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Guns N’ Roses contro negozio d’armi online: ‘Usa il nostro nome’

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La rock band statunitense Guns N’ Roses ha citato in giudizio una società che gestisce un negozio di armi online dal nome sospettosamente simile a quello del gruppo musicale: ‘Texas Guns and Roses’. Secondo i legali di Axl Rose e compagni, l’armeria online induce i consumatori a credere di aver qualcosa a che fare con la rock band, che invece in alcun modo vuole essere associata alla vendita di armi. Il negozio, inoltre, secondo gli avvocati “sposa opinioni politiche relative alla regolamentazione e al controllo delle armi da fuoco” e gli utenti, fraudolentemente convinti che i Guns N’ Roses le appoggino, potrebbero convincere a compiere acquisti. Gli avvocati del gruppo rock chiedono al tribunale di impedire alla società di utilizzare il loro nome e un risarcimento danni non quantificato. Il sito del negozio online, al momento, non è più raggiungibile.

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Atlantic per errore nella chat di guerra del Pentagono

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“Il mondo ha scoperto poco prima delle 14 del 15 marzo che gli Stati Uniti stavano bombardando obiettivi Houthi in tutto lo Yemen. Io, invece, l’ho saputo due ora prima. E il motivo per cui l’ho saputo prima è che Pete Hegseth, il segretario alla Difesa, mi aveva inviato un sms con il piano di guerra alle 11.44. Il piano includeva informazioni precise su pacchetti di armi, obiettivi e tempistiche”. Così il direttore della rivista The Atlantic, Jeffrey Goldberg, ha raccontato la vicenda incredibile che lo ha coinvolto quando il suo numero è apparso all’interno di una chat di gruppo su Signal altamente classificata tra il capo del Pentagono, il vice presidente americano JD Vance e altri funzionari di primo piano.

“Non può essere vero?”, racconta di aver pensato il giornalista che ha ricostruito la storia a partire dall’11 marzo, quattro giorni prima il fatidico messaggio, quando ha ricevuto una richiesta di connettersi alla chat da parte di un certo Michael Waltz. Inizialmente dubbioso che si trattasse veramente del consigliere per la sicurezza americana Goldberg ha accettato con riluttanza e ha scoperto di essere entrato in un gruppo chiamato ‘Houthi PC small group’ di cui facevano parte i più alti funzionari del Pentagono e della sicurezza americana.

Per giorni i membri della chat, ignari della presenza del direttore, si sono scambiati messaggi iperclassificati che includevano informazioni precise sui tempi degli attacchi, sulle armi che sarebbero state utilizzate, persino discussioni sul morale dei soldati, nonché nuove stoccate all'”Europa parassita”. In pratica, non era solo un gruppo di pianificazione logistica ma un luogo di scambio sui processi decisionali attorno alle imminenti azioni militari. Goldberg alla fine ha deciso di uscire dalla chat ed è stato soltanto dopo la pubblicazione del suo articolo, quasi dieci giorni dopo i fatti, che il portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale, Brian Hughes, ha ammesso l’incredibile disguido.

“Il numero” del direttore “è stato erroneamente incluso in una chat di gruppo altamente confidenziale”, ha spiegato il funzionario assicurando che è in corso un’indagine per capire come ciò sia potuto accadere. Donald Trump ha dichiarato di non saperne nulla ma ne ha approfittato per attaccare The Atlantic, “rivista terrribile”, come se la colpa del gravissimo errore fosse del giornalista. Per gli esperti la fuga di notizie potrebbe avere conseguenze di vasta portata sulla sicurezza nazionale, la segretezza operativa e l’integrità della pianificazione militare e non sarebbe mai dovuta accadere. Non un banale errore, insomma, ma il segnale di quanto facilmente informazioni sensibili possano essere diffuse. Lo stesso Goldberg non esclude guai giudiziari per i promotori della chat.

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Colloqui fiume Usa-Russia ma nessun annuncio di tregua

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Colloqui fiume di oltre 12 ore, a porte chiuse, con gli americani impegnati su due tavoli paralleli con gli emissari di Kiev e Mosca, ma senza apparenti svolte salvo l’annuncio di un comunicato Usa-Russia, atteso per martedì. Il percorso verso una tregua in Ucraina, al termine del nuovo round di colloqui a Riad, si conferma accidentato, perché sono rimasti sospesi i nodi di un cessate il fuoco alle reti dell’energia e della ripresa in sicurezza della navigazione commerciale del Mar Nero. A frenare è soprattutto il Cremlino, che ha parlato di “molti aspetti su cui lavorare” e che dopo ore e ore di colloqui con gli Usa ha chiarito che le delegazioni non avrebbero firmato alcun documento.

Tutto questo mentre da Washington Donald Trump aggiungeva altra carne al fuoco, facendo sapere che in Arabia Saudita si è discusso anche di confini territoriali (un tema ben più impegnativo e di più lungo respiro) e del controllo delle centrali nucleari, a partire da Zaporizhzhia. Il team tecnico americano, composto tra gli altri dall’ex ufficiale dell’intelligence dell’esercito Andrew Peek, è sbarcato a Riad per tentare di riavvicinare russi e ucraini, con l’obiettivo di fare passi avanti verso una prima parziale cessazione dell’ostilità, finora rimasta lettera morta nonostante l’impegno verbale delle due parti.

Trump auspica che l’intesa entri in vigore entro Pasqua ma Mosca, prima di iniziare gli incontri sauditi, ha rilanciato la palla nel campo ucraino, affermando che l’esercito russo sta rispettando lo stop agli attacchi alle reti energetiche. Tanto che ha proposto agli americani di monitorare la situazione sulle centrali, per trarne “le conclusioni pertinenti”: ossia che sono gli ucraini a violare l’accordo. Accusa subito rinviata al mittente da Kiev, con Volodymyr Zelensky che ha accusato la Russia di aver “influenzato alcune persone del team della Casa Bianca attraverso la disinformazione”.

Altro tema dei colloqui di Riad, la tregua nel Mar Nero. Un punto proposto in prima battuta dagli ucraini ma che interessa anche i russi. Se l’accordo del grano venisse ripristinato, Mosca potrebbe infatti riprendere a esportare prodotti agricoli e fertilizzanti attraverso quella rotta, alleggerendo il peso delle sanzioni occidentali. Anche su questo dossier, tuttavia, non è emerso nulla di sostanziale. Salvo dichiarazioni generiche pronunciate tra le pieghe dei colloqui dal team russo, che ha parlato di interlocuzione “interessante” con gli Usa. Quanto agli ucraini, c’era in programma un nuovo scambio con la controparte americana dopo il primo giro d’orizzonte di domenica sera.

La tregua fa parte di un negoziato a tutto campo che crei le fondamenta per una pace duratura, ha poi spiegato in serata Trump in un briefing con la stampa alla Casa Bianca. “Stiamo parlando di territorio in questo momento. Stiamo parlando di linee di demarcazione, stiamo parlando di energia, della proprietà delle centrali elettriche”, ha detto il presidente, aggiungendo: “Alcune persone dicono che gli Stati Uniti dovrebbero possedere le centrali elettriche, in particolare la grande centrale nucleare”, ossia l’impianto di Zaporizhzhia. Trump, guardando sempre alle prospettive di una pace duratura, ha poi rilanciato il tema dell’accordo sulle terre rare con Kiev, ribadendo che sarà firmato “a breve”.

Non legato ai colloqui di Riad, ma comunque connesso al tema delle garanzie di sicurezza, resta sempre sullo sfondo l’ipotesi di una missione internazionale di pace per monitorare il rispetto delle intese tra Mosca e Kiev. In questo ambito si registra una smentita di Pechino rispetto alla notizia diffusa dai media tedeschi di un possibile coinvolgimento di sue truppe sul terreno. A questo dossier, al momento, lavora soltanto la coalizione dei volenterosi, che farà un nuovo punto giovedì in una riunione a Parigi convocata da Emmanuel Macron. Questo progetto è stato difeso a spada da tratta da Keir Starmer, respingendo al mittente le critiche dell’inviato Usa Steve Witkoff, che aveva bollato l’iniziativa inutile. Allo stesso tempo, rivelano alti ufficiali britannici al Telegraph, l’operazione avrebbe problemi di fattibilità, anche per la mancanza di dettagli cruciali sulle truppe e sugli equipaggiamenti messi a disposizione dai diversi Paesi.

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Rispunta l’intesa sul grano, le rotte e gli scambi

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L’opzione più concreta sul tavolo dei colloqui a Riad è una possibile ripresa dell’accordo sul grano del Mar Nero, primo grande risultato diplomatico della guerra che prima di naufragare a luglio 2023 aveva consentito in un anno la spedizione di milioni di tonnellate di grano e altri prodotti alimentari dai porti ucraini.

L’ACCORDO SUL GRANO DEL MAR NERO – L’iniziativa sul grano del Mar Nero è stata negoziata nel luglio 2022 tra Turchia, Onu e Russia – nessuna sigla diretta tra Mosca e Kiev – per garantire che l’Ucraina, uno dei ‘granai del mondo’, potesse esportare il grano dai suoi porti meridionali attraverso il Bosforo. Il cereale non poteva essere infatti esportato nelle quantità richieste utilizzando i trasporti su gomma o su rotaia attraverso la Polonia, o via fiume attraverso la Romania. La Turchia è stata l’elemento chiave dell’intesa sia per lo stretto rapporto tra il suo presidente Recep Tayyip Erdoğan e Vladimir Putin e sia perché Ankara supervisiona il traffico marittimo nello stretto del Bosforo e dei Dardanelli.

UN’INIZIATIVA, DUE MEMORANDUM – L’iniziativa, uno dei pochi successi diplomatici dall’inizio della guerra, consentiva esportazioni commerciali di cibo e fertilizzanti (inclusa l’ammoniaca) da tre porti ucraini chiave nel Mar Nero: Odessa, Chornomorsk e Pivdennyi. I cargo venivano guidati dalle navi ucraine nelle acque internazionali del Mar Nero per evitare le aree minate, procedendo quindi verso Istanbul lungo un corridoio umanitario marittimo concordato. Le navi dirette verso e dai porti ucraini venivano ispezionate da team composti da ispettori russi, turchi, ucraini e delle Nazioni Unite. Per facilitare l’implementazione dell’iniziativa, le parti hanno concordato di istituire un Centro di coordinamento congiunto (Jcc) a Istanbul per “garantire il controllo e monitoraggio” dei trasporti. Con il memorandum, era stato firmato un accordo separato per ridurre al minimo l’impatto delle sanzioni sull’esportazione di cibo e fertilizzanti russi, basandosi sul principio secondo cui le misure imposte alla Federazione Russa non si applicavano a questi prodotti. Entrambe le intese sono state sottoposte a revisioni quadrimestrali e poi bimestrali.

UN ANNO DI ESPORTAZIONI – Nonostante le difficoltà della guerra e la fragilità con la quale l’intesa è andata avanti, 33 milioni di tonnellate di grano hanno lasciato i porti ucraini in un anno, fino a luglio 2023, con 1.100 viaggi dai porti ucraini. Il Programma alimentare mondiale ha acquistato circa 750.000 tonnellate di grano ucraino che sono state spedite immediatamente in luoghi come Afghanistan, Etiopia, Somalia e Sudan. Di conseguenza, il prezzo del grano si è stabilizzato a circa 800 dollari per tonnellata, in calo rispetto al massimo raggiunto di 1.360 dollari.

IL NAUFRAGIO DELL’INTESA – Già dopo i primi mesi dall’avvio dell’iniziativa, la Russia ha iniziato a rallentare le ispezioni delle navi del grano: nell’ottobre 2022 venivano completate 10 ispezioni al giorno per un totale di 4,2 milioni di tonnellate metriche spedite, scese a sette al giorno a novembre e due a maggio, quando hanno lasciato i porti solo 1,3 milioni di tonnellate metriche. La diminuzione è continuata fino a luglio 2023, quando la Russia si è sfilata dall’iniziativa affermando che la seconda parte dell’accordo, che doveva consentire maggiori esportazioni agricole russe, non era stata onorata dall’Occidente dato che le sanzioni sulle esportazioni di beni russi non erano state revocate in modo sufficiente, così come non erano state ritirate le misure contro la sua principale banca agricola.

LA RISPOSTA DI KIEV, UN ‘CORRIDOIO DEL GRANO’ – Un mese dopo la fine dell’intesa, ad agosto 2023, l’Ucraina ha lanciato un ‘corridoio umanitario’ nel Mar Nero per aggirare il blocco navale della Russia. Fino a marzo 2025, il corridoio marittimo ucraino ha facilitato il trasporto di 106 milioni di tonnellate di merci, di cui quasi 70 milioni di tonnellate di grano, secondo il governo di Zelensky. Numeri che potrebbero mettere in dubbio l’interesse di Kiev a tornare a un’intesa con la Russia.

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