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Il generale presidente Abdel Fattah Al- Sissi si prende l’isola Warraq, l’isola dei contadini dentro il Nilo

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Al Warraq, con le sue strade sterrate e le case di mattoni, che si trova dentro il Nilo, è un’isola collegata al Cairo solo dai traghetti. È un rifugio che ospita 90 mila abitanti nel mezzo del fiume, nel centro della città del Cairo.
Le autorità hanno iniziato a costruire un ponte per collegare l’isola alla capitale. Avrebbe dovuto essere una buona notizia per i suoi abitanti e invece è cominciato l’incubo. È iniziato tutto nell’estate del 2017. Una mattina, l’isola è stata circondata da una quindicina di gruppi di soldati. Alcuni veicoli corazzati e le macchine movimento terra sono arrivati sui barconi. Sull’isola nessuno sapeva nulla. Era l’alba, le persone erano ancora a casa. E così hanno ad abbattere le case per fare i cantieri.

Al Warraq. Le demolizioni sull’isola del Nilo

Allertati dal rumore, i residenti si sono riuniti sulla riva e si sono alzati. “Abbiamo chiesto loro perchè stavano abbattendo le nostre case. Non ne avevano il diritto dal momento che noi non avevano ricevuto nessun piano per lasciare l’isola. La risposta è stata molto arrogante. Delle nostre proteste se ne infischiavano. Avevano ricevuto un ordine di demolire le case dell’isola». Ed è lì che è scattata la ribellione, finita anche in una sparatoria conclusa con una sessantina di feriti, fra i quali 31 poliziotti, secondo i numeri del rapporto ufficiale ripreso dal quotidiano francese Le Figaro. Nove persone sono state arrestate e altre 47 sono in attesa di giudizio, per aver fomentato il caos, possesso di armi e ostruzione della pubblica via. Il tutto nel silenzio più completo dei media. Il governo sorveglia. E intanto è diventato impossibile accostarsi all’isola di Al-Warraq senza farsi riportare indietro, sull’altra riva, con l’uso anche della forza dei militari, per la sicurezza dello Stato, è la motivazione.
Il ponte della discordia, che dovrebbe collegare l’isoletta nel Nilo alla megalopoli di 22 milioni di abitanti, fa parte di un progetto più grande, denominato Cairo 2050, lanciato da Moubarak nel 2007 e ripreso dal governo di Abdel Fattah al- Sissi, che ha manie di grandezza. Un mega progetto che illustra il modernismo autoritario, una logica di svilupppo diretto dallo Stato che presume che l’ordine sociale possa essere imposto attraverso la pianificazione urbana.
Gli abitanti dell’ isola non erano contrari alla costruzione del ponte, quando è cominciata. Piuttosto, sono contrari a quanto hanno scoperto successivamente. E cioiè che lo sviluppo voluto dal governo non era a favore degli abitanti dell’isola perchè le autorità, dicono gli intervistati di Al Warraq da Le Figaro, vogliono vendere i terreni degli isolani e fare degli investimenti immobiliari. Progetti finalizzati ad arricchire lo Stato e concepiti per la classe più abbiente, è la denuncia a Le Figaro. Ecco dunque il motivo dell’opposizione degli abitanti dell’isola al mega progetto del governo egiziano. Gli abitanti hanno formato un consiglio che li rappresenti nelle trattative con lo Stato che sono state avviate da poco. Nel frattempo i tentativi di demolizione sono stati bloccati.

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Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

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Israele attacca l’Iran, forti esplosioni nei pressi di Esfahan

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La televisione ufficiale iraniana riporta “forti esplosioni” nei pressi di Esfahan. L’Iran ha attivato la propria difesa aerea dopo le notizie di un’esplosione. Lo stato islamico ha anche chiuso lo spazio aereo su Teheran e altre città. Attacchi nel sud della Siria vengono registrati da attivisti locali citati dall’Afp.

Alcuni droni sono stati “abbattuti con successo” dalla difesa aerea iraniana, ma non ci sono informazioni riguardo un possibile attacco missilistico “al momento”. Lo afferma il portavoce dell’agenzia spaziale iraniana. “Al momento non c’è stato alcun attacco aereo al di fuori di Esfahan e in altre regioni del Paese”, ha detto Hossein Dalirian in un messaggio pubblicato su X. I siti nucleari nei pressi di Esfahan sono in “totale sicurezza”. Lo rendono noto le autorità iraniane citate dai media locali.

Tre funzionari iraniani hanno confermato che un attacco ha colpito una base aerea militare vicino alla città di Esfahan, nell’Iran centrale, ma non hanno detto quale Paese abbia organizzato il raid.

Una fonte militare ha riferito a Fox News che l’attacco israeliano condotto in Iran è “limitato”. Il Pentagono, per il momento, non ha ancora confermato il raid.

L’esercito israeliano ha affermato di non voler commentare “per il momento” le esplosioni registrate nei pressi di una base militare nel centro dell’Iran. “Non abbiamo alcun commento da fare per il momento”, ha detto un portavoce dell’esercito”.

La base ospita da tempo la flotta iraniana di F-14 Tomcat di fabbricazione americana, acquistati prima della rivoluzione islamica del 1979. Nella zona di Esfahan ci sono anche siti associati al programma nucleare iraniano, compreso il sito sotterraneo di arricchimento di Natanz, che è stato ripetutamente preso di mira da sospetti attacchi di sabotaggio israeliani. Tuttavia, la televisione di stato iraniana ha descritto tutti i siti della zona come “completamente sicuri”.

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‘Strategia del tritacarne, i russi morti sono 50.000’

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Mentre il mondo guarda con apprensione al Medio Oriente e a un’eventuale escalation con l’Iran, l’Ucraina continua a essere uno spaventoso terreno di battaglia. Con Vladimir Putin disposto a perdere la vita di migliaia di soldati pur di avanzare la linea del fronte con quella che la Bbc definisce la “strategia del tritacarne”: mandare ondate di soldati senza sosta in prima linea per cercare di logorare le forze ucraine ed esporre la loro artiglieria. Con il risultato di aver superato finora “la soglia di 50.000 caduti”. Nelle ultime ore anche le forze di Kiev hanno colpito in profondità in Russia – fino a danneggiare una fabbrica di bombardieri Tupolev in Tatarstan, stando ai servizi speciali ucraini – e in Crimea, dove secondo media e blogger locali “circa 30 militari russi sono rimasti uccisi e 80 feriti in un attacco notturno all’aeroporto militare di Dzhankoy”, che avrebbe “distrutto un deposito di missili Zircon e S-300”.

In mattinata la rappresaglia di Mosca si è scagliata ancora una volta sui civili, con un triplo raid su Chernihiv, città nel nord dell’Ucraina, una delle più antiche del Paese: i missili russi hanno colpito palazzi residenziali vicino al centro, un ospedale e un istituto scolastico, causando almeno 17 morti, oltre 60 feriti – tra cui tre bambini – e un numero imprecisato di dispersi sotto le macerie dove per tutto il giorno hanno lavorato i servizi di emergenza.

La strage ha suscitato l’ira di Volodymyr Zelensky, impegnato a chiedere con insistenza agli alleati europei e americani di rafforzare la difesa aerea ucraina: “Questo non sarebbe successo se avessimo ricevuto abbastanza equipaggiamenti di difesa antiaerea e se le determinazione del mondo a resistere al terrore russo fosse stato sufficiente”, ha tuonato il presidente sui social, esprimendo sempre più rabbia e frustrazione, soprattutto all’indomani delle manovre occidentali sui cieli di Israele per difenderlo dall’Iran. Di questo passo, e con il morale delle truppe sempre più indebolito dalle “cupe previsioni” di guerra, il fronte ucraino potrebbe collassare “la prossima estate quando la Russia, con un maggior peso numerico e la disponibilità ad accettare enormi perdite, lancerà la sua prevista offensiva”, riferiscono diversi alti ufficiali di Kiev a Politico. Insomma, Mosca ha messo in conto di poter perdere un alto numero di militari anche con la cosiddetta “strategia del tritacarne”.

Strategia che, stando a un conteggio realizzato da Bbc Russia, dal gruppo di media indipendenti Mediazona e volontari – che hanno scovato i nomi dei caduti anche sulle tombe recenti nei cimiteri – avrebbe già portato il bilancio dei militari di Putin morti in Ucraina (esclusi i separatisti filorussi del Donbass) oltre la soglia dei 50.000, con un’accelerazione del 25% in più nel secondo anno di invasione. “Il bilancio complessivo è 8 volte superiore all’ammissione ufficiale di Mosca – sottolinea l’emittente britannica -. Ed è probabile che il numero sia molto più alto”.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha rivendicato il segreto di Stato sull'”operazione militare speciale”, come del resto nemmeno Kiev pubblicizza il numero dei suoi caduti: l’ultima cifra ufficiale risale a febbraio, quando Zelensky parlò di 31.000 soldati rimasti uccisi. Neppure stavolta Mosca ha confermato le notizie riportate dei trenta soldati russi che sarebbero morti nell’attacco alla base aerea in Crimea, che secondo i blogger russi di Rybar, vicino all’esercito del Cremlino, avrebbe centrato e danneggiato l’obiettivo con 12 missili Atacms forniti a Kiev dagli Stati Uniti. Il ministero della Difesa russo ha tuttavia smentito che droni dell’intelligence militare ucraina abbiano colpito la fabbrica di Tupolev nel Tatarstan, nell’est della Russia: al contrario ha precisato di aver “distrutto un drone ucraino, nella stessa area”, prima che potesse causare danni.

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