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I Manager di Autostrade intercettati dopo il disastro di Genova parlano della strage di Avellino e delle verità nascoste ai magistrati irpini

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“Quello (si riferiscono ad Amedeo Gagliardi, direttore legale e nuovo membro del cda di Autostrade, ndr) meritava una botta. Meritava che mi alzassi una mattina e andassi ad Avellino a dire la verità. Così proprio lui lo ammazzavo credimi, era l’
unica soddisfazione che avevo”.
È il 14 gennaio del 2019.  Siamo a cinque mesi dal crollo del ponte Morandi,  dalla morte di 43 persone persone inermi. Ma soprattutto sono passati tre giorni dalla sentenza dei giudici sulla strage del bus di Avellino nella quale morirono altre quaranta persone. Il Tribunale di Avellino, in primo grado, aveva appena inflitto cinque anni e mezzo di carcere al dirigente di Autostrade, Paolo Berti. All’epoca dei fatti di Avellino Berti era direttore delle operazioni. Contestualmente alla condanna di Berti, vengono assolti tutti i componenti di  vertice di società Autostrade per l’Italia. Tra gli assolti c’era anche  l’allora potentisismo amministratore delegato Giovanni Castellucci.

Viadotto dell’Acqualonga. Il luogo dove il bus precipitò e fece strage

A parlare nell’intercettazione è Berti, indagato anche per il crollo del Morandi.
Dal tono Berti appare molto nervoso, arrabbiato. Berti l telefono si sfoga al telefono con l’altro super manager di Aspi, Michele Donferri Militelli (entrambi sono sospesi), che all’epoca dei fatti era direttore delle manutenzioni, anche lui coinvolto nell’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi. La telefonata viene intercettata dalla Guardia di finanza e coinvolge anche Amedeo Gagliardi. Gagliardi era ed è ancora il direttore legale dell’azienda. Nel contesto specifico Gagliardi è il punto di riferimento per ogni problema legale in azienda.
Oggi Gagliardi è nel nuovo consiglio di amministrazione di Aspi. Alla testa del Cda c’è Roberto Tomasi. Parliamo della nuova dirigenza, quella che deve cambiare l’immagine della società, il racconto dell’azienda pesantemente colpita dopo l’indagine sui falsi rapporti. Dalla carte finite in Procura Berti lancia durissime accuse al nuovo dirigente. “Gagliardi non mi ha chiamato ma io quello lo aspetto al varco – dice il manager appena condannato – ma tanto per lui c’è una giustizia. Quello lo devo ammazzare definitivamente cazzo”. E poi il riferimento alle verità nascoste da Berti ai magistrati di Avellino. False dichiarazioni sui cui la Procura irpina ha aperto una nuova inchiesta alla luce degli atti trasmessi dai colleghi genovesi.

Strage del viadotto dell’Acqualonga. Furono 40 i morti estratti dal bus precipitato dal cavalcavia

Da Autostrade, interpellata dal Secolo XIX sulla vicenda delle accuse lanciate dall’ ex direttore delle operazioni Paolo Berti nei confronti del nuovo membro del consiglio di amministrazione di Aspi e direttore legale Amedeo Gagliardi non viene rilasciato nessun commento ufficiale.
Ma da fonti legali dell’ azienda si fa notare che Amedeo Gagliardi nulla aveva a che vedere con le posizioni dei singoli imputati, non essendo la società Autostrade per l’ Italia coinvolta nel procedimento di Avellino, se non come responsabile civile.
La stessa Aspi peraltro ricorda che tutti gli imputati nel procedimento per la morte di 40 persone a bordo di un autobus in Campania sono stati assistiti e consigliati da avvocati esterni alla società e hanno esercitato tutti i diritti concessi alla difesa.
un approccio neutrale nella gestione della vicenda.
Citando direttamente Giulio Andreotti: «Devi stare tranquillo perché comportandoti così (la verità nascosta ad Avellino da Berti, ndr) hai la possibilità di trovare un accordo con questa gente. Che tacciano pure (riferito alla mancata telefonata di Gagliardi dopo la condanna) ma (un accordo) devi trovarlo. Su questo devi riflettere… voglio dire, Andreotti insegna». E ancora: «Se non puoi ammazzare il nemico, te lo fai amico», aggiunge iro nico Michele Donferri. Ma Berti è offeso. Secondo gli inquirenti la rabbia è motivata dalla mancata solidarietà ricevuta dopo la sua condanna dai suoi superiori per i quali aveva mentito. E attacca: «La cosa che mi dà fastidio è che mi trattano come se non fossi mai esistito: tu sei al pari di zero. Hai capito?».
La conversazione prosegue e abbraccia i possibili provvedimenti che l’azienda potrebbe prendere nei confronti dei suoi dirigenti, sia alla luce della sentenza di Avellino che per il crollo del viadotto Morandi. Donferri lo invita alla calma spiegandogli che conviene nascondere la verità per un tornaconto lavorativo: «Qui trombano tutti (nel senso che rimuovono dalle cariche, ndr). Tu hai ragione ma non è che se metti in galera anche un altro o lo accusi di qualcosa, per la situazione cambia.
Quindi a questo punto tu la gente la devi aspettare al varco. Aspettali al varco e pensa solo a stringere un accordo con il capo, punto e basta».

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L’ipnosi in sala operatoria per due anziane a Torino

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L’ipnosi in sala operatoria si consolida come una risorsa in più per combattere il dolore in sala operatoria. Per la prima volta a Torino, all’ospedale delle Molinette, due donne in età avanzata (75 anni e 79 anni) sono state sottoposte a un intervento in ipoanestesia, una pratica che alla Città della Salute definiscono “l’ultima frontiera degli approcci destinati a garantire ai pazienti un trauma chirurgico sempre minore”. L’ipoanestesia, che ha già preso piede in numerosi Paesi europei per operazioni di chirurgia complessa, è considerata una valida alternativa all’anestesia generale: non pretende un carico pesante di farmaci invasivi, modula la percezione del dolore e, soprattutto, allontana la percezione del bisturi, riducendo lo stress emotivo. Effetti che, a quanto pare, si riverberano anche sul recupero post operatorio, più rapido ed efficace, con conseguente riduzione dei tempi di ricovero.

Nel caso delle due pazienti torinesi si è trattato di abbinare l’ipnosi all’anestesia locale per poi procedere, tramite delle ‘tradizionali’ incisioni al collo di minima entità (2,5-3 cm), all’asportazione di tumori benigni delle paratiroidi. L’intervento ha richiesto la composizione di un’equipe composta da specialisti di varie discipline: Maurizio Bossotti (responsabile della Chirurgia tiroidea-paratiroidea del Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica della Città della Salute di Torino, diretto dal professor Mario Morino) è stato affiancato da Pietro Soardo e Valentina Palazzo, specializzanda in Chirurgia Generale ed ipnologa, e dagli anestesisti del gruppo di Roberto Balagna.

In Italia il ricorso all’ipnosi clinica è una realtà da diverso tempo e in diversi ambiti. Nel 2020 l’ospedale San Paolo, a Savona, se ne servì a scopo analgesico su un uomo sottoposto a un intervento al cuore, mentre nel 2022 fu il San Michele di Cagliari ad impiegarla nel corso di un trapianto di fegato: il paziente, dopo una serie di incontri preparatori, venne ‘risvegliato’ in stato di ipnosi in sala operatoria anziché in rianimazione, cosa che scongiurò una quantità di complicazioni. Nel 2023, ad Ancona, un tumore cerebrale fu asportato con procedura awake: il paziente, sveglio e cosciente, indossò un visore che lo inondò di immagini e musiche capaci di ridurre l’ansia pre e post operatoria. La sedazione digitale è stata utilizzata al ‘Ferrari’ di Castrovillari (Cosenza) per coronarografie e impianti di peacemaker.

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Abusi su 13enne, spedizione punitiva amici contro l’ex

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Non si è ribellata quando lui le ha imposto un rapporto sessuale perché “avevo paura che lui mi lasciasse”. Protagonista di questa brutta storia che arriva da Genova una ragazzina di 13 anni che ha raccontato di esser stata obbligata ad avere rapporti con il suo fidanzato del tempo, di due anni più grande, nella sua casa quando i genitori non c’erano. Una storia che durava da qualche mese e che è stata scoperta dalla polizia intervenuta per la chiamata al 112 dell’ex fidanzatino della vittima, accerchiato dagli amici della ragazzina intenzionati a portare a termine una vera e propria spedizione punitiva. Tutto nasce un pomeriggio di qualche tempo fa quando la ragazzina va a casa del fidanzatino che ha, appunto, 15 anni.

I genitori di lui non ci sono e avvengono gli abusi. Lei non lo lascia perché ha paura che lui l’abbandoni poi l’infatuazione è finita e lei racconta tutto ai suoi amici. Amici che, dopo essersi radunati, in tutto una decina di ragazzi tra i 13 e i 16 anni, imbastiscono una specie di spedizione punitiva a casa dell’ex. Quel giorno il 15enne è solo nell’appartamento al primo piano del condominio in cui abita con i genitori.

Quando arrivano gli amici della ragazzina iniziano a dare pugni contro le sue finestre e uno cerca addirittura di entrare in casa. Il ragazzo si spaventa, prende un coltello da cucina e poi chiama il 112. Quando la polizia interviene ci vuole un po’ per capire cosa stesse succedendo e che cosa aveva portato a quella reazione esasperata di un gruppo di giovanissimi. I ragazzini amici della vittima vengono tutti identificati e accompagnati negli uffici della polizia: ovviamente ciascuno racconta quello che sa e quello che invece gli è stato solo riferito ma sarà la ragazzina di 13 anni a dover raccontare il retroscena.

Tra l’altro, la vittima aggiunge che aveva tentato di parlarne a casa con i genitori ma che aveva avuto scarso successo. Genitori che, convocati e sentiti dalla polizia, affermano: “Ci aveva accennato qualcosa, ma pensavano fossero questioni tra ragazzi”. Tutta la vicenda adesso è sottoposta a indagini della procura presso il tribunale dei Minori, Un fascicolo in cui un quindicenne è accusato di violenza sessuale aggravata. E negli ultimi giorni la vittima è stata sentita durante un incidente probatorio, fornendo – secondo quanto appreso – ‘significative conferme’.

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Arcivescovo Napoli ad amministratori: bisogna fare di più

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La Costituzione “ci obbliga ad adempiere le nostre funzioni “con onore e disciplina” e l’onore non può che essere quello del “dovere della verità e dell’impegno per la giustizia” non solo formale ma anche sostanziale. In un territorio che, pur cercando faticosamente di adottare “un diverso paradigma”, soffre ancora di tante diseguaglianze e in tante periferie umane e sociali si attendono opportunità civili e dignitose, chi ha responsabilità pubblica ha il dovere di fare di più e bandire ipocrisie e luoghi comuni. Ancora troppa ricchezza mal distribuita, ancora troppo lavoro nero, ancora la prepotenza della criminalità organizzata, sirena per chi, con scarse opportunità, in particolare i giovani, anela al cambiamento del proprio status sociale, cerca scorciatoie”. Lo ricorda nella lettera ai fedeli della diocesi partenopea per l’Avvento 2024 l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che nel prossimo concistoro del 7 dicembre sarà creato Cardinale.

“A noi, il Cristo che viene, ci chiede quel gesto di amore di cui parlò Paolo Borsellino, nella chiesa di Sant’Ernesto, a Palermo il 23 giugno 1992, in occasione del trigesimo della strage di Capaci, ricordando Falcone “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione…. Per amore!” E tali parole richiamano alla mente l’attualità del documento diffuso proprio a Natale dell’anno precedente, il 1991, in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della forania di Casal di Principe, per spingere a prendere coscienza del problema mafioso, ‘Per Amore del mio popolo'”, prosegue ancora l’arcivescovo di Napoli.

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