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Cronache

Il boss Zagaria torna in cella, tre camorristi di Ercolano vanno ai domiciliari

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Deve tornare in carcere. E presto. È questione di ore. Forse sarà trasferito a Viterbo, struttura penitenziaria che è anche una eccellenza nel campo sanitario. Pasquale Zagaria sarà accompagnato nelle prossime ore qui dalla polizia penitenziaria, a  Viterbo. Hanno preparato almeno 40 posti letto per ospedalizzare eventualmente detenuti che non fossero in condizioni compatibili con il 41 bis o altra forma di reclusione. Zagaria ha goduto così di appena tre settimane, massimo un mese di libertà. Un profumo bellissimo che il boss Zagaria ha potuto respirare grazie al Dap – dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. È rimasto chiuso dentro la sua bella abitazione di Pontevico, in provincia di Brescia. Sotto casa presidio fisso dei carabinieri. Ogni tanto visita a casa dei militari per controlli di routine. Così si è tentato di ovviare a questi due mesi di disastri fatti al Dap dove con  una circolare balorda fatta firmare notte tempo e in un giorno di festa ad una oscura funzionaria hanno fatto uscire quasi 400 criminali, alcuni dei quali addirittura mafiosi al 41 bis. La scusa si chiama Covid 19. E Zagaria era riuscito a farsi mandare  agli arresti domiciliari col braccialetto elettronico. La cosa più ridicola della scarcerazione di questo mafioso al 41 bis era la bizzarra scelta di farlo uscire dal carcere di Badu e Carros, nel Sassarese, dove non c’è stato un solo contagio. E per tenerlo al riparo da un ipotetico contagio, il Dap l’ha accompagnato ai domiciliati a Pontevico, un paesino di 7mila anime. Le statistiche del ministero della Salute aggiornate all’11 maggio del 2020 dicono che in questa amena località della Bresciana hanno registrato 158 casi di contagio e 23 morti. Ora che c’è un carcere dove si può curare in caso di bisogno. Ora che non c’è più l’emergenza sanitaria delle settimane scorse, Zagaria dovrebbe tornare in carcere. Certo in una struttura dove il suo stato di salute è compatibile con il sistema di detenzione. E Viterbo all’uopo sembra una soluzione ottimale. Appena dunque il magistrato di Sorveglianza rivedrà le decisioni sul detenuto Zagaria alla luce del nuovo scenario epidemiologico (un Paese che riapre i battenti) e delle valutazioni nuove del Dap (con la defenestrazione di Basentini si occupa di questa storia dei boss scarcerati il vice capo del Dap Roberto Tartaglia), si potrà riportare il detenuto in carcere.

Pasquale Zagaria. Detenuto al 41 bis scarcerato il 24 aprile tornerà a breve in cella

 

Ma per un boss mafioso che torna in carcere (speriamo prima possibile) le scarcerazioni  non si fermano. Ad Ercolano, per esempio, sono tornati a casa diversi camorristi. E questo ha suscitato più di una preoccupazione. Siamo in una città anti bellissima, resa dannata dalle mafie ma con un Dna anticamorra fortissimo. E qui che negli ultimi anni le forze dell’ordine hanno eseguito centinaia di arresti. Molti degli arrestati,  boss di mafia, oggi sono al carcere duro. Ora però tre di questi boss sono tornati a casa con la scusa del contagio.

 

I tre boss ai domiciliari sono Vincenzo Lucio, affiliato dei Birra, condannato due volte all’ergastolo per due diversi omicidi. Poi c’è Mario Ascione, boss e figlio del padrino Raffaele. Questi è stato assolto per il reato di omicidio dopo una condanna in primo grado all’ergastolo, ha lasciato il 41-bis dopo circa dieci anni di reclusione, ma sul suo capo pende oggi un processo per ergastolo che andrà verificata in Cassazione e un processo per estorsione. Libero anche Gennaro Dantese, camorrista, esponente di primo piano del clan Ascione-Papale. Stava scontando una condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsione. Ora sono a casa.

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Cronache

Carcere Lager Beccaria, la Procura di Milano: sulle torture omissioni dai vertici

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Una struttura senza alcun controllo interno, nella quale quel “sistema consolidato” negli anni di pestaggi e torture su ragazzi di 16 e 17 anni con storie problematiche, tra disagio, reati e tossicodipendenza, aveva preso piede indisturbato, almeno fino a qualche mese fa con l’arrivo del nuovo direttore al carcere minorile Beccaria. E’ lo scenario inquietante che viene a galla non solo dagli atti della Procura di Milano, nell’inchiesta che ha portato in carcere 13 agenti della Penitenziaria e alla sospensione di otto colleghi, ma dalle stesse parole degli arrestati nei primi interrogatori.

Il “metodo di violenze” attuato al Beccaria, scrivono l’aggiunto Letizia Mannella e i pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, “ha avuto il suo principale fondamento nel contributo concorsuale omissivo e doloso di una serie di figure apicali”. Tra questi viene citato l’ex comandante della Polizia penitenziaria Francesco Ferone, ieri sospeso e accusato di falso nelle relazioni, “che ha consapevolmente agevolato e rafforzato le determinazioni criminose dei suoi sottoposti”.

Per questo le indagini, condotte dalla Squadra mobile e dalla stessa Polizia penitenziaria, vanno avanti per accertare, sempre da testimonianze e segnalazioni, eventuali altri casi di abusi, ma pure sospette coperture e depistaggi nell’istituto in relazione all’operato degli agenti. Intanto, cinque arrestati su sei (uno si è avvalso della facoltà di non rispondere e gli altri saranno sentiti nei prossimi giorni), interrogati dal gip Stefania Donadeo, hanno detto di essersi sentiti “abbandonati a loro stessi”, “senza controlli gerarchici e anche aiuto da parte della struttura, incapaci di gestire le situazioni”. Hanno raccontato di essersi trovati a dover affrontare il rapporto coi ragazzi detenuti senza adeguata formazione, loro stessi giovani, tra i 25 e i 35 anni, di prima nomina e con scarsa esperienza. Nessun aiuto da superiori o da altre figure.

In certi casi avrebbero salvato vite intervenendo per tentativi di suicidio o incendi scoppiati. In altri, invece, sarebbe loro partita la mano come reazione violenta. Nella carte, nel frattempo, si trova uno scambio di mail del gennaio 2023 tra la mamma di un detenuto e l’allora direttrice facente funzione Maria Vittoria Menenti. La madre, dopo aver visto in videochiamata il figlio con “segni di percosse sul viso”, aveva segnalato l’episodio alla direzione. Otto giorni più tardi Menenti le aveva risposto rassicurandola “sull’adozione delle procedure previste nel caso specifico”.

Lo stesso ragazzo, mettendo a verbale l’aggressione subita il 22 dicembre 2022 da tre agenti, ha dichiarato che “mentre si trovava steso a terra davanti all’ufficio del capoposto, ancora ammanettato e sanguinante in volto”, era intervenuta l’allora direttrice “che intimava agli assistenti di togliergli le manette” e “disponeva l’invio in infermeria”. Gli agenti, scrivono i pm, “interrompevano il violento pestaggio solo per l’arrivo della direttrice”, la quale “vedeva il detenuto a terra sanguinante”. Menenti avrebbe preso parte anche al colloquio di un altro ragazzo “con il comandante e la psicologa” su presunte violenze del 18 dicembre 2022. Lo scorso dicembre si è insediato il nuovo direttore Claudio Ferrari, il quale, secondo le parole intercettate degli indagati, non avrebbe più dato “protezione” agli agenti. Nel marzo scorso, quando i vertici avevano deciso infatti di acquisire le telecamere interne, c’era preoccupazione tra i poliziotti, perché “le immagini sono veramente disastrose (…) Non solo schiaffi, calci, pugni…quello a terra”. In un altro dialogo captato una agente diceva ad un collega, ora in carcere, di mettere “un po’ di ghiaccio” sulla mano.

L’altro poco prima le aveva raccontato di aver “battezzato” un ragazzo che faceva “il bulletto”, di averlo colpito tanto forte da farsi male. E mentre dalle opposizioni sono arrivate richieste al ministro Nordio di riferire in Parlamento, il Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile, Antonio Sangermano, si è recato oggi al Beccaria con i propri funzionari per ascoltare vertici, personale della struttura e giovani detenuti e stilare una relazione ispettiva. Altre ispezioni avevano già evidenziato anche la “omessa vigilanza da parte del personale rispetto a plurimi episodi violenti anche di natura sessuale accaduti fra i detenuti”.

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Ventenne denuncia, stuprata e drogata da due uomini

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Violentata da due uomini in un appartamento alla periferia di Roma dopo essere stata adescata su Instagram. E’ l’incubo vissuto una ragazza romana di 20 anni. La giovane ha presentato denuncia nei giorni scorsi ai poliziotti del commissariato Casilino e sulla vicenda sono subito scattate le indagini. La violenza si sarebbe consumata la settimana scorsa, precisamente il 17 aprile. L’allarme è arrivato il giorno dopo quando il fidanzato, preoccupato perché non riusciva a rintracciarla, è riuscito a localizzarla attraverso il cellulare. L’ha rintracciata davanti a un bar in zona Torre Angela, alla periferia est di Roma.

Quando l’ha raggiunta la giovane era sconvolta, in stato di shock. E’ stata visitata in ospedale e dimessa dai medici con una prognosi di 40 giorni. La ventenne avrebbe raccontato agli investigatori di aver conosciuto i due ragazzi, forse nordafricani, sul social e di aver accettato di incontrarli per un aperitivo. Dopo aver bevuto qualcosa insieme in un locale quei due ragazzi si sarebbero offerti di darle un passaggio fino alla fermata della metropolitana che doveva prendere per tornare a casa. Ma le cose sarebbero andate diversamente. Invece di fermare l’auto davanti alla stazione della metro più vicina si sarebbero diretti in un appartamento alla periferia della città.

Qui sarebbe iniziato un vero e proprio incubo per lei: l’avrebbero narcotizzata e poi l’avrebbero stuprata. Dopo aver raccolto la denuncia la polizia ha avviato le prime indagini. Sono in corso accertamenti da parte degli investigatori per ricostruire con esattezza quello che è accaduto e risalire ai due ragazzi descritti dalla giovane. Sotto la lente, in queste ore, la piattaforma social per individuare chi c’è dietro al profilo utilizzato per dare appuntamento alla vittima e per dare un nome e un volto ai due ragazzi accusati dalla ragazza della violenza. E solo pochi giorni fa nella capitale un’altra giovanissima aveva denunciato di essere stata narcotizzata all’interno di un campo nomadi. Lo scorso 11 aprile una quattordicenne fu soccorsa, in stato confusionale, da una pattuglia della polizia locale nel campo di via Salone dove vive con la famiglia. Raccontò di essere stata drogata nei giorni precedenti all’interno dell’insediamento.

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Caso Ferragni-Balocco, per il tribunale hanno ragione i consumatori: fu pratica scorretta

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La prima sezione civile del Tribunale di Torino ha emesso una sentenza significativa riguardante il caso Balocco, il ruolo di Chiara Ferragni, che hanno attirato l’attenzione nazionale. Il tribunale ha accolto il ricorso presentato da diverse associazioni, tra cui il Codacons, Utenti dei servizi radiotelevisivi e Adusbef, contro la campagna di beneficenza condotta dall’industria dolciaria Balocco. La campagna in questione era stata realizzata attraverso la vendita di pandori griffati dall’influencer Chiara Ferragni, a favore di un ospedale torinese.

La giudice Gabriella Ratti ha emesso una dichiarazione che conferma le accuse mosse dalle associazioni ricorrenti. Secondo quanto riportato dalle associazioni stesse, la sentenza ha accertato la pratica commerciale scorretta messa in atto dall’azienda Balocco. Inoltre, ha evidenziato l’ingannevolezza dei messaggi diffusi al pubblico riguardo alla natura benefica della campagna associata alla vendita del prodotto.

Questa sentenza rappresenta un importante punto di svolta nel panorama delle pratiche commerciali e delle campagne di beneficenza condotte dalle aziende. Mette in luce la necessità di maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle imprese nell’affrontare iniziative di questo tipo. La decisione del tribunale di Torino sottolinea l’importanza di verificare attentamente le pratiche di marketing e di beneficenza per garantire che siano etiche e rispettose dei consumatori.

Il caso Balocco ha suscitato un dibattito su scala nazionale riguardo alla relazione tra marketing, beneficenza e trasparenza aziendale. È probabile che questa sentenza abbia un impatto significativo sul modo in cui le aziende progettano e promuovono le loro campagne di responsabilità sociale d’impresa, mettendo in evidenza la necessità di una maggiore chiarezza e autenticità nelle loro iniziative benefiche

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