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Hamas accetta il piano Usa per Gaza: verso una tregua di 60 giorni e nuovi negoziati

L’organizzazione islamista pronta al dialogo, Israele riflette. Possibile annuncio congiunto Netanyahu-Trump lunedì alla Casa Bianca.

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Hamas ha accettato il cosiddetto piano migliorato proposto dall’amministrazione statunitense attraverso l’inviato Steve Witkoff. L’annuncio è arrivato con una nota ufficiale pubblicata su X, in cui l’organizzazione islamista afferma di aver “inviato una risposta positiva ai fratelli mediatori” e si dice “pienamente pronta ad avviare immediatamente un ciclo di negoziati” per attuare il quadro delineato nel piano.

La bozza in questione è la stessa che, secondo quanto dichiarato nei giorni scorsi da Donald Trump, Israele ha già accettato. Un’intesa che potrebbe aprire la strada a una tregua di 60 giorni a Gaza, durante la quale proseguire i negoziati con l’obiettivo di giungere a un accordo definitivo che metta fine al conflitto.

Tre condizioni di Hamas: aiuti, ritiro e garanzie

Hamas, nel suo comunicato, ha spiegato di aver completato le consultazioni interne e con le altre fazioni palestinesi sulla proposta dei mediatori internazionali – Stati Uniti, Qatar ed Egitto. Ma chiede tre modifiche fondamentali:

  • Un nuovo meccanismo per gli aiuti umanitari, escludendo la compagnia americana Gaza Foundation;

  • Un ritiro graduale dell’IDF sulle linee definite nel precedente accordo;

  • Garanzie di non ripresa delle ostilità oltre il termine dei 60 giorni, con impegno a negoziare fino a un’intesa finale.

Secondo fonti saudite, Hamas sarebbe disposto a cessare il contrabbando, fermare la produzione di armi e non scavare nuovi tunnel, lasciando le armi in deposito. Ma l’effettiva attuazione resta tutta da verificare.

Netanyahu verso l’annuncio con Trump

La risposta di Israele non è ancora arrivata, ma una riunione di governo è prevista per sabato, nonostante sia Shabbat. Fonti israeliane e arabe riferiscono che il premier Netanyahu potrebbe annunciare l’accordo insieme a Trump lunedì alla Casa Bianca, in un gesto simbolico dal forte peso politico e diplomatico.

Il piano prevede, nel periodo di cessate il fuoco, che l’IDF resti schierato nella zona cuscinetto al confine tra Gaza e Israele, estesa per 1,2-1,4 chilometri dentro la Striscia, incluso il Corridoio Filadelfia.

Divisioni nel governo israeliano

Nonostante l’apparente apertura, restano forti tensioni nel governo israeliano. Secondo Channel 12, si è verificato uno scontro durissimo tra i ministri dell’estrema destra Itamar Ben Gvir, Bezalel Smotrich e il capo dell’esercito Eyal Zamir. Quest’ultimo si è opposto al piano del premier Netanyahu di evacuare la popolazione di Gaza verso sud, chiedendo: “Chi gestirà due milioni di persone?”.

Netanyahu avrebbe risposto seccamente: “Non voglio un’amministrazione militare, ma Hamas non resterà in alcuna forma”, ordinando la stesura di un piano di evacuazione da presentare al suo ritorno da Washington.

L’obiettivo prioritario: liberare gli ostaggi

A cambiare radicalmente lo scenario è anche l’allineamento dell’esercito e dello Shin Bet con l’obiettivo di concludere l’accordo, spinti dalla priorità condivisa: la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza, circa una ventina. Per la prima volta, l’intero apparato di sicurezza sostiene il percorso negoziale come via obbligata per chiudere la fase più drammatica della guerra.

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Attacco a Teheran, Pezeshkian accusa Israele: “Volevano uccidermi”

Il presidente iraniano Pezeshkian accusa Israele di un attentato a Teheran. Sei missili contro il Consiglio di sicurezza: ferito, riesce a fuggire. Caccia ai traditori interni.

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Il 16 giugno, poco prima di mezzogiorno, sei missili israeliani hanno colpito un edificio strategico nella zona ovest di Teheran. All’interno si teneva una riunione del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale: presente anche il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, che sarebbe rimasto ferito ma riuscito a fuggire.

Secondo quanto riferito dall’agenzia Fars, vicina ai Guardiani della Rivoluzione, i missili hanno colpito gli ingressi e le uscite dell’edificio, nel tentativo di bloccare ogni via di fuga. Pezeshkian e i presenti si sono salvati solo grazie a un portello d’emergenza.

In un’intervista a Fox News, il presidente ha accusato direttamente Israele: “Hanno cercato di uccidermi”, ha dichiarato.

Il Mossad sotto accusa

In un clima carico di sospetti, Mehdieh Shadmani, figlia del comandante dei Pasdaran Ali Shadmani, ucciso nei raid israeliani, ha pubblicato un post sui social in cui racconta che suo padre cambiava posizione ogni poche ore, senza portare con sé dispositivi elettronici, seguendo rigidi protocolli di sicurezza.

Secondo lei, il Mossad avrebbe superato i metodi tradizionali di spionaggio, lasciando intendere l’esistenza di una falla interna o l’uso di tecnologie avanzatissime.

C’è anche chi ipotizza teorie al limite del surreale: l’ex direttore di un giornale legato alle Guardie, Abdollah Ganji, ha sostenuto che l’intelligence israeliana avrebbe fatto ricorso a scienze occulte e creature soprannaturali per localizzare i bersagli.

Caccia alla talpa

I punti chiave delle ultime analisi da Teheran convergono su tre elementi:

  1. Israele sapeva tutto, non solo i luoghi in cui si trovavano i vertici politici e militari iraniani, ma persino i rifugi alternativi. In alcuni casi, è riuscito a colpire anche i successori dei leader eliminati.

  2. All’interno del sistema iraniano cresce il sospetto di una fonte ai massimi livelli che abbia fornito informazioni al nemico, una dinamica già verificatasi a Beirut con i leader di Hezbollah.

  3. Si amplifica il mito del Mossad: una costruzione utile sia all’Iran, per giustificare le falle nella propria sicurezza, sia a Israele, per rafforzare l’immagine di onnipotenza del proprio servizio segreto.

Una guerra nell’ombra

Il conflitto tra Israele e Iran si è ormai spostato sul piano della guerra segreta, dove le informazioni valgono quanto i missili. In questo scenario, anche i social network e i canali informativi paralleli diventano strumenti di propaganda, specchi deformanti attraverso cui i nemici si osservano, si temono e si combattono.

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Biden: “Ho concesso io le grazie, l’autopen è legale e usato anche da Trump”

Joe Biden chiarisce al New York Times di aver concesso personalmente tutte le grazie firmate con autopen. “Sistema legale, usato anche da Trump”.

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Joe Biden rompe il silenzio e risponde alle accuse mosse dai repubblicani riguardo al suo stato cognitivo e al presunto mancato controllo sulle grazie presidenziali emesse a fine mandato. In un’intervista concessa al New York Times, l’ex presidente americano ha chiarito che tutte le decisioni di clemenza e grazia annunciate negli ultimi giorni della sua presidenza sono state personalmente autorizzate da lui.

Le accuse dei repubblicani

Negli ultimi giorni, alcuni esponenti del Partito Repubblicano hanno sollevato dubbi sulla lucidità mentale di Biden, insinuando che non sarebbe stato in grado di decidere autonomamente e che le grazie siano state firmate da altri a sua insaputa. In particolare, hanno puntato il dito sull’uso dell’autopen, uno strumento che replica automaticamente la firma del presidente.

La difesa di Biden: “Tutto legale, anche Trump lo ha fatto”

Biden ha spiegato che l’uso dell’autopen è assolutamente legale e ampiamente utilizzato: “Lo ha usato anche Donald Trump”. L’ex presidente ha precisato che tutte le grazie e commutazioni sono state decise oralmente da lui, e poi i suoi collaboratori hanno proceduto a formalizzarle con lo strumento automatico, dato l’elevato numero di persone coinvolte.

Grazia preventiva ai familiari

Biden ha anche ammesso di aver concesso la grazia preventiva a familiari e membri della sua amministrazione, una mossa pensata per proteggerli da eventuali ritorsioni del suo successore alla Casa Bianca. Una decisione controversa, ma secondo Biden necessaria: “Era un atto di responsabilità”, ha affermato.

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Trump: “Missili Patriot all’Ucraina, pagherà l’Unione Europea”

Donald Trump annuncia l’invio di missili Patriot all’Ucraina: “Ne hanno bisogno, noi non pagheremo nulla. Coprirà tutto l’Unione Europea”.

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Donald Trump annuncia l’invio di missili Patriot all’Ucraina: “Ne hanno bisogno, noi non pagheremo nulla. Coprirà tutto l’Unione Europea”.

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Donald Trump durante una conferenza stampa con sfondo bandiere americane e militari.


Trump annuncia l’invio dei missili Patriot all’Ucraina: “Pagherà tutto l’Unione Europea”

Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti invieranno i sistemi di difesa aerea Patriot all’Ucraina, affermando che si tratta di un equipaggiamento “di cui hanno disperatamente bisogno”. Il presidente americano ha parlato con i reporter, sottolineando che, sebbene non sia stato ancora deciso il numero esatto di missili, l’invio avverrà a breve.

L’incontro con il segretario generale della NATO

Nel suo intervento, Trump ha anche confermato che incontrerà domani il segretario generale della NATO, Mark Rutte, per discutere delle forniture militari all’Ucraina e della sicurezza europea. Il colloquio si inserisce in un momento delicato della guerra, in cui Kiev continua a chiedere maggiore supporto militare per difendersi dagli attacchi russi.

Nessun costo per gli Stati Uniti, secondo Trump

Noi non pagheremo nulla”, ha puntualizzato Trump, precisando che l’intero costo dell’operazione sarà a carico dell’Unione Europea. “Loro (gli ucraini, ndr) ne avranno un po’, perché hanno bisogno di protezione”, ha dichiarato. Il presidente ha inoltre aggiunto che gli ucraini pagheranno il 100% per gli altri equipaggiamenti militari sofisticati che saranno forniti da Washington.

Un messaggio politico e strategico

Le parole di Trump arrivano in un contesto di crescente pressione su NATO e Unione Europea per il sostegno all’Ucraina. Il leader americano, pur ribadendo il supporto militare, ha marcato con decisione la linea del “niente spese per gli Stati Uniti”, segnando una chiara posizione di disimpegno economico diretto, ma non operativo.


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