Collegati con noi

In Evidenza

Il Def in Parlamento, test al Senato per la maggioranza

Pubblicato

del

Le votazioni sulla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, in calendario per mercoledi’ prossimo al Senato e per giovedi’ alla Camera, rappresentano il primo test numerico il governo Conte bis, a quasi un mese dalla fiducia incassata a Palazzo Madama dalla maggioranza giallo-rossa. Mentre alla Camera la maggioranza dovrebbe essere abbastanza tranquilla, al Senato i numeri conteranno in modo particolare: prima della Nadef, infatti, l’Aula sara’ chiamata a dare il via libera dallo scostamento rispetto al pareggio di bilancio. Una votazione particolare, questa, per la quale viene richiesta una maggioranza qualificata pari alla meta’ piu’ uno dei componenti dell’Assemblea, ovvero a 161 voti. Alla prima fiducia, lo scorso 10 settembre, il governo Conte Bis incasso’ a Palazzo Madama 169 voti a favore, 133 no e 5 astensioni. Tra quelli a favore c’erano anche i senatori a vita Mario Monti, Elena Cattaneo e Liliana Segre. In teoria, far passare la Nadef non dovrebbe dunque essere un problema visto che la maggioranza puo’ contare su otto voti in piu’ rispetto a quelli richiesti. Tuttavia, rimane l’incognita di Italia Viva, il nuovo partito nato dall’addio di Matteo Renzi al Pd e che a Palazzo Madama puo’ contare su ben 17 senatori con l’approdo al gruppo di Annamaria Parente. Se i renziani, sulla base delle tensioni Italia Viva e il governo che hanno caratterizzato le ultime giornate di dibattito politico, decidessero di non votare la Nadef, il governo potrebbe contare solo su 152 voti di M5S, Pd, LeU e dei senatori a vita che gia’ lo hanno sostenuto nella prima fiducia: voti che non sarebbero sufficienti a far passare l’ok allo scostamento dal pareggio di bilancio. Un rischio che pero’ nessuno al momento sembra davvero temere.

Advertisement

Esteri

Somalia rifiuta dialogo con l’Etiopia su accordo col Somaliland

Pubblicato

del

Il Governo federale somalo ha dichiarato con fermezza che non avvierà alcun dialogo con l’Etiopia in merito agli accordi tra Addis Abeba e l’autoproclamata regione del Somaliland. La decisione, come riporta il sito Shabelle Media, è stata annunciata in risposta a un comunicato del G7 che esprimeva preoccupazione per l’accordo tra Etiopia e Somaliland, che la Somalia considera una violazione della propria sovranità e integrità territoriale.

La Somalia ha manifestato un forte impegno a mantenere la pace e la stabilità regionale e ha espresso la volontà di collaborare con il G7 e altri partner internazionali. Il Somaliland non è riconosciuto a livello internazionale come Paese indipendente, sebbene gestisca le proprie forze armate e la propria banca centrale e tenga regolari elezioni dal 1991, anno in cui ha rivendicato l’indipendenza dalla Somalia, pochi mesi dopo la caduta del Paese nella guerra civile.

Continua a leggere

Economia

Cgil-Uil in piazza, ‘il governo ascolti il Paese reale’

Pubblicato

del

Cgil e Uil scendono di nuovo in piazza, attaccano il governo e chiedono di cambiare registro e dare risposte. Sul lavoro e la sicurezza, sulla sanità pubblica, il fisco e i salari. Ascoltando “il Paese reale”. A dieci giorni dall’ultimo sciopero insieme, i due sindacati tornano a manifestare, a Roma, per dire “Adesso basta”. Basta con le morti sul lavoro, con la precarietà e con i condoni. I segretari generali Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri lo fanno dal corteo che attraversa le vie della capitale e dal palco: almeno 50mila, secondo le loro stime, in piazza. E assicurano di essere pronti ad andare avanti, per ottenere risultati. “Dalla piazza arriva il messaggio del Paese reale, visto che stanno raccontando delle balle, irreggimentando e cercando di controllare tutto: si ascolti il mondo del lavoro, che tiene in piedi il Paese e non ce la fa più”, dice Landini.

Che poi accusa “il governo e la destra che vogliono costruire un regime”, “vogliono comandare più che governare”. E sullo stop al monologo dello scrittore Antonio Scurati sul 25 aprile: “Consentitemi un gioco di parole – afferma ancora -, è stato oscurato”. Parla di “un Paese reale che soffre, che ha difficoltà ad arrivare a fine mese e a fruire dei servizi sanitari” anche Bombardieri. Difficoltà che i due leader sindacali rappresentano portando una serie di numeri: 6 milioni di poveri, 5 milioni di lavoratori con il contratto scaduto, 4 milioni e mezzo di persone che rinunciano alle cure. E poi su un altro numero puntano ancor di più: arrivare a “zero morti” sul lavoro. Fermando una strage quotidiana, che richiede misure più incisive, compresa l’introduzione del reato dell’omicidio sul lavoro. Sul fronte delle tasse, chiedono un fisco “giusto” perché, ripetono, a pagare sono sempre gli stessi: i lavoratori dipendenti e i pensionati.

“Fate pagare chi non le ha mai pagate. Certo è complicato se continuate a fare condoni”, ripete Bombardieri. Non manca l’affondo contro l’autonomia differenziata “una follia pura”, sostiene Landini, rimarcando la volontà di mettere in campo una battaglia “con ogni strumento” democratico a disposizione. Dopo aver già dato il via ai quattro referendum sul lavoro. “Non abbiamo alcuna intenzione di fermarci”, assicura. Altro tema quello dell’aborto: Landini e Bombardieri parlano di “pericolosissima regressione”, di “attacco del governo alle donne” e preannunciano per martedì 23 aprile un presidio davanti al Senato, in occasione dell’esame del decreto Pnrr a Palazzo Madama, per contrastare anche la norma sulla presenza delle associazioni pro life nei consultori e difendere la legge 194. In piazza anche questa volta non c’è la Cisl. “Ci sono diverse sensibilità” e ci sono stati “altri periodi nei quali il sindacato ha avuto visioni diverse, supereremo anche questo. Il pluralismo è una ricchezza”, smorza Bombardieri, ricordando che il Primo maggio Cgil Cisl e Uil saranno insieme per “una grande manifestazione” quest’anno a Monfalcone (Gorizia), sotto lo slogan “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”.

Continua a leggere

Esteri

Gli Usa accettano di ritirare le truppe dal Niger

Pubblicato

del

Gli Stati Uniti hanno accettato di ritirare dal Niger i loro mille soldati, impegnati sul posto nella lotta contro gli jihadisti islamici affiliati ad al Qaeda e all’Isis, dopo una precisa richiesta del regime di Niamey. Ad accogliere le istanze nigerine è stato il numero due della diplomazia americana, Kurt Campbell che ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier Ali Mahamane Lamine Zeine, al potere dopo il colpo di Stato dello scorso luglio.

Con un linguaggio chiaro e senza tabù, il politico africano ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo – stando ai principali media internazionali – prevede l’invio nei prossimi giorni di una delegazione a stelle e strisce in Niger per concordare i dettagli del ritiro delle truppe, mentre al momento dal Dipartimento di Stato americano non è stato specificato un calendario del ritiro. Tuttavia non sono soltanto i marines a lasciare questo Paese del Sahel, dove invece si intensifica la presenza sempre più massiccia e minacciosa della Russia. Dopo il golpe che ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Bazoum il 26 luglio scorso, il nuovo regime militare ha subito chiesto la partenza dei soldati dell’ex potenza coloniale francese avvicinandosi così a Mosca.

E dando così seguito alla strategia adottata dalle giunte dei vicini Paesi, Mali e Burkina Faso, anch’essi governati dai militari, alterando completamente gli equilibri strategici in questa regione. A dicembre era toccato all’Ue che ha aveva dovuto rinunciare alle sue missioni nel Paese subsahariano, che si trova al centro della cosiddetta ‘cintura del golpe’, dove sono presenti nazioni contraddistinte da instabilità politica, ma anche ricchi di depositi minerari, di uranio e petrolio.

La France Presse ricorda che gli oltre 1.000 soldati americani ancora presenti in Niger dispongono di una grande base di droni ad Agadez nel nord. Recentemente, la sicurezza di questi soldati è diventata una priorità per Washington. Una settimana fa migliaia di persone hanno manifestato a Niamey per chiedere la loro partenza immediata, su iniziativa di un gruppo di una decina di associazioni che sostengono il regime. I russi intanto hanno già inviato nel Paese africano lo scorso 10 aprile degli istruttori oltre ad aver consegnato alle autorità equipaggiamenti militari nell’ambito della nuova cooperazione in materia di sicurezza.

Due giorni dopo, l’Africa Corps – considerato il successore della compagnia paramilitare Wagner in Africa – ha confermato il suo arrivo nel Paese. A suggellare un patto di ferro con il Cremlino è stata la telefonata a fine marzo fra il capo del regime militare nigerino, il generale Abdourahamane Tiani, con il presidente russo Vladimir Putin dove si è discusso in particolare del “rafforzamento” della loro cooperazione in materia di sicurezza, “per far fronte alle minacce attuali”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto