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Il giudice di Trump fece donazioni a Biden e ai dem

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Non solo il procuratore ma anche il giudice del caso Trump a New York è apertamente democratico, anzi, un donatore di Joe Biden. Lo rivelano i media americani, confermando così le accuse social del tycoon e sollevando il problema dell’imparzialità nel futuro processo. Juan Merchan, stando ai documenti della commissione elettorale federale, nel 2020 ha versato 35 dollari alle cause dei democratici, compresi 15 dollari alla campagna presidenziale di Biden e 10 dollari al gruppo ‘Progressive Turnout Project and Stop Republicans’, che ha come missione mobilitare i dem al voto e “opporsi al partito repubblicano e all’eredità della destra radicale di Donald Trump'”. Cifre modeste, ma quanto basta a suscitare il legittimo sospetto di faziosità. Nell’ordinamento americano nulla impedisce ad un magistrato di fare donazioni politiche.

Per diventare procuratori capo, i candidati fanno addirittura vere e proprie campagne elettorali rappresentando un partito, come Alvin Bragg, l’inquisitore di Trump. Un limite del sistema giudiziario statunitense, che lo rende troppo politicizzato e incline ad assecondare le priorità degli elettori. In questo caso il tycoon si ritrova in una morsa dem. Tanto da aver attaccato pesantemente entrambi i magistrati, che nel frattempo hanno ricevuto decine di minacce, anche di morte. “E’ finanziato da Soros”, ha detto di Bragg. “Mi odia”, ha scritto di Merchan, ricordando che è lo stesso giudice della condanna all’ex capo finanziario della Trump Organization. The Donald è andato oltre, estendendo l’accusa alla moglie e soprattutto alla figlia, “che ha lavorato per Kamala Harris e ora riceve denaro dalla campagna di Biden-Harris – e molto”.

A rincarare la dose Donald jr, il figlio maggiore dell’ex presidente, che ha postato una foto della figlia del giudice, la 34/enne Loren, suggerendo il suo legame con la campagna presidenziale Biden-Harris. La donna vi ha lavorato nel 2020 come presidente e partner di Authentic Campaigns, una agenzia digitale orientata a campagne politiche progressiste. A questo punto gli avvocati di Trump potrebbero chiedere la ricusazione del giudice. Tra le altre carte della difesa, l’istanza di trasferimento del processo per legittimo sospetto, a causa della presunta ostilità di un quartiere ad alto tasso democratico come Manhattan (come ha già suggerito il tycoon sui social). Nel frattempo The Donald litiga a distanza con Biden sulle responsabilità del caotico ritiro americano dall’Afghanistan e rivela un esodo verso la propria campagna di diversi staff del suo potenziale rivale alle primarie repubblicane, il governatore della Florida Ron DeSantis, ormai in apparente caduta libera nei sondaggi.

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Musk rifiuta di eliminare da X video dell’attacco a Sidney

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Elon Musk ha reagito all’ordine di un tribunale australiano di eliminare da X i video dell’attacco nella chiesa di Sidney dopo che il commissario per la eSafety dell’Australia ha chiesto un’ingiunzione. Il miliardario patron di Tesla ha risposto con un post sulla sua piattaforma accusando il premier Anthony Albanese di “censura”. “La nostra preoccupazione è che se qualsiasi Paese è autorizzato a censurare i contenuti di tutti i paesi, allora cosa impedirà a qualsiasi paese di controllare Internet?”

Musk ha detto che X farà appello contro l’ingiunzione australiana. “Abbiamo già censurato il contenuto in questione per l’Australia, in attesa di ricorso legale, ed è archiviato solo su server negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato che Musk è cieco di fronte all’angoscia causata dai video. “Faremo ciò che è necessario per affrontare questo miliardario arrogante che pensa di essere al di sopra della legge, ma anche al di sopra della comune decenza”, ha detto Albanese all’emittente pubblica Abc. “L’idea che qualcuno vada in tribunale per il diritto di pubblicare contenuti violenti su una piattaforma mostra quanto il signor Musk sia fuori dal mondo”, ha aggiunto.

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L’ambientalista indigeno Victorio Dariquebe assassinato nell’Amazzonia peruviana

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Un ambientalista indigeno, Victorio Dariquebe, è stato assassinato in una comunità amazzonica del Perù sudorientale dove lavorava come guardia forestale: lo riferiscono le autorità locali. L’uomo, dell’etnia Harakbut-Wachiperi, è stato aggredito nei pressi della riserva naturale di Amarakaeri, nella provincia di Manú.

“Riaffermiamo il nostro impegno affinché questo crimine non rimanga impunito e i responsabili siano individuati e ricevano tutto il peso della legge”, ha affermato il governo peruviano in una dichiarazione firmata da diversi ministeri. L’ambientalista “ha fatto un ottimo lavoro nella conservazione della riserva di Amarakaeri”, ha sottolineato l’Associazione interetnica della giungla peruviana (Aidesep) in un comunicato sui social, secondo cui Dariquebe “aveva ricevuto minacce”.

I popoli originari del Perù combattono l’estrazione illegale e si oppongono a una recente legge approvata dal Congresso che, a loro avviso, incoraggia la deforestazione. Secondo l’ong Global Witness, dal 2012 nel Paese sono stati uccisi almeno 54 difensori delle terre e dell’ambiente, di cui più della metà appartenevano a popolazioni indigene.

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Ucraina, Copenaghen: daremo a Kiev tutti gli F-16 concordati

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La Danimarca invierà all’Ucraina tutti gli aerei da caccia F-16 concordati in precedenza dai leader dei due paesi, ha detto l’ambasciatore danese Ole Egberg Mikkelsen. Parlando con l’emittente ucraina Liga, Mikkelsen ha detto che i jet saranno sicuramente consegnati a Kiev e che si tratta dell’intera flotta di F-16 della Danimarca, che ora è in fase di dismissione. Mikkelsen non ha tuttavia specificato il numero esatto di caccia che saranno inviati all’Ucraina. L’ambasciatore ha spiegato che la Danimarca sta dismettendo la sua flotta perché Copenaghen riceverà presto una nuova generazione di aerei, gli F-35.

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