La difesa è stata appassionata. Quel tratto di millanteria che pure si coglieva dall’ordinanza è emersa anche dall’interrogatorio in carcere del giudice Alberto Capuano, accusato di prendere soldi per aggiustare processi. In soldoni il giudice Capuano ha detto al suo collega che lo interrogava dopo due notte in cella di non aver mai contattato alcun magistrato, di non aver chiesto al altri giudici assoluzioni o dissequestri e non capisco come mai il pm, “che pure mi teneva sotto controllo da mesi, non abbia fatto verifiche su due punti tanto decisivi: non ho preso soldi, non ho chiesto ai colleghi alcun intervento”. Questo ha detto Capuano al collega Costantino De Robbio, il magistrato romano che lo ha arrestato e ha fatto esplicito riferimento a un mercimonio di sentenze all’ombra del Palazzo di giustizia napoletano, chiamando in causa, in maniera indistinta, altri giudici. Perché se mercimonio di sentenze c’è, c’è chi paga per aggiustare le sentenze, c’è chi fa da intermediario e poi ci sono quelli che le sentenze le emettono. L’interrogatorio di Capuano è durato un’ora circa, nel corso del quale De Robbio ha chiesto al collega di difendersi da accuse pesanti come corruzione in atti giudiziari per i suoi rapporti con il consigliere municipale Antonio Di Dio. Nella inchiesta della procura di Roma Capuano viene dipinto come una sorta di grande corruttore del sistema giudiziario napoletano. E prova a motivare tutti quegli incontri in bar sempre diversi, catturati da servizi di appostamento della Mobile di Roma, da videoriprese e dal trojan (un microfono sempre acceso) che aveva infettato il suo cellulare. Difeso dai penalisti Giuseppe Fusco e Maurizio Loiacono, Capuano sostiene di essersi limitato a dare qualche consiglio agli interlocutori. Stando al suo racconto, non avrebbe chiesto alla presidente della commissione di esami per l’accesso in magistratura un intervento per favorire la figlia di Antonio Di Dio. E però il gip De Robbio chiede conto a Capuano dei viaggi in Colombia con lo sconto, di una tangente da 70mila euro che Di Dio avrebbe chiesto in suo nome alla famiglia Liccardo di Giugliano. Ma Capuano, senza scomporsi, ha risposto punto su punto. Il viaggio esotico in Colombia? “Ci sono andato grazie a una lista di regali fatta in una agenzia di viaggio per i miei cinquant’anni” è stata la risposta di Capuano. La tangente di 70mila euro? Facile “io non ne so nulla, sono gli altri a parlare di soldi”. Ed è questo uno dei punti chiave delle indagini culminate negli arresti di Capuano. Delle indagini della Procura di Roma (coordinate dall’aggiunto Paolo Ielo), il gip De Robbio disegna un sistema criminale ampio finalizzato alla corruzione, in grado di intervenire in fase di esecuzione, nel penale, nel civile, in primo grado e in appello.
Ed è evidente, come dicevamo, che se ci sono sentenze aggiustate in cambio di mazzette, c’è poi chi queste sentenze le ha emesse. Su questo punto ci sono verifiche in corso per stabilire se c’è stato un coinvolgimento di altri magistrati.
Perchè può anche darsi il caso che ci siano casi di potenziale millantato credito. E allora qualche giudice potrebbe essere parte lesa. Si affida a una dichiarazione spontanea Antonio Di Dio, il consigliere della decima municipalità finito in cella con l’ accusa di aver fatto da trait d’ union tra Capuano e altri interlocutori. Parte da una premessa, legata alla presunta raccomandazione di Capuano per favorire l’ accesso in magistratura della figlia. “Mai chiesto alcun tipo di raccomandazione, solo consigli nel corso di un incontro casuale. Conosco Capuano da un anno, non mi ha mai chiesto nulla, con lui solo incontri cordiali”. Ma ci sono molte cose da chiarire. Per quale motivo, ad esempio, Antonio Di Dio avrebbe chiesto alla figlia – alla luce di quanto emerge dalla misura adottata da De Robbio – di acquistare una sim card da intestare alla moglie per le comunicazioni riservate con Capuano? Fatto sta che sul punto anche il giudice è stato chiaro: “Mi sono guardato bene dal contattare la presidente della commissione o di ringraziarla per l’ esito positivo, se mi sono esposto su questo punto è solo per assecondarlo”. L’avvocato Marco Campora, che assiste Di Dio assieme al collega Aniello Cozzolino, è soddisfatto dell’esito dell’interrogatorio del suo assistito: “Il signor Di Dio ha respinto con forza tutte le accuse, chiarendo ogni aspetto della vicenda. Il gip capitolino, in realtà, stigmatizza aspetti etici e morali, gettando peraltro immotivatamente e inspiegabilmente ombre sulla magistratura napoletana, piuttosto che individuare singoli elementi indiziari, che appaiono del tutto inesistenti”. Difeso dagli avvocati Ascanio Rocco e Giovanni Abate, Valentino Cassini (presunto uomo di fiducia di Capuano) e Giuseppe Liccardo (imprenditore interessato al dissequestro della propria attività) si sono invece avvalsi della facoltà di non rispondere.