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Esteri

Hezbollah prepara la resistenza nei tunnel del sud

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Una vera e propria città sottoterra, con tunnel ampi quanto gallerie ferroviarie illuminati a giorno e collegati direttamente con le rampe di lancio di missili balistici a media e lunga gittata puntati contro Israele, si snoda sotto la superficie del sud del Libano, lì dove i jet israeliani fanno da mesi terra bruciata. Gli Hezbollah libanesi assicurano di essere pronti a resistere con ogni mezzo all’invasore israeliano. E ribadiscono di avere a disposizione una fitta rete di cunicoli e bunker sotterranei rimasti intatti nonostante gli intensi e incessanti bombardamenti a tappeto di Israele.

Mentre si allestiscono le trincee, la società civile lasciata pressoché da sola da uno Stato che appare inesistente tenta di organizzarsi per contenere una tragedia umanitaria dai contorni ancora tutti da definire. C’è chi dal Libano e dall’estero coordina gruppi di organizzazioni non governative locali perché distribuiscano aiuti e beni di prima necessità alla marea di sfollati riversatasi sulla capitale Beirut e in altre zone considerate sicure.

C’è chi tenta di organizzare donazioni di sangue e chi, a bordo di pulmini e auto private, entra nelle località e nei quartieri presi d’assalto dai profughi consegnando porta a porta materassi, coperte, latte in polvere per neonati. “Sono scene già viste mille altre volte in Libano eppure ci sentiamo in una situazione molto diverse dal passato”, afferma Janette, operatrice umanitaria di Beirut. “In poco tempo siamo stati tutti sopraffatti, sia per i numeri degli sfollati sia per le emozioni dolorose che ci colpiscono ogni ora”.

L’esercito libanese, mai dispiegato per contrastare Israele ma che da tempo svolge compiti di polizia, è presente in massa a Beirut e Tripoli, nel nord. “Siamo qui per evitare che si creino attriti e violenze tra gruppi di cittadini”, afferma un ufficiale dell’esercito, incaricato di sostare col suo blindato in una strada di Tripoli. Raggiunto telefonicamente tramite un attivista locale, l’ufficiale preferisce rimanere anonimo perché non autorizzato a rilasciare dichiarazioni ai media: “C’è timore in giro che in questa situazione così instabile e con una quantità enorme di sfollati, qualcuno ne possa approfittare per seminare divisioni interne”, afferma il militare.

La paura di una nuova guerra civile è stata però finora allontanata da una vera e propria gara di solidarietà inter-comunitaria tra le regioni più colpite e quelle meno esposte: dalla Bekaa al sud, un numero sempre crescente di famiglie cerca riparo sul Monte Libano. A parte alcuni episodi, sporadici, in cui abitanti locali hanno provato a impedire agli sfollati di raggiungere i rifugi improvvisati, i libanesi appaiono, per ora, uniti nell’aiutarsi gli uni con gli altri. Alle frontiere con la Siria aumenta poi in maniera impressionante il flusso di siriani – già profughi in Libano – e libanesi che cercano riparo oltre frontiera, proprio lì dove da più di 13 anni si consuma una delle guerre più sanguinose e protratte di tutto il globo. Secondo l’Onu, dall’inizio della nuova offensiva israeliana in Libano, sono 100mila le persone che sono fuggite nella vicina Siria.

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Esteri

Trump elimina i dazi su carne, frutta e caffè: retromarcia per frenare il carovita negli USA

Trump rimuove i dazi su centinaia di prodotti alimentari per placare l’ira degli americani contro il carovita. Dubbi degli esperti: è una mossa politica dettata dal nervosismo della Casa Bianca.

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Donald Trump fa marcia indietro e rimuove i dazi su carne, banane, caffè, avocado, mango, pomodori e decine di altri prodotti agricoli. Una decisione che la Casa Bianca giustifica con i “progressi nelle trattative commerciali” e con il fatto che gli Stati Uniti non producono abbastanza di questi beni per soddisfare la domanda interna.

Una spiegazione che non convince molti esperti, secondo cui la mossa nasconde il timore dell’amministrazione di fronte a prezzi sempre più alti e al crescente malcontento dei consumatori.

Il nervosismo della Casa Bianca e il tema dell’“accessibilità”

Dietro questa retromarcia c’è un’evidente tensione politica. L’inflazione sul carrello della spesa pesa da mesi sui bilanci delle famiglie, mentre Trump — che in pubblico ha liquidato il tema dell’accessibilità come una “truffa dei democratici” — teme una rivolta contro la sua agenda economica.

Il presidente era arrivato alla Casa Bianca promettendo una drastica riduzione dei prezzi e una nuova “età dell’oro”. Finora, però, gli effetti della sua ricetta economica hanno premiato soprattutto i mercati e i più ricchi, senza alleggerire la pressione sui portafogli degli americani.

Il rischio gennaio: l’esplosione dei costi sanitari

La tensione è destinata a crescere. A gennaio potrebbero schizzare i prezzi delle assicurazioni sanitarie per milioni di americani, con la fine dei sussidi dell’Obamacare. Una riforma criticata per anni dai repubblicani, ma per la quale non è mai stata proposta un’alternativa credibile.

Se i sussidi non verranno prorogati, il prezzo politico da pagare alle prossime elezioni potrebbe essere altissimo.

La retromarcia sui dazi rilancia il soprannome “Taco”

La nuova ondata di cancellazioni tariffarie ha riportato in auge il soprannome “Taco” — Trump always chickens out — con cui i critici accusano il presidente di annunciare misure aggressive salvo poi ritirarle sotto pressione.

Dal 2 aprile l’amministrazione è stata costretta a correggere più volte il tiro sui dazi, elemento centrale della sua agenda economica. Trump ha sempre sostenuto che le tariffe servono a rimettere in equilibrio gli scambi e a finanziare parte del taglio delle tasse, il suo big beautiful bill.

La minaccia della Corte Suprema

Sulle politiche tariffarie del presidente incombe ora il giudizio della Corte Suprema, chiamata a pronunciarsi sulla loro legittimità. I giudici hanno mostrato scetticismo sulla tesi della Casa Bianca, che invoca un’emergenza nazionale per giustificare le tariffe.

Una bocciatura sarebbe devastante: metterebbe in discussione la credibilità dell’amministrazione e potrebbe obbligare Washington a restituire — secondo Trump — fino a 3.000 miliardi di dollari.

Una prospettiva che spiega il clima di crescente agitazione attorno a un presidente che, per la prima volta, vede indebolirsi uno dei pilastri della sua identità politica: essere il “Re delle Tariffe”.

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Esteri

Gaza tra nubifragi, tensioni diplomatiche e rischio divisione: la crisi umanitaria peggiora con l’arrivo dell’inverno

Nubifragi, sfollati senza ripari e tensioni diplomatiche: mentre si ipotizza una divisione della Striscia, l’Onu avverte che l’inverno rischia di aggravare una crisi umanitaria già drammatica.

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L’inverno avanza e una Gaza colpita da giorni di maltempo mostra in modo drammatico tutte le sue fragilità. La tregua sul terreno regge solo in parte, mentre piogge torrenziali hanno allagato migliaia di tende dove vivono famiglie sfollate, lasciando senza riparo chi ha perso tutto. Per l’Onu, il quadro è gravissimo: il 92% degli edifici della Striscia non è più abitabile e le condizioni meteo rischiano di mettere a rischio migliaia di persone.

La prospettiva di una Gaza divisa

Sul piano politico, cresce l’ipotesi di una divisione in due della Striscia: una zona controllata dall’esercito israeliano e l’altra gestita da Hamas, secondo condizioni ancora da definire. Una prospettiva che genera tensioni in Medio Oriente e che sarebbe al centro del dialogo tra Steve Witkoff, inviato di Donald Trump, e Khalil al-Hayya, figura di spicco dell’organizzazione islamica. I due avrebbero già avuto contatti in passato, con un rapporto personale nato dal lutto condiviso per la perdita di un figlio.

Washington prepara la sua risoluzione al Consiglio di Sicurezza

Gli Stati Uniti si preparano a presentare una nuova risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, previsto per lunedì. La diplomazia americana punta anche al via libera della Russia, in un confronto che si intreccia con gli interessi di Mosca nei territori ucraini occupati. Non è escluso che la telefonata tra Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin abbia toccato proprio questo nodo, insieme al ruolo dell’Iran, tornato ostile con il sequestro di una petroliera battente bandiera delle Isole Marshall.

Netanyahu isolato nelle trattative diplomatiche

Il premier israeliano appare sempre più lontano dal centro delle trattative internazionali sul futuro di Gaza. Nel frattempo l’Idf mantiene alta la pressione militare: secondo fonti palestinesi, l’artiglieria ha colpito l’area orientale di Gaza City e un drone avrebbe sparato nel campo profughi di Jabalia.

Campi allagati e beni distrutti: l’allarme Onu sull’arrivo dell’inverno

La maggior preoccupazione resta la situazione umanitaria. Le piogge hanno aggravato condizioni già estreme: abiti bagnati, scorte alimentari distrutte, tende rese inutilizzabili. Migliaia di sfollati sono ora esposti al freddo e alla pioggia senza protezione.

Le Nazioni Unite avvertono: “Migliaia di famiglie sono completamente esposte alle condizioni avverse, con rischi crescenti per salute e sicurezza”.

L’accusa dell’Unrwa: “Israele limita gli aiuti”

Da Bruxelles, il vice commissario generale dell’Unrwa Natalie Boucly punta il dito contro Israele, denunciando che le restrizioni ai flussi di aiuti continuano a mettere in pericolo una popolazione allo stremo, che soffre una grave carenza di cibo e beni essenziali.

La comunità internazionale teme che l’inverno, arrivato con violenza, possa trasformare la crisi di Gaza in un’emergenza umanitaria ancora più devastante.

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Esteri

Trump annuncia causa miliardaria contro la BBC per il montaggio del discorso del 6 gennaio

Donald Trump annuncia una causa da 1 a 5 miliardi di dollari contro la BBC per il montaggio ritenuto fuorviante del discorso del 6 gennaio. Cresce la tensione tra USA e Regno Unito.

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Donald Trump torna all’attacco dei media e questa volta punta dritto alla BBC, accusata di aver montato in modo “fuorviante” il suo discorso del 6 gennaio 2021, il giorno dell’assalto a Capitol Hill che portò al suo secondo impeachment. Le scuse ufficiali dell’emittente britannica non sono bastate al presidente americano, che ha annunciato una causa civile da 1 a 5 miliardi di dollari da presentare la prossima settimana.

La decisione dopo le scuse: “Dobbiamo farlo”

Trump, inizialmente disponibile a considerare la questione chiusa con le scuse, ha cambiato linea dopo un confronto con i suoi legali.
«Dobbiamo farlo», ha tagliato corto, definendo la vicenda uno “scandalo” che intende discutere personalmente con il premier britannico Keir Starmer.

Secondo il presidente, la BBC avrebbe «cambiato le parole che uscivano dalla mia bocca» per attribuirgli un significato distorto:
«Le mie parole erano belle, e loro le hanno trasformate in non belle».

La difesa della BBC: “Errore involontario, nessuna diffamazione”

L’emittente ha ammesso l’errore nel montaggio del programma Panorama, dove due passaggi distinti del discorso furono combinati.
Nella risposta ai legali di Trump, la BBC ha sostenuto che:

  • non c’era intento diffamatorio

  • il programma è andato in onda solo nel Regno Unito

  • Trump non ha subito alcun danno, essendo stato rieletto poco dopo

Argomentazioni che il presidente ha respinto in blocco, parlando di una manipolazione “corrotta”.

Rischio di uno scontro diplomatico

Gli osservatori nel Regno Unito avvertono che la causa potrebbe trascinare la BBC – finanziata dal canone – in un terreno rischioso: o sostenere costi legali enormi o valutare un patteggiamento costoso e politicamente imbarazzante.

Sir Craig Oliver, ex direttore della BBC e consigliere di Downing Street, ha parlato di uno scenario “pesante comunque vada”.

Trump amplia la guerra ai media

La battaglia contro la BBC si aggiunge alle altre vertenze aperte da Trump negli USA contro:

  • New York Times

  • CBS

  • Wall Street Journal

Quotidiani e broadcaster definiti più volte dal presidente come “nemici del popolo”.

La Casa Bianca accusa la BBC di essere una «macchina della propaganda di sinistra» finanziata dai contribuenti britannici.

Rapporti USA-Regno Unito sotto tensione

L’iniziativa giudiziaria potrebbe avere ripercussioni sul rapporto tra Washington e Londra, finora solido.
La mossa di Trump, infatti, rappresenta un attacco diretto a una delle istituzioni più identitarie del Regno Unito e potrebbe aprire una nuova fase di tensione transatlantica.

Resta ora da vedere se la causa verrà formalmente depositata e quali effetti produrrà sul delicato equilibrio diplomatico tra i due Paesi.

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