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Economia

Il Generale Antonio De Vita Chief Security Officer di Intesa Sanpaolo: gestirà il caso di accessi indebiti

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Carlo Messina, CEO di Intesa Sanpaolo, ha proposto la nomina del Generale di Corpo d’Armata dei Carabinieri Antonio De Vita come Chief Security Officer (CSO) dell’istituto bancario. La decisione arriva in seguito allo scandalo relativo ad un dipendente infedele che ha eseguito accessi indebiti ai conti di 3.500 clienti, tra cui una ventina di persone esposte politicamente (PEP), tramite 7.000 accessi tra febbraio 2022 e aprile 2024.

Un generale al comando della sicurezza di Intesa Sanpaolo

La nomina del Generale De Vita sarà sottoposta all’approvazione del Consiglio di Amministrazione di giovedì 17 ottobre 2024. Il nuovo CSO riporterà direttamente a Messina, con la responsabilità della cyber security e della sicurezza fisica dell’istituto bancario. La scelta di De Vita, figura di grande esperienza militare e di leadership, dimostra l’intenzione di Intesa Sanpaolo di prendere provvedimenti seri e strategici per rafforzare la sicurezza interna e prevenire futuri incidenti simili.

Il caso degli accessi indebiti e la risposta a Bankitalia

Lo scandalo ha coinvolto Vincenzo Coviello, addetto alla divisione agribusiness della filiale di Bisceglie, che è stato licenziato a settembre 2024 dopo la scoperta degli accessi non autorizzati. Bankitalia ha richiesto chiarimenti sull’incidente e ha sollecitato Intesa Sanpaolo a intraprendere le necessarie misure per migliorare la cyber security, facendo riferimento all’obbligo di comunicare “gravi incidenti operativi o di sicurezza” sancito dalla Circolare di Palazzo Koch del 2013.

Un advisor di fiducia per Messina

Prima della sua nomina a CSO, De Vita era già stato coinvolto in Intesa Sanpaolo come senior advisor di Carlo Messina, segno che il suo contributo era già stato riconosciuto come fondamentale per migliorare la sicurezza del gruppo.

Un impegno per una maggiore sicurezza bancaria

La mossa di Messina rappresenta una presa di posizione decisa nel rispondere alle preoccupazioni sia interne che esterne, consolidando la sicurezza di una delle principali banche italiane e inviando un messaggio forte sul rafforzamento delle misure contro le minacce informatiche e operative.

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Economia

Bankitalia ferma il progetto Tnb: Azimut dovrà rivedere la governance di Capital Management

Bankitalia blocca il progetto Tnb di Azimut per carenze di governance. Il presidente Pietro Giuliani rassicura i mercati e annuncia l’acquisto di nuove azioni: “Non rinunceremo alla nostra banca digitale”.

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Il progetto Tnb – The Next Bank, la banca digitale ideata da Azimut e partecipata da Fsi, si ferma ai box dopo l’intervento di Bankitalia, che ha chiesto alla società di rivedere la governance di Azimut Capital Management sgrprima di poter procedere.

L’ispezione condotta tra marzo e giugno 2025 ha fatto emergere “rilevanti carenze di governance e organizzative” e ha portato l’Autorità a bloccare qualsiasi operazione straordinaria collegata alla creazione della nuova fintech dedicata alla consulenza patrimoniale.


Le richieste di Bankitalia e i nuovi obblighi per il gruppo

Entro il 30 novembre, Azimut dovrà annunciare le misure correttive e presentare un nuovo piano industriale 2026-2028. Le modifiche – che dovranno essere implementate entro aprile 2026 – prevedono l’introduzione di un direttore generale e una revisione del ruolo dei consiglieri che siedono contemporaneamente nei consigli di amministrazione della sgr e della holding.

Bankitalia ha precisato che il superamento delle criticità non garantirà automaticamente l’autorizzazione al progetto, che sarà valutato “nei tempi e nei modi previsti dalla normativa vigente”.


Il crollo in Borsa e la reazione di Giuliani

La notizia ha scatenato una vendita a catena sul titolo Azimut, con un calo fino al -16% in seduta e una chiusura a -10,07% a 32,59 euro.

Il presidente Pietro Giuliani ha reagito acquistando azioni del gruppo e ribadendo la determinazione a proseguire sul progetto Tnb:

“Nella mia vita professionale ho realizzato cose più difficili che ottenere una licenza bancaria. Non chiedo rispetto, ma buon senso: nessuno può pensare che Azimut rinunci a Tnb.”

Giuliani ha aggiunto che, qualora la licenza non venisse concessa in Italia, il gruppo valuterà altre soluzioni:

“Se non fosse possibile qui, ci sono altri Paesi, come la Svizzera, dove già operiamo.”


I contorni del progetto The Next Bank

Tnb prevede l’acquisizione, da parte di Azimut, di una banca individuata insieme a Fsi, alla quale verrà conferito un perimetro selezionato delle attività distributive italiane e altri asset del gruppo. Il piano coinvolge quasi mille consulentie 25 miliardi di masse amministrate.

A maggio, Fsi si è impegnata ad acquisire l’80% della nuova banca, per un valore complessivo potenziale di 1,2 miliardi di euro, comprensivo di componenti in contanti e accordi di earn-out.


Giuliani: “Il mercato reagisce in modo irrazionale”

Il presidente di Azimut ha definito “inaspettata e irrazionale” la reazione dei mercati:

“Le quotazioni attuali rappresentano un’ottima opportunità di acquisto. Ho già disposto di aumentare la mia partecipazione personale per alcuni milioni di euro nei prossimi giorni.”

Giuliani ha anche voluto chiarire di non essere coinvolto nel “sali e scendi di Borsa” a fini personali, assicurando che dividendo e buyback non sono in discussione.


Buyback da 500 milioni e fiducia nel futuro

Il Cda di Azimut Holding ha confermato la proposta di un programma di riacquisto e cancellazione delle azioni proprie fino a un controvalore massimo di 500 milioni di euro, da completare in 18-24 mesi.

Nonostante le turbolenze, Giuliani guarda avanti: “Tnb nascerà. La fintech rappresenta il futuro del nostro gruppo, e non sarà certo una revisione di governance a fermare un progetto di questa portata.”

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Economia

Crisi d’impresa, oltre 400 aziende salvate in quattro anni grazie alla composizione negoziata

Unioncamere: oltre 400 aziende salvate grazie alla composizione negoziata in quattro anni. Cresce il successo dello strumento di risanamento, ma resta scarso l’uso tra le piccole imprese.

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Oltre 400 aziende salvate e 23mila lavoratori coinvolti in quattro anni. È il bilancio positivo della composizione negoziata della crisi d’impresa, presentato da Unioncamere nel corso del convegno “La composizione negoziata della crisi d’impresa: il bilancio di 4 anni”.

Secondo il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli, si tratta di uno strumento che “funziona sempre di più. Il numero delle aziende in difficoltà che vi ricorre cresce e gli esiti positivi sono raddoppiati dallo scorso anno”.


I numeri del successo: 3600 istanze e tasso di risanamento in crescita

Dal 2021 a oggi, le istanze presentate hanno superato quota 3600, con un incremento di 1800 rispetto all’anno precedente. Oltre 2000 procedure sono state archiviate, e 423 si sono concluse con esito positivo, portando al salvataggio di aziende per un totale di 23mila dipendenti.

Il tasso medio di successo della composizione negoziata è del 20%, ma nell’ultimo trimestre del 2025 ha raggiunto il 25%, confermando un trend di crescita costante.


Uno strumento rapido e volontario, ma ancora poco usato dalle piccole imprese

Introdotta nel 2021, la composizione negoziata consente alle aziende in squilibrio patrimoniale o finanziario di avviare un percorso di risanamento in via volontaria e con tempi ridotti rispetto alle procedure concorsuali.

Nonostante i risultati incoraggianti, lo strumento resta poco attrattivo per le piccole imprese, dove il tasso di successo scende al 9%. Per Tripoli, la chiave per migliorare sta nel “semplificare e potenziare gli strumenti di transazione, che possono fare la differenza tra un esito positivo e uno negativo”.


Il ruolo dell’Agenzia delle Entrate e il valore del dialogo

Il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, Vincenzo Carbone, ha sottolineato l’importanza del confronto costruttivo tra imprese e istituzioni: “Stiamo affrancando il ruolo di mero soggetto controllore, ampliando il ruolo di supporto”.

Una posizione che conferma la volontà di rendere la composizione negoziata non solo un meccanismo di tutela legale, ma un percorso di accompagnamento concreto al risanamento aziendale.


Le differenze territoriali: il Nord guida il risanamento

Il quadro tracciato da Unioncamere mostra forti differenze geografiche: il 53% delle istanze proviene dal Nord Italia, con Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna e Veneto che insieme superano la metà del totale nazionale.

Un dato che conferma la maggiore propensione delle regioni economicamente più forti a sperimentare strumenti innovativi di gestione della crisi, ma anche la necessità di diffondere cultura d’impresa e supporto tecnico nelle aree del Centro-Sud ancora meno coinvolte.


Un bilancio positivo, ma con margini di crescita

Dopo quattro anni, la composizione negoziata si conferma uno strumento efficace di prevenzione e salvataggio aziendale, capace di ridurre i fallimenti e preservare migliaia di posti di lavoro.

Unioncamere guarda ora al futuro, puntando su semplificazione, formazione e cooperazione istituzionale per consolidare un modello che sta diventando un pilastro della nuova gestione della crisi d’impresa in Italia.

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Economia

Confesercenti: “Col dazio sui piccoli pacchi extra-Ue 1 miliardo l’anno per la rigenerazione urbana”

Il presidente di Confesercenti, Nico Gronchi, plaude al dazio sui pacchi extra-Ue sotto i 150 euro: “Scelta giusta, può portare un miliardo di euro l’anno e finanziare la rigenerazione urbana e le microimprese”.

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L’introduzione di un dazio sui piccoli pacchi provenienti da Paesi extra-Ue è un “passo nella direzione giusta”. Lo afferma Nico Gronchi (foto in evidenza di Imagoeconomica), presidente nazionale di Confesercenti, commentando l’accordo raggiunto in sede Ecofin per eliminare l’esenzione dai dazi sui pacchi sotto i 150 euro.

Secondo le stime dell’associazione, la misura potrebbe generare fino a 1 miliardo di euro l’anno di gettito fiscale, ponendo un freno a un fenomeno che da anni altera la concorrenza e penalizza il commercio di prossimità.


Un fondo per la rigenerazione urbana e le piccole imprese

Gronchi sottolinea che l’Italia ha sempre sostenuto questa misura a livello europeo, ma ora è necessario che una parte del gettito venga destinata a un fondo stabile per finanziare la rigenerazione urbana e l’innovazione delle micro e piccole imprese.

“La rigenerazione urbana è una delle vere urgenze del Paese – spiega –. Nelle città e nei centri minori si moltiplicano aree svuotate di attività economiche e di servizi di prossimità, con effetti diretti sulla qualità della vita, sulla sicurezza e sull’attrattività dei territori. Servono risorse per riportare funzioni economiche nei quartieri dove stanno scomparendo e ricostruire tessuto sociale”.


L’impatto ambientale e infrastrutturale dell’eCommerce

Confesercenti evidenzia anche il peso crescente del commercio elettronico e delle spedizioni di pacchi. Le stime parlano di un miliardo di pacchi movimentati in Italia nel 2025, tra spedizioni standard e pacchi di scarso valore provenienti da fuori Ue.

“Un miliardo di pacchi significa movimentazioni, consegne, percorrenze di mezzi, consumo di suolo ed energia, smog e congestione urbana – osserva Gronchi –. Si tratta di costi ambientali e infrastrutturali che ricadono sui territori, mentre la rete dei negozi continua a sostenere tutte le imposte locali”.


Verso un mercato più equilibrato

Per Confesercenti, il nuovo dazio rappresenta un primo passo per riequilibrare il mercato tra commercio online e tradizionale, garantendo condizioni più eque e sostenendo le realtà economiche locali.

“Un fondo alimentato dal gettito dei pacchi extra-Ue – conclude Gronchi – permetterebbe di intervenire nei territori più colpiti dalla desertificazione commerciale e dagli squilibri generati dall’eCommerce, trasformando una misura fiscale in un’opportunità di rilancio urbano e sociale”.

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