Sempre più italiani a rischio povertà e salari sempre più bassi a causa dell’inflazione che erode il potere d’acquisto: la fotografia scattata dall’Istat sulle condizioni di vita e il reddito delle famiglie negli ultimi due anni non lascia spazio all’ottimismo. Anzi, certifica quel record negativo sulle retribuzioni, toccato dall’Italia nel G20, che l’Organizzazione internazionale del lavoro ha fatto emergere solo qualche giorno fa. Anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, torna a lanciare l’allarme sui salari e attacca Confindustria sui rinnovi contrattuali inadeguati e il governo che continua a non tassare la rendita.
E l’opposizione, dal Pd ai 5 Stelle, ne approfitta per accusare la premier Meloni e i suoi ministri di aver messo in campo politiche sociali fallimentari. Secondo l’Istat, nel 2024 la percentuale di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è salita al 23,1% dal 22,8% del 2023, per un totale di circa 13 milioni e 525 mila persone. Ovvero, quasi un italiano su quattro ha serie difficoltà a tirare avanti, pur lavorando. Dai dati emerge infatti che, se da una parte resta invariata la quota di individui a rischio di povertà (18,9%) e quella di chi è in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,6%), dall’altra preoccupa l’aumento da 8,9% a 9,2% di individui in famiglie a bassa intensità di lavoro.
Ovvero circa 3 milioni e 873 mila persone tra i 18 e i 64 anni che nel corso del 2023 hanno lavorato meno di un quinto del tempo. Una quota aumentata tra le persone sole con meno di 35 anni (15,9% rispetto al 14,1% del 2023) e, soprattutto, tra i monogenitori, che presentano una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale (19,5% contro il 15,2% del 2023). Inoltre, dall’analisi territoriale il Nord-est si conferma l’area con la minore incidenza di povertà o esclusione sociale (11,2%), mentre il Mezzogiorno rimane la zona più colpita, con il 39,2%. Ad aggravare il quadro c’è poi l’aspetto dei redditi. L’Istat segnala come il reddito medio delle famiglie italiane nel 2023 sia stato pari a 37.511 euro, con un aumento del 4,2% in termini nominali ma una riduzione dell’1,6% in termini reali. Questo significa che, nonostante gli incrementi apparenti, l’inflazione ha continuato ad erodere la capacità di spesa dei cittadini.
In questo caso il calo è particolarmente marcato nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), mentre il Mezzogiorno registra una lieve flessione (-0,6%) e il Nord-ovest addirittura un lieve incremento (+0,6%). “In Italia si è precari e si è poveri. Il governo continua a non tassare la rendita, i profitti, non prende i soldi dove ci sono”, ha detto Landini, sottolineando come la questione salariale sia fondamentale e Confindustria la stia affrontando nel modo sbagliato, senza tutelare davvero il potere d’acquisto.
Dal Pd la vicepresidente Chiara Gribaudo parla di “fallimento delle politiche economiche e sociali portate avanti da questa destra”, mentre per la vicepresidente del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino, la premier “ruba ai poveri per dare ai ricchi”. In sostanza, ricostruisce l’Istat, dalla grande crisi economica di quasi 20 anni fa i salari non si sono mai ripresi: dal 2007 a oggi, i redditi delle famiglie italiane sono diminuiti in media dell’8,7% in termini reali, con il Centro che ha subito la perdita più marcata (-13,2%).
Le più penalizzate sono state le famiglie la cui principale fonte di reddito è il lavoro autonomo, che hanno visto una contrazione del 17,5%, seguite da quelle che contano sul lavoro dipendente (-11%). Unico dato positivo è l’incremento del 5,5% per le famiglie che vivono principalmente di pensioni e trasferimenti pubblici. Un piccolo sollievo considerato che, stando ai dati Inps, il 53,5% delle pensioni private ha un importo inferiore a 750 euro, una percentuale che per le donne raggiunge il 64,1%.