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I vivi e i morti, fiato sospeso sugli ostaggi

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Nelle foto sorridono tutti. I loro volti, di giovani, bambini, donne, anziani, scorrono in tv, sui siti, nome per nome, l’età, dove sono stati rapiti, i morti accertati, i vivi forse. Le immagini degli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi di Gaza ora sono diventate una lista, su cui galleggia una fitta nebbia di incertezza poiché per molti di loro esistono solamente stime che li danno ancora in vita dopo 468 giorni di prigionia. Un’informazione precisa non esiste. Nell’accordo tra Hamas e Israele sul cessate il fuoco a Gaza e il rilascio dei rapiti ci sono soltanto numeri e generi. In mano ai terroristi restano 94 ostaggi, tra vivi e morti, trascinati nella Striscia il 7 ottobre 2023. Più due salme di militari uccisi in precedenza e due uomini entrati a Gaza per sbaglio dieci anni fa e trattenuti, che fanno salire il totale a 98.

Le donne presunte vive sono dieci, dai 20 ai 34 anni, tra cui le cinque soldatesse osservatrici rapite nella base militare di Nahal Oz il giorno del massacro. Su almeno tre delle altre non si ha nessuna notizia da almeno un anno: Emily Damari, 27 anni, e Doron Steinbrecher, 30, strappate al kibbutz di Kfar Aza, Romi Leshem Gonen, 23 anni, rapita al rave party di Reem. Il corpo di un’altra donna, Inbar Haiman, 27 anni, anche lei al festival quel sabato nero, è da qualche parte nell’enclave. Due i bambini, i fratellini Kfir e Ariel di due anni e quattro e mezzo, il cui destino è sconosciuto. Un’altra donna è la mamma, Shiri, 34 anni, che era con loro. Tredici sono i giovani tra i 19 e i 35 anni portati via dal festival musicale di cui non si conosce la sorte ma che non sono stati dichiarati morti dall’Idf. Mentre risultano uccisi al rave e portati a Gaza Jonatan Mordechai Samerano, 21 anni, Uriel Baruch, 35, e Guy Iluz, 26 anni.

I soldati vivi ancora in ostaggio sarebbero due, mentre si sa che i terroristi continuano a tenere i resti di altri sette. Su quattro persone tra i 64 e gli 85 anni non ci sono informazioni dell’esistenza in vita, mentre altri sei sono stati dichiarati morti. In prigionia ci sono anche sei lavoratori thailandesi rapiti nei kibbutz, mentre altri due risultano deceduti. Hamas tiene prigioniero anche uno studente nepalese di 23 anni e il corpo di un altro ragazzo della Tanzania che aveva 21 anni. Tra gli uomini giovani che vengono ritenuti vivi c’è Yarden Bibas, il padre dei due piccoli dai capelli rossi rapito separatamente dal resto della famiglia. Di lui ci sono due video: il primo mentre viene portato a Gaza in moto dai jihadisti, con una folla di civili palestinesi che lo assaltano e gli rompono la testa con un sasso; il secondo in cui viene informato in diretta dai terroristi, mentre girano una clip, che i due figli e la moglie sono stati uccisi da un bombardamento israeliano.

Ma né l’intelligence né l’Idf hanno verificato che fosse la verità. Si nutrono speranze che siano riusciti a restare vivi anche alcuni ostaggi, portati via dalle loro case nei kibbutz del sud di Israele, tra i 37 e 55 anni: Omri Miran, 46 anni, Ohad Yahalomi (49), Eli Sharabi (55), Tal Shoham (39), Yair Horn (45), Eitan Horn (37). In totale i corpi di civili e soldati tenuti in ostaggio da Hamas e Jihad islamica palestinese sono 34, 36 se si tiene conto dei due militari uccisi prima del 7 ottobre. Mentre gli ostaggi tornati a casa sono 157. Da 15 mesi le famiglie vivono con il cuore sulle montagne russe. Adesso, con il rilascio alle porte, se possibile è ancora peggio. “Non ho chiuso occhio questa notte. I pensieri, i sentimenti, la preoccupazione e la voglia di abbracciarla, tutti insieme nella mia testa. Stiamo aspettando che l’ufficiale ci chiami, spero davvero che sia tra le prime”, dice con gli occhi persi Simona Steinbrecher, madre di Doron. “Prima di tutto la stringerò a me, poi le dirò che mi dispiace che ci sia voluto così tanto tempo”.

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La Francia consegna a Kiev i primi caccia Mirage 2000

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La Francia ha consegnato i primi caccia Mirage 2000 all’Ucraina: lo fa sapere il governo di Parigi. Il Mirage 2000 sarà il secondo caccia di fabbricazione occidentale ad entrare nelle forze armate di Kiev dopo l’F-16. Il ministro francese delle Forze armate, Sébastien Lecornu, ha annunciato nei mesi scorsi su X che i Mirage 2000 per l’Ucraina saranno equipaggiati con sistemi elettronici di autodifesa e subiranno modifiche specifiche che consentiranno loro di condurre missioni aria-terra.

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Santorini e il rischio sismico: cosa sta accadendo sull’isola?

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Migliaia di persone stanno abbandonando le loro case per paura dei terremoti che da giorni scuotono l’isola greca di Santorini, conosciuta nell’antichità come Thera. La domanda sorge spontanea: c’è un rischio imminente di eruzione?

Secondo gli esperti, per il momento non ci sono segnali evidenti di un’imminente attività vulcanica, ma la zona rimane geologicamente molto attiva e qualsiasi sviluppo va monitorato con attenzione.

Lo sciame sismico e la struttura tettonica

L’attuale sciame sismico si sta concentrando a Nord-Est dell’isola, nella zona del bacino di Anhydros, un’area geologicamente complessa che si estende fino all’isola di Amorgos. Si tratta di un’area caratterizzata da importanti faglie tettoniche, già responsabili in passato di terremoti di forte intensità, come quello del 1956, stimato tra 7.2 e 7.8 di magnitudo Richter.

Sebbene la presenza di fluidi profondi possa influenzare l’attività sismica, la posizione degli eventi fa ritenere che l’origine sia principalmente tettonica, piuttosto che vulcanica.

Il vulcano di Santorini: storia e pericoli

La storia geologica di Santorini è segnata da un evento catastrofico: l’eruzione del 1650 a.C., una delle più violente della storia umana. L’intera isola esplose, svuotando la sua camera magmatica dopo giorni di forti terremoti. Gli abitanti riuscirono quasi tutti a mettersi in salvo, ma la città di Akrotiri fu completamente sepolta sotto strati di cenere vulcanica, diventando una sorta di Pompei dell’Età del Bronzo.

L’eruzione provocò uno tsunami che colpì duramente anche Creta, contribuendo, secondo alcune teorie, al declino della civiltà minoica. Le ceneri di quella devastante esplosione arrivarono fino in Egitto, influenzando miti e leggende, e forse persino il racconto biblico delle piaghe d’Egitto.

Il rischio attuale: terremoti e costruzioni antisismiche

Attualmente, non ci sono prove che il vulcano di Santorini sia prossimo a una nuova eruzione. Le autorità monitorano parametri fondamentali come:

  • Temperatura e composizione delle fumarole
  • Rigonfiamento del suolo
  • Attività sismica profonda

Se il vulcano dovesse dare segni di risveglio, i sistemi di sorveglianza permetterebbero di prevedere con anticipo un’eventuale eruzione. Tuttavia, è impossibile escludere completamente la possibilità di una sua riattivazione in futuro.

Il vero pericolo, al momento, è l’edilizia. In caso di terremoti di forte intensità, non è il sisma in sé a uccidere, ma il crollo di edifici costruiti senza criteri antisismici. Con l’aumento del turismo negli ultimi decenni, si teme che alcune costruzioni possano non essere state realizzate secondo standard di sicurezza adeguati.

Conclusione: nessun allarme, ma massima attenzione

Al momento non c’è un pericolo immediato di eruzione, ma Santorini rimane una zona ad altissimo rischio sismico e vulcanico.

Le autorità stanno valutando eventuali evacuazioni come misura precauzionale, ma se le costruzioni fossero state realizzate seguendo le giuste norme, oggi non ci sarebbe alcun bisogno di fuggire.

La Terra è in continuo movimento e Santorini è uno dei luoghi dove la geodinamica si manifesta più chiaramente. Resta da vedere se, nei prossimi giorni, lo sciame sismico si attenuerà o se sarà il segnale di una nuova fase di attività del vulcano.

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Ue valuta di colpire le Big Tech in caso di dazi Usa

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Colpire al cuore le Big Tech americane, usando uno strumento che, non a caso, era stato pensato durante il primo mandato di Donald Trump. E’ questo il “bazooka” al quale starebbe pensando la Commissione Ue nel caso il presidente americano concretizzasse la sua minaccia sui dazi. A rivelarlo al Financial Times sono stati due funzionari Ue vicini al dossier precisando un dato abbastanza evidente nei corridoi delle istituzioni comunitarie: al momento qualsiasi tipo di ritorsione è affidata al campo delle ipotesi. Nella Direzione Trade di Palazzo Berlaymont, l’aria è, per usare un eufemismo, caldissima.

In attesa di Trump sul tavolo dei funzionari comunitari ci sono più modelli teoricamente percorribili, a seconda di quanta forza Bruxelles voglia imprimere alla sua risposta. In questo quadro, una ritorsione contro le Big Tech sarebbe certamente una replica ferma e netta alla guerra dei dazi di Trump. Anzi, la sola circolazione delle possibili ritorsioni di Bruxelles, nella strategia della Commissione, potrebbe essere già un anticipo della trattativa che verrà. L’appiglio giuridico per colpire le Big Tech sarebbe in questo senso lo Strumento Anti-Coercizione (Aci), varato dalla Commissione ben oltre quattro anni fa – nel pieno della guerra commerciale con gli Usa di Trump – ma entrato in vigore solo alla fine del dicembre 2023.

Lo strumento offre alla Commissione un’ampia gamma di possibili contromisure quando un Paese si rifiuta di eliminare la coercizione. Queste includono l’imposizione di tariffe, restrizioni al commercio di servizi e agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale legati al commercio, nonché restrizioni all’accesso agli investimenti diretti esteri e agli appalti pubblici. L’obiettivo è limitare e combattere la coercizione economica con finalità politiche di Paesi terzi. Anche per questo, negli anni di Joe Biden alla Casa Bianca, l’Aci è stato usato come deterrente nei confronti della Cina e non degli Usa.

Ursula von der Leyen, in ogni caso, non ha nessuna intenzione di chiudere le porte al dialogo con Trump. Un dialogo che, tuttavia, ad oggi resta assente. I contatti tra Bruxelles e Washington stentano a decollare, all’orizzonte non si intravede alcun incontro tra i vertici Ue e il presidente americano. Di certo, in Europa accanto alla prudenza d’ordinanza si sta facendo spazio l’intenzione di fare di tutto per farsi rispettare. Anche perché la linea della Commissione è che l’economia europea e quella americana “si completano molto bene” e non c’è un alcun atteggiamento iniquo da parte dell’Ue. Stando ai dati del 2023 sul fronte del beni l’Ue ha incassato un surplus di quasi 156 miliardi di euro rispetto agli Usa, mentre nei servizi gli Stati Uniti hanno avuto un surplus di 104 miliardi. Complessivamente (beni e servizi) il surplus a favore di Bruxelles è stato di quasi 52 miliardi di euro, ha puntualizzato Palazzo Berlaymont.

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