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Esteri

Il crollo dei Conservatori britannici: Farage divora i Tories e trasforma la destra inglese

I Conservatori britannici, storica forza politica del Regno Unito, sono in caduta libera: Nigel Farage e il suo partito Reform UK stanno fagocitando la destra tradizionale, lasciando i Tories sull’orlo dell’estinzione.

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Sembrava un congresso politico, ma a Manchester, più che di una riunione, si è celebrata una veglia funebre. I delegati conservatori riuniti per la conferenza annuale del partito avevano l’aria di chi assiste non alla rinascita, ma agli ultimi riti di una formazione moribonda.

I Conservatori britannici, il partito politico più longevo e di successo della storia occidentale, sono oggi un corpo in disfacimento: i sondaggi li inchiodano al 15%, e se si votasse domani, con il sistema uninominale britannico, rischierebbero di scomparire dal Parlamento.

La meteora Farage che ha distrutto i dinosauri Tory

Il meteorite che ha causato l’estinzione dei Tory ha un nome preciso: Nigel Farage. Il tribuno della destra populista, già padre della Brexit, ha creato una nuova creatura politica — Reform UK — che sta fagocitando la destra tradizionale.
Come negli anni Venti del secolo scorso i Laburisti avevano soppiantato i Liberali, oggi è Farage a sostituire i Conservatori come opposizione al governo.

Ogni giorno nuovi esponenti Tory abbandonano la nave: venti consiglieri locali in un solo colpo martedì scorso. Nel suo discorso finale, la leader Kemi Badenoch ha provato a ignorare Farage, liquidandolo con una frase sprezzante: «Non si fa la lotta con un maiale: ci si sporca, e a lui piace». Ma è evidente che il problema è tutto lì: i Conservatori inseguono Farage sul suo stesso terreno, dall’immigrazione alle guerre culturali, senza riuscire a dettare più l’agenda.

Da Disraeli a Sunak, la parabola di un partito smarrito

Il successo storico dei Tory era fondato su pragmatismo e moderazione. Sono stati loro a esprimere leader capaci di adattarsi ai tempi: Disraeli, primo premier ebreo; Margaret Thatcher, Theresa May e Liz Truss, tre donne a Downing Street; e persino i matrimoni gay, introdotti non dalla sinistra, ma da un governo conservatore.

Poi è arrivata la Brexit, e con essa la deriva ideologica.
Il partito è stato dilaniato dalla questione europea: prima le dimissioni di Cameron e May, poi l’ascesa di Boris Johnson, il leader più spettacolare e autodistruttivo della storia recente britannica, che ha epurato i moderati trasformando i Conservatori in un culto pro-Brexit.

Dopo di lui, Liz Truss ha impiegato appena sette settimane per portare la Gran Bretagna sull’orlo della bancarotta. Ora resta Rishi Sunak, tecnocrate competente ma privo di carisma, simbolo di una destra che ha perso la bussola.

L’immigrazione e la nostalgia: la tempesta perfetta

Paradossalmente, dopo la Brexit, proprio sotto i governi conservatori, l’immigrazione è esplosa. Milioni di persone sono entrate nel Paese, alimentando malcontento sociale e xenofobia.
Nel frattempo, un certo elettorato nostalgico e rancoroso non ha gradito che gli ultimi due leader Tory — Sunak e Badenoch — fossero entrambi di origine non britannica. E così, ancora una volta, il consenso è migrato verso la destra estrema.

La destra britannica dopo i Tory

I Conservatori oggi sperano in un miracolo: che Farage imploda e che i Laburisti si impantanino nei loro errori. Ma è una fede più che una strategia.
Dopo due secoli di storia, il partito di Churchill e Thatcher sembra avviato alla pensione politica.

La Gran Bretagna, un tempo laboratorio del conservatorismo moderno, oggi è il teatro della sua agonia spettacolare — e Nigel Farage, dal suo scranno populista, assiste alla scena come un becchino compiaciuto.

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Esteri

Arrestato in Europa Pipo Chavarria, il boss dei Los Lobos: «Lo abbiamo cercato fino all’inferno»

Il presidente Noboa annuncia l’arresto di Pipo Chavarria, capo dei Los Lobos, catturato in Europa dopo anni di latitanza. Il boss aveva finto la morte e continuava a ordinare omicidi dall’estero.

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«Lo abbiamo cercato fino all’inferno». Con queste parole il presidente Daniel Noboa ha annunciato la cattura di Pipo Chavarria, leader dei Los Lobos, definito «il delinquente più ricercato della regione». L’arresto è avvenuto in Europa grazie a una collaborazione tra Ecuador e polizia spagnola.

La falsa morte e la rete criminale internazionale

Secondo quanto spiegato da Noboa, Chavarria aveva finto la propria morte, cambiato identità e trovato rifugio in Europa, da dove continuava a impartire ordini. Dall’estero dirigeva omicidi in Ecuador e controllava il traffico di droga insieme al cartello messicano Jalisco Nueva Generación.

Un arresto simbolico nel giorno del referendum sulla sicurezza

La cattura arriva nel giorno del referendum promosso da Noboa su temi cruciali della sicurezza nazionale, diventando un segnale politico fortissimo. «Oggi le mafie indietreggiano. Ha vinto l’Ecuador», ha dichiarato il presidente, celebrando un risultato definito come un punto di svolta nella lotta al crimine organizzato.

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Esteri

Regno Unito, stretta storica sull’asilo: fine del permesso quinquennale e revisione continua dei rifugiati

Il governo Starmer annuncia una stretta senza precedenti sull’asilo: permesso ridotto a 30 mesi, revisione continua e residenza permanente solo dopo 20 anni. Polemiche da destra e sinistra.

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Basta asilo a tempo indeterminato. Il Regno Unito del dopo Brexit cambia paradigma e annuncia una stretta senza precedenti rispetto alla sua storica tradizione di accoglienza. A farlo è il governo laburista di sir Keir Starmer, in piena crisi di consenso e sotto la pressione crescente di forze come Reform UK di Nigel Farage.

Mahmood: «Fine del golden ticket per i richiedenti asilo»

La ministra dell’Interno Shabana Mahmood, figlia di immigrati pachistani, ribadisce alla Bbc la linea dura:

  • permesso di soggiorno ridotto a 30 mesi;

  • revisione periodica obbligatoria;

  • rimpatrio possibile se il Paese d’origine torna “sicuro”;

  • residenza permanente solo dopo 20 anni, quattro volte più del regime attuale.

La normativa vigente garantisce 5 anni di permesso ai rifugiati e accesso quasi automatico alla residenza permanente alla scadenza del quinquennio.

Londra guarda alla Danimarca e punta a frenare gli arrivi via Manica

Il governo Starmer si ispira alla linea durissima di Copenaghen, che ha ridotto le richieste di asilo ai minimi da 40 anni. L’obiettivo è scoraggiare gli arrivi via Manica sulle small boat, aumentati nonostante le promesse: nel 2025 sono già 39.000 le persone sbarcate, più di tutto il 2024.

La Francia attribuisce a Londra parte del problema, sostenendo che le norme britanniche finora troppo permissive abbiano reso difficile il controllo dell’immigrazione illegale.

Critiche da destra e sinistra

Le opposizioni conservatrici e i seguaci di Farage definiscono la stretta “superficiale” e insufficiente.
Dall’altro lato, ong, sinistra del Labour e Verdi denunciano una violazione dei principi di solidarietà e diritti umani.

Mahmood respinge ogni accusa:
«È la più grande revisione della politica d’asilo dei tempi moderni. Non sto accettando gli argomenti dell’estrema destra: è una missione morale».

Starmer cerca ossigeno in un clima politico esplosivo

Il premier laburista tenta così di frenare un’emorragia di consensi data per inarrestabile dai sondaggi, mentre anche dentro il Labour monta il malcontento. La questione migratoria diventa quindi un terreno decisivo per la sopravvivenza politica del governo.

La promessa, però, resta tutta da verificare nella sua efficacia.

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Trump elimina i dazi su carne, frutta e caffè: retromarcia per frenare il carovita negli USA

Trump rimuove i dazi su centinaia di prodotti alimentari per placare l’ira degli americani contro il carovita. Dubbi degli esperti: è una mossa politica dettata dal nervosismo della Casa Bianca.

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Donald Trump fa marcia indietro e rimuove i dazi su carne, banane, caffè, avocado, mango, pomodori e decine di altri prodotti agricoli. Una decisione che la Casa Bianca giustifica con i “progressi nelle trattative commerciali” e con il fatto che gli Stati Uniti non producono abbastanza di questi beni per soddisfare la domanda interna.

Una spiegazione che non convince molti esperti, secondo cui la mossa nasconde il timore dell’amministrazione di fronte a prezzi sempre più alti e al crescente malcontento dei consumatori.

Il nervosismo della Casa Bianca e il tema dell’“accessibilità”

Dietro questa retromarcia c’è un’evidente tensione politica. L’inflazione sul carrello della spesa pesa da mesi sui bilanci delle famiglie, mentre Trump — che in pubblico ha liquidato il tema dell’accessibilità come una “truffa dei democratici” — teme una rivolta contro la sua agenda economica.

Il presidente era arrivato alla Casa Bianca promettendo una drastica riduzione dei prezzi e una nuova “età dell’oro”. Finora, però, gli effetti della sua ricetta economica hanno premiato soprattutto i mercati e i più ricchi, senza alleggerire la pressione sui portafogli degli americani.

Il rischio gennaio: l’esplosione dei costi sanitari

La tensione è destinata a crescere. A gennaio potrebbero schizzare i prezzi delle assicurazioni sanitarie per milioni di americani, con la fine dei sussidi dell’Obamacare. Una riforma criticata per anni dai repubblicani, ma per la quale non è mai stata proposta un’alternativa credibile.

Se i sussidi non verranno prorogati, il prezzo politico da pagare alle prossime elezioni potrebbe essere altissimo.

La retromarcia sui dazi rilancia il soprannome “Taco”

La nuova ondata di cancellazioni tariffarie ha riportato in auge il soprannome “Taco” — Trump always chickens out — con cui i critici accusano il presidente di annunciare misure aggressive salvo poi ritirarle sotto pressione.

Dal 2 aprile l’amministrazione è stata costretta a correggere più volte il tiro sui dazi, elemento centrale della sua agenda economica. Trump ha sempre sostenuto che le tariffe servono a rimettere in equilibrio gli scambi e a finanziare parte del taglio delle tasse, il suo big beautiful bill.

La minaccia della Corte Suprema

Sulle politiche tariffarie del presidente incombe ora il giudizio della Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sulla loro legittimità. I giudici hanno mostrato scetticismo sulla tesi della Casa Bianca, che invoca un’emergenza nazionale per giustificare le tariffe.

Una bocciatura sarebbe devastante: metterebbe in discussione la credibilità dell’amministrazione e potrebbe obbligare Washington a restituire — secondo Trump — fino a 3.000 miliardi di dollari.

Una prospettiva che spiega il clima di crescente agitazione attorno a un presidente che, per la prima volta, vede indebolirsi uno dei pilastri della sua identità politica: essere il “Re delle Tariffe”.

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