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Il Brasile al voto per la rinascita teme le violenze, è battaglia Lula -Bolsonaro

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 Una lotta al coltello, uno scambio di offese senza esclusione di colpi. L’ultimo dibattito alla tv Globo tra i candidati alle presidenziali in Brasile e’ stata la rappresentazione plastica dell’atmosfera nel Paese, dove i supporter dei due candidati principali – il leader di sinistra, Luiz Inacio Lula da Silva (Pt) e l’attuale presidente di destra, Jair Bolsonaro (Pl) – si picchiano per strada fino ad ammazzarsi e dove, con l’avvicinarsi dell’apertura delle urne del 2 ottobre, cresce il timore di violenze che possano mettere a rischio il desiderio di rinascita. Il risultato elettorale e’ atteso gia’ nella serata di domenica. L’ultimo sondaggio pubblicato da Datafolha apre alla possibilita’ di una vittoria di Lula gia’ al primo turno, col 50%. Bolsonaro rincorre a distanza col 36%. Ma in una campagna elettorale al veleno, dove le fake news sono all’ordine del giorno, anche il livello di attendibilita’ delle intenzioni di voto e’ un punto interrogativo. Quello che invece si fa sempre piu’ chiaro e’ come il presidente di destra non sia pronto a riconoscere la vittoria del suo avversario. Bolsonaro continua a recitare il suo mantra: si dice sicuro della rielezione; si scaglia a testa bassa contro il sistema di voto elettronico del Paese, allungando sospetti su possibili manipolazioni a suon di documenti e teorie complottiste; attacca il Tribunale superiore elettorale, cuore delle procedure di spoglio; e si raccomanda ai militari, che hanno ottenuto di poter partecipare allo scrutinio parallelo per alcune centinaia di seggi. Cosi’, mentre da mezzo mondo arrivano appelli in difesa della democrazia, molti osservatori non nascondono la preoccupazione che Bolsonaro stia preparando il terreno per una Capitol Hill in salsa brasiliana. La Bovespa alla Borsa di San Paolo d’altra parte sembra aver gia’ assorbito e accettato la vittoria di Lula e la sua ricetta economica: forti investimenti nelle infrastrutture e cambiamenti nei modelli di consumo e produzione di energia. La riduzione del costo del credito, e la costruzione di un nuovo regime fiscale che permetta al governo di aumentare la spesa pubblica e sociale, per un Paese che nel dopo pandemia ha toccato nuovi picchi di fame nonostante i dati sulla disoccupazione siano buoni e le sovvenzioni dell’Auxilio brasil – i 600 reais (120 euro) al mese varati da Bolsonaro – vadano a sostegno delle famiglie piu’ povere. Le organizzazioni ambientaliste restano invece in allerta, convinte che una delle grandi poste in gioco di questa elezione sia anche la salvaguardia dell’Amazzonia e dei suoi popoli. Greenpeace attacca Bolsonaro per le sue politiche a favore dei grandi latifondisti e dei cercatori d’oro, spesso mandanti di roghi e omicidi, moltiplicatisi in modo esponenziale sotto il mandato dell’ex capitano dell’esercito, e chiede che il voto di domenica sia una scelta “senza esitazione” a sinistra, mentre 171 candidati delle comunita’ indigene sono scesi in campo per ricoprire cariche statali o federali, decisi a voltare pagina su quelli che – a loro avviso – sono stati quattro anni catastrofici. E un desiderio di cambio di passo anche nelle politiche dei diritti viene dimostrato dalla candidatura di 281 esponenti della comunita’ arcobaleno (anche in questo caso per incarichi politici locali). Il numero piu’ alto di sempre, perche’ sebbene l’omofobia e la transfobia siano considerate reati, il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia consentito e le coppie gay e lesbiche possano adottare bambini, la tolleranza nel Paese e’ bassa. E fuori dalle grandi citta’, dove la cultura maschilista e le chiese evangeliche ultra-conservatrici che appoggiano Bolsonaro hanno ancora una grande influenza, si registrano episodi di violenza contro persone Lgbtqi.

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L’Australia esorta i suoi cittadini a lasciare Israele

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Il governo australiano ha esortato i suoi cittadini in Israele a “andarsene, se è sicuro farlo”. “C’è una forte minaccia di rappresaglie militari e attacchi terroristici contro Israele e gli interessi israeliani in tutta la regione. La situazione della sicurezza potrebbe deteriorarsi rapidamente. Esortiamo gli australiani in Israele o nei Territori palestinesi occupati a partire, se è sicuro farlo”, secondo un post su X che pubblica gli avvisi del dipartimento degli affari esteri e del commercio del governo australiano.

Il dipartimento ha avvertito che “gli attacchi militari potrebbero comportare chiusure dello spazio aereo, cancellazioni e deviazioni di voli e altre interruzioni del viaggio”. In particolare è preoccupato che l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv “possa sospendere le operazioni a causa di accresciute preoccupazioni per la sicurezza in qualsiasi momento e con breve preavviso”.

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Ian Bremmer: l’attacco di Israele è una sorta di de-escalation

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C’è chi legge una escalation e chi invece pensa che sia una de escalation questo attacco israeliano contro l’Iran. “È un allentamento dell’escalation. Dovevano fare qualcosa ma l’azione è limitata rispetto all’attacco su Damasco che ha fatto precipitare la crisi”. Lo scrive su X Ian Bremmer, analista fondatore di Eurasia Group, società di consulenza sui rischi geopolitici.

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Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

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