli dice no, ma per smontare il suo no devono, vuole garanzie di assoluta autonomia. Devono fargli capire quanto sia necessario per fermare il nemico comune, quel Matteo Salvini che è già pronto a prendersi una roccaforte rossa. Sarebbe il primo rovescio importante quello umbro.
Di Maio forse trova il coraggio dell’ennesima eresia per il Movimento, ma non è roba semplice per il corpaccione dei militanti grillini che ultimamente quanto a mal di stomaco hanno assunto dosi massicce di malox.
“Chi non si adatta al campo di battaglia perde” aveva teorizzato sabato incontrando gli aspiranti consiglieri comunali a Roma. Così ecco la lettera alla Nazione di domenica, con l’offerta al Pd di un patto su un candidato civico terzo. Una missiva che Di Maio aveva mostrato prima ad alcuni big del Movimento, raccogliendo anche perplessità. Ma Di Maio, come sempre, poi decide di testa sua pur ascoltando consiglio e ascoltando critiche. “Questo è un test necessario, dobbiamo vedere come va anche in prospettiva, per capire come regolarci in Emilia Romagna” dice da giorni nei colloqui riservati. Consapevole che quella è la partita che vale il campionato, cioè la tenuta del governo. Azzardo sì, insomma. E però ci sarebbe, c’è un sondaggio riservato di qualche giorno fa che dice che il Pd e il Movimento uniti potrebbero giocarsela con il centrodestra. In ogni altro caso non ci sarebbe partita.
Di Maio vorrebbe partire dal lodo umbro per costringere il Pd a cambiare al Sud. Soprattutto in quelle regioni dove è il partito del potere più che al potere, il partito degli assessori, della spesa pubblica e delle inchieste per corruzione e altri reati tipici di chi gestisce la pubblica amministrazione.
Nella Campania dell’eterno Vincenzo De Luca come nella Calabria del plurindagato Mario Oliverio il Pd deve cominciare a ragionare. “Un’intesa con noi imporrebbe al Pd di togliere di mezzo tanti impresentabili, di ripulirsi” è il ragionamento. Brutale ma in fondo utile a Zingaretti, che per ridare fiato al partito deve anche ricostruire, liberarsi di maggiorenti troppo ingombranti. Così proprio ieri il commissario dem in Calabria, Stefano Graziano, ha annunciato il taglio netto: “Oggi abbiamo chiarito la posizione del Pd: andare oltre Oliverio, cercare un candidato civico per cambiare la Calabria”. È un invito al M5S. Parliamone in Calabria.
Sono segnali che c’è colla per tenere assieme Pd e M5S, “ma il Pd deve essere chiaro, fare scelte, mollare certo pattume partitocratico inguardabile per rendere le nostre scelte digeribili, altrimenti durerà poco anche il Governo” spiega un esponente di vertice del M5S al Sud. Partendo dal Lazio, la regione che è stata l’incubatrice dell’abbraccio tra giallorossi, dove il M5S potrebbe entrare in maggioranza, molte altre cose potrebbero e dovrebbero cambiare. Alla regione Lazio qualcosa di muove. Il presidente del Consiglio regionale Daniele Leodori, zingarettiano della prima ora, schiva le metafore: “Vista la situazione nazionale, ho difficoltà a capire perché possa destare stupore un nostro eventuale accordo con il M5S “. Oggi il Pd voterà volentieri una legge sul compostaggio dei rifiuti presentata dalla capogruppo dei 5Stelle, la veterana Roberta Lombardi, fautrice dell’accordo. E presto in giunta, al posto dei neo-sottosegretari dem Manzella e Bonaccorsi, entreranno assessori tecnici scelti assieme dai giallorossi.
In Emilia Romagna, l’attuale governatore Stefano Bonaccini, dovrebbe farsi da parte se reggesse il lodo Di Maio del candidato civico comune. Nell’attesa, ieri, la consigliera del M5S Silvia Piccinini, critica sull’accordo con i dem, è stata comunque votata vice-presidente della commissione Politiche sociali con l’appoggio dei Democratici. Insomma, le buone intenzioni ci sono. Ma perchè diventino fatti i leader di M5S e Pd devono lavorare molto. C’è anche da discutere con il futuro-presente neo partito di Matteo Renzi. C’è LEU di Roberto Speranza e Grasso. Ci sono altri soggetti che possono essere coinvolti. Ma occorre il progetto politico. Quello ancor ancora non c’è. Mentre Salvini con la sua armata sovranista c’è. Eccome se c’è. Anche nei sondaggi, il figurone di merda planetario sulla crisi di governo agostana, sembra essere già stato assorbito dal volubile, liquido elettorato italico.
Insomma il “Governo Mazinga” (una specie di spericolato acronimo dei cognomi di Di MAio e ZINGAretti), come lo chiama con la solita arguta ironia Andrea Scansi, rischia di perdere tutto già alla prima battaglia, quella in terra umbra.
E il rischio è che il gruppo di colonnelli guidati dal perfido generale Nero (Salvini, per restare sempre alla metafora Mazinga di Scansi), che guidano le pattuglie sovraniste, una volta tornati a palazzo Chigi non farebbero prigionieri. Perchè la guerra è guerra e allora Di Maio e Zingaretti, soci di maggioranza del Governo Mazinga hanno fatto loro il motto à la guerre comme à la guerre.
Una commissione di studio per censire i casi di reazione avverse ai vaccino Covid, ‘valutarli e capire come gestirli’, per capire la dimensione e la tipologia. La propone il ministro della Salute Orazio Schillaci in una intervista al Giornale d’Italia: ‘Credo che si potrebbe fare serenamente’, dice. La commissione si dovrebbe coordinare con quella d’inchiesta sulla gestione della pandemia, i cui lavori devono partire ora. ‘Quest’anno – afferma il ministro – abbiamo registrato un numero molto basso di adesioni alla campagna vaccinale, anche antinfluenzale. Quindi fare chiarezza sarebbe utile. Sarebbe opportuno per avere maggiore chiarezza e soprattutto per dare maggiore tranquillità a tutti. Ci lavoreremo’.
Schillaci ribadisce il suo no al Green Pass globale: ‘Non abbiamo nessun interesse ad applicarlo in Italia. Vogliamo tutelare la salute dei nostri concittadini, ma senza cedere sulle nostre priorità nazionali’. Nessun virologo o ‘virostar’, promette poi il ministro, a capo della commissione d’inchiesta Covid per la cui istituzione è da poco arrivato il via libera del Parlamento. Quanto al futuro, Schillaci invita ad evitare ‘notizie allarmistiche’ su nuove malattie: ‘Se guardo oggi alle priorità della salute degli italiani, credo che bisogna impegnarsi sugli screening, sull’oncologia, sulla prevenzione. Su tante cose che durante il Covid sono state trascurate. Bisogna cercare di ridurre le liste d’attesa. Le priorità sono tante altre, ma se ci dovesse essere una nuova Malattia X, come viene evocata, saremo pronti ad affrontarla nel miglior modo possibile’, afferma il ministro.
– Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in una intervista al “Corriere della Sera” commenta la posizione dell’Associazione nazionale magistrati, secondo cui il governo ha aggirato il Parlamento: “Mi stupisce la grossolana assurdita’. Le commissioni sono la sintesi della composizione parlamentare. Impensabile che decidano in modo difforme dalla maggioranza. L’Anm sa che e’ un po’ come al Csm”. “Si dicono cose anche inesatte – aggiunge -. L’Anm aveva criticato il testo senza conoscerlo, come quello sui giudici onorari. Preferirei maggiore prudenza nei rapporti di leale collaborazione. Sul Quirinale, noi siamo sempre rispettosamente attenti e sensibili ai messaggi che Mattarella ha piu’ volte indirizzato sia al Parlamento che alla magistratura”.
Quanto ai dissidi con il sottosegretario Mantovano: “Frottola colossale. Assoluta sintonia. Nel mio primo libro sulla giustizia nel 1997 avevo evocato anche l’esame psichiatrico. Fui chiamato dai probiviri dell’Anm a render conto delle mie idee. Naturalmente li mandai al diavolo”. Ma da pm dove ha visto la necessita’ di un simile test: “Credo che tutti i magistrati abbiano assistito ad atteggiamenti quantomeno eccentrici di qualche collega. Molti casi sono finiti al Csm, e potrei rievocarli, sia pure con il dolore di un ex magistrato. Altri sono stati coperti da verecondo riserbo”. Nordio osserva inoltre che “a differenza di test psichiatrici non mira a rivelare patologie specifiche, ma l’attitudine a certe funzioni. E’ obbligatorio per il porto d’armi che ai magistrati e’ concesso per legge, sarebbe assurdo non vi fossero sottoposti”. Il test connotera’ questo governo ma rischia di snaturare l’immagine di Fd’I che l’ha voluto ministro?: “Al contrario. Il nostro programma e’ incentrato sul garantismo come enfatizzazione della presunzione di innocenza e al contempo di certezza della pena. Ora aggiungiamo la garanzia di essere giudicati da magistrati equilibrati, idonei, anche psicologicamente, al loro delicatissimo ruolo”.
Il procuratore Gratteri dice di farlo anche a politici aggiungendo alcol e narcotest: “Nel 2021 Giorgia Meloni ha sottoposto tutti i suoi parlamentari al test antidroga, auspicandone l’estensione ai colleghi. Io sono pronto a farlo anche domani. Ma sull’alcol andiamoci piano. Una cosa e’ guidare ubriachi, una cosa e’ concederci uno spritz. Vengo dalla terra del prosecco. Mi fosse vietato potrei dimettermi: Churchill salvo’ l’Europa pasteggiando a champagne e con brandy come dopocena”. Per l’Anm il Csm e’ usato come ‘foglia di fico’ perche’ al concorso giudicheranno i professori di psicologia: “Il dl prevede che gli psicologi siano scelti tra i cattedratici, il meglio del meglio. Che la procedura sia affidata al Csm dimostra il nostro rispetto verso l’indipendenza di questo organismo, e della magistratura in generale”, conclude Nordio.
Manovre in corso per la formazione del nuovo vertice Rai. I partiti sono al lavoro per provare a trovare un’intesa in vista dell’elezione dei quattro membri del cda Rai di competenza parlamentare e dell’indicazione dei due componenti di nomina governativa, che potrebbe avvenire prima delle Europee. Il bando per la presentazione dei curricula in Parlamento è stato pubblicato e il termine è fissato per il 20 aprile.
Poi occorrerà un mese per l’esame e, se l’accordo sarà raggiunto, si potrà poi votare, nella finestra tra il 20 e la fine di maggio prima della pausa dei lavori per le elezioni. Sembra scontata l’indicazione di Giampaolo Rossi come amministratore delegato in quota Fratelli d’Italia, mentre per il ruolo di presidente c’è in pole position l’attuale consigliera Simona Agnes, sponsorizzata da Forza Italia, ma occorrerà trovare l’intesa almeno con una parte dell’opposizione perché in Commissione di Vigilanza sono necessari i due terzi dei voti.
L’accordo potrebbe anche includere il nome del direttore generale e la Lega, da seconda forza parlamentare, potrebbe rivendicarne la scelta. Formalmente la nomina spetterà, comunque, al futuro amministratore delegato. In corsa – secondo fonti di maggioranza – c’è Roberto Sergio, ora al timone dell’azienda, oltre a Felice Ventura, attuale direttore delle Risorse Umane, e Marco Brancadoro, ora direttore Finanza e Pianificazione. Sul fronte dei consiglieri la Lega è orientata sul direttore della Tgr, Alessandro Casarin, mentre il Movimento 5 Stelle dovrebbe confermare Alessandro Di Majo. Fratelli d’Italia, unico partito che avrà due membri in cda, dovrebbe orientarsi su una donna, ma, nonostante sia circolati i nomi di Lorenza Lei e Annalisa Terronova, non c’è ancora una scelta definitiva.
Anche il Pd non ha ancora preso una decisione sul nome. Per quanto riguarda il consigliere eletto dai dipendenti si ricandiderà Davide Di Pietro, attualmente in carica. Intanto la presidente della Commissione di Vigilanza lancia l’allarme sul prossimo consiglio. “Dopo il via libera del Parlamento europeo al Media freedom act – spiega Floridia in un’intervista al Fatto quotidiano -, la legittimità del prossimo Cda Rai sarà a rischio.
Va approvata con urgenza una nuova legge sulla governance, che sottragga la tv pubblica al controllo della politica”. “Quello approvato in sede europea è un regolamento, e quindi va immediatamente attuato – prosegue -. Nel dettaglio, prevede che i vertici delle emittenti pubbliche non vengano nominati dai governi, ma tramite procedure slegate da logiche politiche”. m