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I Cesaroni a Giffoni, il ritorno del cult atteso anche dai giovani

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A Giffoni è arrivato il grande e atteso giorno de “I Cesaroni il ritorno” che andrà in onda prossimamente su Canale5. C’è Claudio Amendola, simbolo unico di una serie diventata icona che ora passa anche dietro alla macchina da presa, c’è l’altra colonna Matteo Branciamore, ci sono le new entry Marta Filippi e Andrea Arru. E c’è anche in un abbraccio collettivo e negli occhi lucidi dei colleghi lo scomparso Antonello Fassari, l’istrionico attore che dava volto a Cesare e la sua battuta cult “Che amarezza!”. “Il cuore è gonfio e pieno come anni fa. Antonello – spiega Amendola – è vicino a noi e ogni momento è dedicato a lui. Da una sceneggiatura che prevedeva me, lui, Ricky Memphis e Lucia Ocone come un quartetto, abbiamo saputo della sua malattia e capito che dovevamo rinunciare alla sua presenza assidua, poi abbiamo ulteriormente centellinato perché non stava bene ma era comunque bello averlo con noi. E infine se ne è andato prima che cominciassimo… Non riesco a non commuovermi tutte le volte che ne parlo – ammette trattenendo a stento le lacrime – ma lui è con noi, ci manca moltissimo ma è anche un motivo di grande sprone. Io sono anche convinto che in un’occasione particolare ha salvato me e Ricky da un’incidente che stavamo per fare con due macchine”.

Amendola parla anche degli storici compagni di questa avventura: “Ripartire dopo un decennio è stata una sensazione forte, rientrare in quella casa è stato forte, ho visto occhi brillare. Tante emozioni ma anche una responsabilità maggiore”. E delle new entry: “Ho trovato gli attori, come mi piace dire, con i personaggi in tasca. Non solo quelli che già c’erano. Abbiamo Ricky Memphis che ti chiedi: ‘Ma perché non li ha fatti prima i Cesaroni?’. Abbiamo Lucia Ocone che è una sorella. Noi siamo un gruppo accogliente, come anche la Garbatella”. Sul nuovo ruolo di regista dice: “Un”esperienza totale, divertente, coinvolgente, faticosa con una ‘auto-eredità’ pesante. Ma ho insistito tanto con la produzione per rifare un salto a casa degli italiani con i Cesaroni e quindi volevo prendermi la responsabilità”. Sul personaggio dice: “Giulio è invecchiato, si trova ad affrontare una situazione travolgente e come sempre accade nei Cesaroni bisogna tirarsi su le maniche e fare quello che ha sempre fatto: la chioccia che cerca di abbracciare tutti per quanto ci riesce e per quanto è possibile riuscirci. È molto dolce nel suo ruolo di nonno, un po’ all’antica come quando torna Marta dall’America evle chiede ‘Vuoi un panino?’ come facevano i miei nonni che avevano paura che io non mangiassi”.

Sulle tematiche affrontate dice: “Se è vero che i Cesaroni rappresentano gran parte delle famiglie italiane, immaginiamo che in questi anni che non ci siamo visti abbiano vissuto la vita delle famiglie. Dopo il Covid siamo figli di quella bolla, di quella crisi e di quel periodo che abbiamo passato un po’ tutti. E se non abbiamo più strascichi di salute, ne abbiamo a lievllo economico e pure mentale”. Del resto i Cesaroni amano affrontare a modo loro anche tematiche che altri preferiscono lasciare stare: “Senza educare e senza avere la pretesa di insegnare niente a nessuno, ci siamo presi la responsabilità di affrontare argomenti meno larghi (come le famiglia allargate, oggi più diffuse come tema ma all’epoca no). Nel mio caso – racconta ridendo – ho un albero genealogico allargato, i miei avi erano separati dall’800 in poi e devo dire che tutti i miei discendenti continuano nella tradizione. E il personaggio di Andrea Arru, un ragazzo neurodiveregente è un po’ questo. Abbiamo sempre cercato di parlare nel nostro linguaggio, un po’ scorretto, un po’ scanzonato, un po’ leggero ma mai banale e mai superficiale per potere arrivare a chi ha più difficoltà ad approcciarsi a questi temi. Una fiction di così grande respiro deve avere il coraggio di farlo. La cosa che in questi anni mi ha inorgoglito è che molto spesso genitori mi sono venuti a dire: ‘Grazie perché non sapevo come parlare ai miei figli di quella cosa e ho usato le tue parole nella fiction’. Come mi ha commosso quando Bebe Vio ha detto che I Cesaroni le facevano tanto compagnia mentre era in ospedale”. Branciamore ricorda come sul set dei Cesaroni è “cresciuto e come davvero gli sia scappata una lacrimuccia a tronare sul set”.

Marta Filippi dice: “Parto da fan ed è un onore entrare nel cast. Sono la compagna di Marco ma anche una mamma. Un personaggio di cuore, determinato”. Molto intressante anche il personaggio di Arru: “E’ stato uno dei ruoli piu difficili della mia carriera, un ruolo delicato e trasportarlo in chiave Cesaroni è stato bello. E’ un personaggio affascinante, spiazzante e anche colto. Sono molto contento di trattare questo tema che non è comune. Faticoso ma è una figata”. “Da quando le prime stagioni – dice Verdiana Bixio, presidente e ceo di Publispei – sono state riproposte in piattaforma da Amazon prima e da Netflix poi, il grande pubblico si è riacceso. O meglio i nostri fan, quelli che sono cresciuti insieme a noi non hanno mai smesso di amare i Cesaroni soprattutto sui social. La cosa straordinaria è che loro hanno rivisto l’intera serie a volte proprio con i loro figli e di generazione in generazione siamo in qualche modo rinati!”.

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Lillo si racconta tra successi, bugie e risate: “Sono un sognatore, non un egoista”

In un’intervista al Corriere della Sera, Lillo parla del suo nuovo film, del successo di Posaman, del rapporto con Greg e del dolore per il taglio nella “Grande Bellezza”.

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È ironico, vanesio, bugiardo “il giusto”, ma soprattutto sincero nel dichiararsi un eterno sognatore. Lillo (foto Imagoeconomica in evidenza), protagonista del nuovo film Tutta colpa del rock (in uscita al cinema il 28 agosto), racconta al Corriere della Sera il suo personaggio – un padre assente che finisce in carcere e forma una band – e riflette sulle sue verità private e professionali.

“Bugie? A volte aiutano. Ma non sono egoista”

Lillo si descrive senza filtri: «Il giusto, non esistono persone che non dicono bugie. A volte una bugia aiuta», ammette. Ma nega di essere egoista: «Sono un sognatore che sogna troppo, dovrei restare più coi piedi per terra».

Dai palchi con Greg alla popolarità di Posaman

Ripercorrendo la carriera, Lillo ricorda gli esordi con Greg e la band Latte & i suoi Derivati. «Una volta arrivammo in un locale e c’era una fila che girava intorno al palazzo. Pensai: dev’esserci un evento importante… invece erano lì per noi».

Poi arriva la popolarità planetaria con LOL e il personaggio di Posaman: «Il supereroe delle pose ha colpito perché infantile, diretto, si rifà a una comicità ancestrale. Comunica all’inconscio: tutti ci mettiamo in posa. È andato oltre le mie intenzioni».

Con Greg è una coppia “non di fatto, ma di amanti”

Lillo chiarisce: «Io e Greg abbiamo sempre avuto percorsi paralleli: lui più nella musica, io nel cinema. Non è mai esistita gelosia. Siamo più amanti che una coppia di fatto».

L’amicizia con Corrado Guzzanti: tra B-Movie e videogame

Tra i momenti privati, c’è l’amicizia con Corrado Guzzanti: «Passiamo serate nerd tra giochi da tavolo e B-Movie girati malissimo. Ma ogni tanto spunta anche qualche chiacchierata matura».

So’ Lillo, La grande bellezza e l’Oscar mancato

Il tormentone So’ Lillo? «Non si costruisce a tavolino. Lo trova il pubblico». E sulla Grande Bellezza: «Ero il protagonista. Ma in montaggio mi hanno tagliato così tanto che alla fine è diventato un film su Servillo. Ci sono rimasto male».

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Economia

Leonardo Maria Del Vecchio: “Costruire, non ereditare”. La visione dell’erede di Luxottica

Leonardo Maria Del Vecchio racconta il progetto LMDV Capital: investimenti industriali, crescita strategica e il ruolo attivo nel rilancio di Ray-Ban e altri brand italiani.

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Dopo tre anni intensi di acquisizioni e oltre 375 milioni di euro investiti, Leonardo Maria Del Vecchio, 30 anni, presidente di Ray-Ban, fondatore di LMDV Capital e azionista di Delfin, riflette su una fase imprenditoriale in piena espansione. In una intervista rilasciata al Corriere della Sera, sottolinea: «È stata una stagione di forte crescita. Ora sento l’esigenza di definire con maggiore chiarezza la visione e la strategia del nostro progetto».

Un portafoglio che vale un miliardo

Del Vecchio spiega che secondo una delle principali società di revisione, il valore degli asset detenuti da LMDV si attesta attorno al miliardo di euro. La leva finanziaria è contenuta e il debito bancario copre una quota limitata degli asset. Tra gli investimenti rivalutati figurano un palazzo in via Turati, Palazzo Smeraldo e una proprietà in via Monte Napoleone, a copertura dell’intera esposizione bancaria stimata in circa 150 milioni.

Credibilità costruita sul campo

Il nome Del Vecchio ha certamente un peso, ma Leonardo tiene a precisare: «Non ho chiesto credito sulla base del cognome. Ho ottenuto fiducia grazie a quello che ho fatto». Il suo ruolo attuale in Ray-Ban e nel gruppo EssilorLuxottica, sottolinea, non è stato ereditato ma assegnato dopo la morte del padre, in virtù dei risultati concreti ottenuti.

Dialogo aperto in Delfin

In vista dell’assemblea degli azionisti di Delfin del 31 luglio, Del Vecchio si dice ottimista: «Le posizioni più estreme si stanno ammorbidendo. Se non sarà a luglio, troveremo un’intesa a breve».

Una strategia di sinergie tra settori

Il gruppo investe in logica industriale, non speculativa. Acqua e Terme Fiuggi, Leone Film Group, ristoranti come Vesta e Twiga: ogni asset è pensato per generare valore e sinergie tra hospitality, entertainment e immobiliare. «Non cederemo mai i nostri brand a chi ne disperde il valore».

Crescita verticale e identità forte

Del Vecchio racconta l’evoluzione di Twiga, passato da 20 a 70 milioni di fatturato in 18 mesi, e la valorizzazione della Leone Film, che punta a diventare anche agenzia musicale e contenitore culturale. «La nostra è una crescita rapida ma strutturata».

Innovazione e sostenibilità con Esa NanoTech

L’ultimo investimento è in Esa NanoTech, azienda con un processo brevettato per produrre grafene da plastica riciclata. «Un’attività che sostiene l’economia circolare», afferma Del Vecchio, evidenziando l’impegno per una crescita sostenibile e tecnologicamente avanzata.

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Cultura

Valentina Alferj ricorda Andrea Camilleri: “Mi manca il suo senso civile, le parole erano pietre”

L’ex assistente di Camilleri, Valentina Alferj, racconta il loro legame umano e professionale, dal metodo di scrittura condiviso fino al ruolo civile della parola.

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Valentina Alferj, per sedici anni accanto ad Andrea Camilleri (foto Imagoeconomica), oggi guida una sua agenzia letteraria. È reduce dalla prima edizione del Festival di Teatro della Biennale di Venezia, realizzata insieme a Willem Dafoe. In una lunga intervista al Corriere della Sera, racconta il suo legame con il grande scrittore siciliano.

L’ultimo saluto e una promessa di vita

«Lo salutai al telefono il giorno prima che perdesse conoscenza. Ero a Ischia, rientravo a Napoli in barca. Mi disse: sarà un viaggio bellissimo». Un saluto che Valentina ha trasformato in un impegno a celebrare ogni giorno l’esperienza condivisa con lui.

Una bottega di scrittura condivisa

Alferj incontrò Camilleri nel 2003 al Festival di Massenzio. Fu lui a cercarla il giorno dopo: «Hai degli occhi intelligenti, mi piacerebbe lavorare con te». Da allora, un rapporto professionale e umano che si è trasformato in una vera e propria “bottega” letteraria. Dopo la perdita della vista, Camilleri le chiese di scrivere con lui, dettando i romanzi. «Facevo da tubo catodico tra lui e la pagina bianca», racconta Alferj.

Il metodo Camilleri: rigore e musicalità

Ogni libro di Montalbano obbediva a una “gabbia narrativa”: numero fisso di capitoli, righe per pagina, ritmo preciso. Anche da cieco, Camilleri chiedeva: “Siamo a riga 15, vero?” La padronanza del ritmo narrativo era totale. Il vigatese, lingua in progress, era appreso da Valentina “leggendo e ascoltando”, per comprenderne evoluzioni e sonorità.

I personaggi di Camilleri erano reali

«I romanzi non nascevano da invenzione, ma da occasioni reali. Mio figlio Andrea e mia figlia Gilda, i problemi scolastici, la mia migliore amica: tutto diventava racconto». Camilleri trasformava ogni aneddoto quotidiano in letteratura.

L’eredità morale di un autore civile

Ciò che più le manca non è solo l’amico, ma la sua “responsabilità civile”. «Negli anni di pandemia e di guerre mi sono spesso chiesta cosa avrebbe detto lui». Per Camilleri, nato nel 1925, la parola “pace” aveva un valore assoluto. «Le parole erano pietre – afferma Alferj – le costruiva con il corpo, la voce, il silenzio. Non si poteva non ascoltarlo».

L’incontro con Willem Dafoe e la Biennale

L’incontro con Willem Dafoe, voluto da Pietrangelo Buttafuoco, l’ha portata a collaborare con la Biennale Teatro. «Dafoe sapeva dei miei trascorsi teatrali. E uno dei momenti più belli è stato il “Pinocchio” di Davide Iodice, anche lui allievo di Camilleri all’Accademia».

Il passaggio del testimone

Dalla bottega con Camilleri, alla creazione della sua agenzia letteraria, oggi con Lorenza Ventrone e Carmela Fabbricatore. «Mi ha insegnato che la peculiarità umana delle persone con cui lavoriamo è più importante di qualsiasi successo».

Alla fine, tutto torna a lui: «Vedo il disegno che i puntini compongono. E in quel disegno, intravedo il sorriso di Andrea Camilleri».

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