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Cronache

Il caso Venditti e il “sistema Pavia”: spese sospette e vizi di gioco tra i collaboratori del magistrato

Nell’inchiesta sul “sistema Pavia” emergono dettagli sulle spese e sul vizio del gioco di alcuni uomini della squadra di polizia giudiziaria vicina all’ex procuratore aggiunto Mario Venditti, indagato per corruzione.

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Il maresciallo dei Carabinieri Antonio Scoppetta, figura chiave del cosiddetto “sistema Pavia”, avrebbe speso fino a 47 mila euro in un solo anno per il gioco d’azzardo, nel 2020, complice il lockdown.

Negli anni successivi, secondo quanto ricostruito dalla Guardia di Finanza, le sue spese si sono mantenute tra i 30 e i 35 mila euro, tutte tracciate e definite “cifre incompatibili con il proprio stipendio”.
Scoppetta, condannato a quattro anni e sei mesi, era parte della squadra del nucleo di polizia giudiziaria di Pavia, gruppo di fiducia dell’allora procuratore aggiunto Mario Venditti, oggi indagato a Brescia per corruzione in atti giudiziari.

I colleghi e le indagini sui rapporti economici

Nella stessa squadra figuravano anche Silvio Sapone, responsabile della sezione di polizia giudiziaria, e Giuseppe Spoto, tecnico addetto alle intercettazioni.
Sapone avrebbe speso circa mille euro al mese in un centro scommesse Snai, mentre Spoto avrebbe gestito personalmente, l’8 febbraio 2017, l’operazione per piazzare microspie sull’auto di Andrea Sempio, il giovane poi archiviato nel caso Garlasco.
Fu lui stesso, secondo gli atti, a redigere le trascrizioni delle intercettazioni, riportando una sintesi poi ritenuta distorta rispetto al contenuto originale, giustificandosi con le pressioni ricevute per chiudere rapidamente il fascicolo.

Gli intrecci con il procuratore Venditti

Secondo gli inquirenti, Sapone e Scoppetta godevano di un ruolo privilegiato e di un rapporto diretto con Venditti.
Il punto resta se l’ex procuratore aggiunto fosse a conoscenza del vizio del gioco e dello stile di vita dei suoi collaboratori.
La Procura di Brescia, che coordina l’inchiesta, ha controllato i conti di Venditti senza riscontrare anomalie, ma restano i dubbi sui rapporti con i fratelli Raffaele e Cristiano D’Arena, titolari del ristorante stellato “Da Lino” e delle società CR Service ed Esitel, entrambe legate ai servizi di intercettazione per la procura.
Proprio da queste società, secondo gli inquirenti, Venditti e il pm Pietro Paolo Mazza avrebbero ricevuto utilità per circa 750 mila euro, configurando l’ipotesi di peculato.

La difesa e la richiesta di trasferimento dell’inchiesta

L’avvocato Domenico Aiello, difensore di Venditti, ha chiesto che l’inchiesta su Garlasco venga trasferita a Brescia, sostenendo che l’indagine su Sempio sia “il contenitore nel quale è stata rinvenuta la prova dell’ipotesi corruttiva”.
«Il mio assistito – ha dichiarato Aiello – è stato aggredito con una potenza di fuoco inimmaginabile. La sua immagine è compromessa, hanno distrutto un uomo. È un’indagine della giustizia contro la giustizia, con effetti deflagranti anche se il magistrato dovesse risultare innocente».
Domani l’ex procuratore aggiunto sarà in aula davanti al Riesame per discutere il decreto di sequestro eseguito nella sua abitazione.

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Cronache

Falsi miracoli di Trevignano, rinviata a giudizio la “veggente” Gisella Cardia: in scena apparizioni e donazioni per oltre 300mila euro

Gisella Cardia e il marito Giovanni rinviati a giudizio per truffa: avrebbero inscenato apparizioni e miracoli della Madonna di Trevignano per ottenere donazioni dai fedeli, per un totale di oltre 300mila euro.

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La cosiddetta “veggente” di Trevignano, Gisella Cardia, e suo marito Giovanni andranno a processo con l’accusa di concorso in truffa.
Secondo la Procura di Civitavecchia, avrebbero inscenato apparizioni e miracoli falsi per convincere i fedeli a donare somme di denaro destinate al presunto culto della Madonna di Trevignano, nella zona del lago di Bracciano.


Apparizioni e “miracoli” messi in scena per soldi

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la coppia avrebbe messo in scena trasudazioni da una statuetta della Madonna e da un quadro del Cristo, oltre ad annunciare cataclismi e sciagure come presunti segni divini.
Le manifestazioni attiravano centinaia di fedeli e avevano trasformato la loro abitazione e un terreno in un’area di pellegrinaggio mariano.

Dal 2018 al 2023, i due avrebbero raccolto oltre 300mila euro in donazioni, in parte versate all’Associazione Madonna di Trevignano e in parte direttamente ai coniugi. Le somme, secondo l’accusa, sarebbero state impiegate per l’acquisto di terreni, un box auto, una recinzione, un’auto da 40mila euro e lavori di abbellimento del sito di culto denominato Campo le Rose.


Le accuse della Procura e la difesa della “veggente”

Nel decreto di citazione a giudizio, il pm contesta alla coppia di aver indotto i fedeli a donare denaro “inscenando fenomeni soprannaturali” per ottenere un ingiusto profitto.

La difesa di Cardia, affidata all’avvocato Solange Marchignoli, ha definito il rinvio a giudizio “un passaggio necessario per chiarire ogni aspetto della vicenda”. La “veggente” si è detta sollevata, convinta che il processo sarà “l’occasione per far emergere la verità e chiudere definitivamente le speculazioni” che l’hanno coinvolta.


Dalla diocesi di Civita Castellana al Vaticano: fenomeni “non soprannaturali”

Già nel 2024, dopo le denunce di un ex sostenitore, Luigi Avella, era stata istituita una commissione ecclesiastica dalla diocesi di Civita Castellana per verificare la natura dei fenomeni.
La commissione aveva definito le presunte apparizioni “non soprannaturali”, invitando i fedeli a non partecipare ai raduni di preghiera.

Il caso aveva anche spinto il Vaticano a intervenire con una stretta contro le false apparizioni religiose usate per fini economici.


Il processo nel 2026

Il processo inizierà il 7 aprile 2026 davanti ai giudici del tribunale di Civitavecchia.
Nel frattempo, Gisella Cardia – sconfessata dalla sua diocesi – ha dichiarato di voler affrontare l’udienza “serenamente, in segno della verità”, mentre la giustizia si prepara a far luce sui presunti “miracoli” di Trevignano.

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Caivano, confermate in appello le condanne per gli abusi su due cuginette: 13 anni a Mosca, 8 anni e 8 mesi a Varriale

La Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna a 13 anni e 4 mesi per Pasquale Mosca e ridotto a 8 anni e 8 mesi quella di Giuseppe Varriale per le violenze sessuali su due cuginette di 10 e 12 anni a Caivano nel 2023.

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La Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna a 13 anni e 4 mesi per Pasquale Mosca e ridotto a 8 anni e 8 mesi quella di Giuseppe Varriale per le violenze sessuali compiute su due cuginette di 10 e 12 anni a Caivano, in provincia di Napoli, nel 2023.

In primo grado, i due – oggi rispettivamente di 20 e 21 anni – erano stati condannati a 13 anni e 4 mesi e 12 anni e 5 mesi al termine di un processo con rito abbreviato davanti al gup Mariangela Guida del tribunale di Napoli Nord.


Le decisioni della Corte e le richieste della Procura

Nel giudizio di secondo grado, il sostituto procuratore generale di Napoli aveva chiesto la conferma della condanna per Mosca, difeso dall’avvocato Giovanni Cantelli, mentre per Varriale aveva proposto un concordato, non accettato dal suo legale, Dario Carmine Procentese.

Durante la sua arringa, l’avvocato Cantelli ha sostenuto la parziale incapacità di intendere e volere del suo assistito, sottolineando l’inadeguatezza di Mosca nel comprendere la gravità dei reati commessi.

La Corte d’appello, riunitasi in camera di consiglio per quasi tre ore, ha poi confermato integralmente la pena per Mosca e ridotto quella per Varriale, ritenendo la sua partecipazione agli abusi di minore gravità.


Le reazioni delle famiglie delle vittime

Alla lettura della sentenza erano presenti gli avvocati delle famiglie delle vittime, Clara Niola e Giovanna Limpido, che rappresentano rispettivamente la madre e il padre della bambina più piccola.

I genitori, dopo la sentenza, hanno espresso sollievo e fiducia nella giustizia:
“Siamo soddisfatti per il verdetto: la nostra bambina e noi come famiglia possiamo tirare un altro sospiro di sollievo. Ringraziamo la magistratura penale per il lavoro svolto. È importante che i giovani comprendano le conseguenze delle proprie azioni e la certezza della pena di cui tanto si parla”, hanno dichiarato.


La vicenda di Caivano, che aveva profondamente scosso l’opinione pubblica per la brutalità dei fatti e la giovane età delle vittime, trova ora un primo punto fermo anche in appello, con la conferma delle responsabilità e delle pene a carico dei due imputati.

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Pubblico impiego, il 76% dei dipendenti ha più di 40 anni: le donne sono il 61%, ma guadagnano meno degli uomini

Secondo l’Osservatorio Inps, oltre il 76% dei lavoratori pubblici ha più di 40 anni. Le donne sono il 61%, ma il divario retributivo resta alto: 41.117 euro per gli uomini contro 31.679 per le donne.

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Il pubblico impiego italiano invecchia e resta segnato dal divario retributivo di genere. Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Inps sui lavoratori pubblici, il 76,6% dei dipendenti ha un’età pari o superiore ai 40 anni, mentre solo una minoranza è sotto questa soglia.


Più donne negli uffici pubblici, ma meno giovani

Le donne rappresentano il 61% del totale dei lavoratori del settore pubblico, superando nettamente gli uomini in quasi tutte le fasce d’età.
Le eccezioni si trovano tra i giovanissimi: nella fascia fino a 19 anni i maschi sono il 67% e le femmine il 33%, mentre tra i 20 e i 24 anni la quota maschile scende al 58% e quella femminile sale al 42%.


Retribuzioni medie e divario di genere

Nel 2024 la retribuzione media annua nel pubblico impiego è stata pari a 35.350 euro, ma con forti differenze legate all’età e al genere.
Gli stipendi aumentano progressivamente fino ai 50 anni, quando tendono a stabilizzarsi.
Il divario retributivo di genere resta marcato: gli uomini percepiscono in media 41.117 euro l’anno, contro i 31.679 euro delle donne.


Un settore anziano e con forti disparità

Il quadro delineato dall’Inps conferma un settore pubblico caratterizzato da un’età media elevata, una scarsa presenza di giovani e una persistente disuguaglianza salariale.
Dati che rilanciano la necessità di favorire il ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e di intervenire sul gender pay gap, ancora lontano dall’essere colmato.

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