Collegati con noi

Cronache

I casalesi in Veneto avevano alle loro dipendenze anche i picciotti della mala del Brenta. I magistrati antimafia: clan radicato grazie a omertà e connivenze di insospettabili professionisti locali

Pubblicato

del

L’attività investigativa anticamorra che ha portato ai 50 arresti da parte della procura distrettuale antimafia di Venezia “è enorme, parte addirittura dal 1996, in essa sono stati riversati elementi che compaiono da oltre 20 anni, personaggi che hanno sviluppato un ruolo camorristico di rilievo da tantissimi anni”. Queste prime parole del procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, nella conferenza stampa svoltasi a Venezia sul blitz di stamani, servono a rendere meno amara la pillola a chi aveva creduto in questi anni sulla verginità del nord est rispetto all’inquinamento mafioso. C’è una cosa che resta difficile da spiegare.

Nel Veneto orientale, ha sottolineato De Raho, “la camorra non si comporta diversamente che in Campania o altre regioni. Quel che è avvenuto altrove è stato replicato. In questo territorio di volta in volta venivano svolti gli elementi sintomatici, le estorsioni, e su queste si interveniva con arresti, e già da anni emergeva una modalità mafiosa di agire sul territorio”.

“La camorra si combatte con etica dei comportamenti, denuncia, barriere di legalità, se non lo si fa in Veneto, immaginate come siamo esposti e si sottolinea come l’economia sia infiltrata dalle mafie” ha spiegato Cafiero De Raho ai giornalisti in conferenza stampa al Tribunale di Venezia. “L’ordinanza di oltre 1000pagine non si sarebbe raggiunta se non ci fosse stata un’intelligenza di analisi e la capacità di mettere insieme il materiale in unico contenitore per comprendere il reato di associazione mafiosa. Sono state registrate 32 ordinanze di associazione mafiosa e 4 di concorso esterno in associazione mafiosa. Oltre a numerose estorsioni”.

Ma chi sono questi casalesi sbarcati da anni in Veneto? Fino a che punto controllavano il territorio, avevano il predominio sugli affari illeciti e inquinavano l’economia legale?

“Questa organizzazione – spiega sempre Cafiero de Raho –  ha soppiantato la Mala del Brenta, assorbiti in struttura. Il clan era talmente in grado di controllare il territorio da entrare in contatto con altre organizzazioni, diventando il riferimento territoriale per la ‘Ndrangheta, che dove necessario faceva riferimento ai Casalesi”. Anche in Veneto, come altrove, a rendere la vita facile ai mafiosi è la mancata denuncia, la connivenza, la convivenza e la convenienza della cosiddetta società civile. Un esempio lo fa sempre Cafiero de Raho. Nel corso delle indagini gli inquirenti si sono imbattuti nella storia di un direttore di banca, “la fidanzata aveva subito il furto di una valigetta con tesi. Lui si è rivolto ai mafiosi per recuperarla, in meno di 24 ore tutto è stato restituito. La capacità di questo soggetto era anche di influire con la banca. Sono modalità con cui i soggetti si sono affermati verso l’impresa, la politica, la parte sana del territorio che anziché far da barriera si sono avvalsi della camorra per ottenere risultati”.

Tra gli indagati nell’inchiesta che conta 50 arresti, purtroppo sono coinvolti a vario titolo un avvocato e dei commercialisti. Tra i filoni d’indagine anche l’ipotesi di rapporti con la politica e il voto di scambio, in particolare in rapporto con il clan dei Casalesi. Su questo versante molto delicato c’è un filone di indagine assai ponderoso e ancora da approfondire da parte del sostituto procuratore veneziano Roberto Terzo. L’ordinanza odierna con i provvedimenti restrittivi – oltre 1.100 pagine – è stata emessa dal gip Marta Paccagnella.

“Il Clan dei Casalesi, riconosciuto ovunque, è partito dalla Campania, poi è giunto in Emilia Romagna e ora anche in Veneto offrendo servizi illegali. Ad esempio la manodopera, a costi molto bassi, ottenendo così subappalti. Non adempiono ad oneri fiscali e e previdenziali così lo stipendio di chi lavora non ha coperture assicurative o previdenziali, poi il lavoro nero e il caporalato”.  Oltre a questo, il procuratore ha precisato cosa accadesse in seguito alle società: “Queste società che poi chiudono e falliscono, svaniscono nel nulla, è un’altra forza dei Casalesi, muoversi in terreno tutto illegale, pretende appalti da un lato, e dall’altro offre servizi. Il Clan dei casalesi protegge anche nuclei criminosi legati a prostituzione e spaccio per la protezione”.

“Il clan dei Casalesi in Veneto agiva in tutti i settori: riciclaggio, usura, estorsione, rapine, prostituzione, lavoro in nero e caporalato” ha spiegato il Procuratore di Venezia Bruno Cherchi. In pratica uomini della camorra riciclavano denaro finanziando imprese locali di varia natura, specie nell’edilizia, quindi applicavano tassi usurai e passavano all’estorsione sia a favore degli ‘assistiti’, se indebitati, che direttamente sugli stessi imprenditori. Il denaro accumulato, anche con rapine, veniva poi convogliato nella gestione della droga e della prostituzione con l’aiuto di commercialisti per assumere persone sfuggendo alla fiscalità, se non addirittura in nero o attraverso il caporalato. “Il fatto gravissimo – ha detto Cherchi – è che le vittime, specie dell’usura, venivano costrette a partecipare all’attività camorristica arricchendo sempre di più il tessuto malavitoso di fatto conquistando il territorio lungo la costa da San Donà di Piave a Eraclea, Caorle e Jesolo”.

 

Advertisement

Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

Pubblicato

del

Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

Continua a leggere

Cronache

Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

Pubblicato

del

Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

Continua a leggere

Cronache

Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

Pubblicato

del

Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto