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Grillo porta Conte e il M5s in tribunale: nome e simbolo sono miei

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A sei mesi esatti dal video in cui, a bordo di un carro funebre, decretava la morte del M5s, Beppe Grillo torna in campo: a breve avvierà l’azione legale per riappropriarsi del simbolo e del nome del Movimento. La notizia trapela da fonti vicine al fondatore del Movimento e subito deflagra nell’universo pentastellato riaprendo di fatto la contesa, di fatto mai sopita, tra il comico genovese e l’attuale leader del partito, Giuseppe Conte. Da Campo Marzio, per ora, si dicono “assolutamente tranquilli. Se e quando dovesse esserci questa nuova iniziativa giudiziaria leggeremo le carte e i nostri avvocati risponderanno a tono”, tagliano corto.

Le prerogative avanzate sulla base del simbolo vengono giudicate “infondate”. Il ruolo di garante all’interno del Movimento è stato eliminato a fine 2024 con la costituente del M5s. “Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio – fu il commento di Grillo all’esito della costituente – Fatevi un altro simbolo. Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no”. Fra le scelte contestate dall'”Elevato” – come si è autoproclamato Grillo – c’era anche l’abolizione del limite di due mandati. Una regola che pian piano, il M5s sta mandando definitivamente in soffitta: il colpo più duro lo ha dato la costituente di novembre, con il via libera degli iscritti, e tra non molto il processo arriverà a conclusione, con la definizione dei criteri. La norma principe, molto articolata, prevederà che di base i mandati non possano mai essere più di tre.

“Oggi non è più il M5s. Spero che Grillo finalmente si riprenda il simbolo e dia la possibilità a Conte di farsi il suo partito”, il commento di Danilo Toninelli. Parole che, a distanza di due settimane, suonano come una predizione delle mosse imminenti del comico genovese, da sempre spina nel fianco per Conte. Di recente dal suo profilo social è scomparso ogni riferimento al braccio di ferro in atto (la bacheca pullula di informazioni sull’intelligenza artificiale, questioni ambientali e energetiche) ma evidentemente non ha affatto rinunciato alla “sua” creatura. Insomma, dopo il conflitto sulla Costituente, sta per iniziare il secondo round con la battaglia che si sposterà in tribunale.

“Chi si azzarda a intralciare il M5s troverà una solida barriera legale, pagherà gli avvocati, anche i nostri, la lite temeraria, e pure i danni”, ammoniva Conte a fine 2024. E lo spirito combattivo dev’essere rimasto lo stesso, visto che i suoi rimarcano: “Da quando è partito il nuovo corso non si è registrata nessuna sconfitta giudiziale e su quelle pendenti chi le ha avanzate ha perso ed è stato costretto a pagare spese processuali e danni”, indicativo della “solidità” delle ragioni giudiziarie di Conte e del M5S. Di diverso parere l’avvocato Lorenzo Borré che ha seguito i dissidenti pentastellati in varie cause: “Tutti ci aspettavamo che Grillo si muovesse a dicembre, quando c’è stata la votazione che aveva eliminato la figura del garante. Ora si saranno ravvivate le ragioni per cui non ritiene di dover continuare a concedere il simbolo al partito di Conte. La Corte di appello di Genova nel 2021, in un contenzioso che vedeva partecipi tutte e tre le associazioni denominate Movimento 5 stelle (la prima costituita da Grillo e Casaleggio nel 2009; la seconda costituita nel 2012 sempre da Grillo ed altri per poter presentare le liste; e la terza formata nel 2017 formata da Luigi Di Maio e Davide Casaleggio), ha affermato che il titolare del nome e del simbolo è Beppe Grillo”. Dati questi presupposti, “dovrebbe spuntarla Grillo”.

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Politica

Regionalismi in tensione: Giani sfida Schlein, De Luca ferma su Fico

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Oggi pomeriggio Eugenio Giani varcherà il portone del Nazareno per un faccia a faccia con Elly Schlein, deciso a difendere la sua ricandidatura alla guida della Toscana. Ma il vero scontro interno al PD è anche in Campania, dove Vincenzo De Luca continua a frenare sull’ipotesi Fico.

La sfida toscana

Mentre Schlein cerca di mantenere il controllo delle scelte territoriali, Giani ha deciso di passare al contrattacco, forte di quanto previsto dallo statuto del partito: un presidente al primo mandato può essere escluso solo attraverso primarie — cui può partecipare — o con il voto contrario del 60% della Direzione regionale. Così il 9 luglio ha formalizzato la sua candidatura, prima a voce, poi via PEC, infine pubblicamente.

Il sospetto al Nazareno è che Schlein voglia approfittare del veto del M5S su Giani per spingere nomi più vicini alla sua linea: Emiliano Fossi, segretario regionale, o Marco Furfaro. Ma Giani non ha intenzione di fare un passo indietro e ha già pronte 120 firme per chiedere la convocazione della Direzione regionale, spingendo sul fattore tempo: le elezioni sono fissate per il 12 ottobre e il calendario incombe.

Il gelo campano

In Campania la situazione è altrettanto tesa. Dopo la cena con Giuseppe Conte, De Luca ha chiarito che non c’è alcun via libera su Roberto Fico e ha preteso che si parta da un confronto programmatico con l’intera coalizione, prima di affrontare i nomi. Il governatore non intende lasciare a Schlein la regia della partita né vuole che Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli e sostenitore di Fico, si affermi come federatore del centrosinistra in vista delle Politiche.

La sfida di De Luca è dunque doppia: contro il vertice del partito nazionale e contro la manovra napoletana, che punta a creare un nuovo baricentro politico nel Sud.

Anche in Puglia fibrillazioni interne

Altro fronte di tensione per Schlein è la Puglia, dove la segretaria vorrebbe contenere l’influenza di Michele Emiliano e Antonio Decaro. L’obiettivo è chiaro: ridurre il potere dei “governatori forti” e rafforzare una nuova classe dirigente legata alla linea nazionale del partito.

Centrodestra in cerca di equilibrio

Ma anche nel centrodestra non regna la serenità. Mercoledì Giorgia Meloni ha convocato a Palazzo Chigi Tajani, Salvini e Lupi per iniziare a discutere le candidature per le prossime Regionali, a partire dal Veneto. Una riunione che rivela la difficoltà di trovare un accordo anche tra alleati di governo, a dimostrazione di quanto il 2025 sarà un anno politicamente decisivo per gli equilibri nazionali.

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Onorevoli morosi, un buco nelle casse dei partiti

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Onorevoli morosi, che non pagano le quote dovute ai propri partiti: il problema è ricorrente nei bilanci del 2024 di diverse forze politiche, da Forza Italia al Pd, passando per il M5s. Mentre è in controtendenza Sinistra italiana, che vede aumentare i contributi dei propri parlamentari (da 204 mila a 281 mila euro), tutti tra i 42 mila e i 55 mila euro. Il M5s, che ha un avanzo di oltre 2 milioni di euro, iscrive a bilancio 2,8 milioni di euro di crediti verso parlamentari e consiglieri regionali, e 1,4 milioni per indennità di fine mandato. Come “leva per la riscossione dei contributi”, il tesoriere Claudio Cominardi, nella relazione, richiama la regolarità contributiva come “requisito fondamentale per concorrere ed eventualmente mantenere il ruolo nelle cariche associative”.

Rispetto al 2023, per il Pd cala di 55 mila euro la voce crediti verso senatori e deputati, a 441 mila euro. Come spiega la relazione al rendiconto (in avanzo di 650mila euro, con l’incasso record di 10,2 milioni dal 2xmille), “è continuata l’azione di recupero” verso eletti nelle varie legislature, con 9 azioni giudiziarie aperte e 4 accordi transattivi. Anche nel bilancio di Europa verde si prevede un ricorso per decreto ingiuntivo per mancato pagamento spontaneo dei contributi associativi contro Eleonora Evi, deputata passata l’anno scorso fra i dem.

Mentre aumentano di 2 milioni i contributi da terzi e di oltre 300 mila euro le quote associative, la “discontinuità dei versamenti” dovuti “da parte di alcuni eletti” è un aspetto critico del rendiconto di FI (disavanzo di 307 mila euro e un passivo di 90 milioni che continua a essere garantito dagli eredi di Silvio Berlusconi): “Occorrerà adottare decisioni più rigorose per ottenere i pagamenti”, si legge nella relazione, “anche facendo leva” sulle norme interne che per i morosi prevedono ineleggibilità e decadenza dagli incarichi nel partito. I versamenti degli eletti sono in calo anche per +Europa, da 28.530 a 22.950. In FdI i contributi dei parlamentari nazionali ed europei sono volontari, e il bilancio (in disavanzo di 681 mila euro, a fronte di un avanzo di 4,9 milioni di euro nel 2023) registra un calo delle erogazioni liberali (da 3,9 a 2,7 milioni) e delle quote associative annuali (da 2,8 a 2,3 milioni). Nel bilancio 2024 in disavanzo di per 1,4 milioni, anche per la Lega calano le contribuzioni da persone fisiche e giuridiche (da 4,5 a 3,8 milioni), mentre aumentano le quote associative (da 58.624 a 63.227 euro).

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Maxi ricorso sui vitalizi, giovedì la sentenza

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E’ prevista per giovedì prossimo la sentenza del Collegio d’appello di Montecitorio sul taglio dei vitalizi, oggetto di un maxi ricorso da parte di circa 900 ex deputati che chiedono di rivedere la delibera del 2018 sugli assegni. Il “tribunale” di secondo grado interno alla Camera, presieduto da Ylenia Lucaselli (Fdi), è composto da altri quattro deputati (Ingrid Bisa della Lega, Pietro Pittalis di Fi, Marco Lacarra del Pd e Vittoria Baldino di M5s) tutti avvocati, ed ha un ruolo giurisdizionale e non politico. La decisione giunge dopo una lunga istruttoria – partita un anno fa – che ha registrato un’accelerazione nelle ultime due settimane. Ad argomentare le proprie ragioni gli avvocati dei ricorrenti, principalmente ex deputati anagraficamente più giovani di quelli che nel 2022 hanno beneficiato di una sentenza che di fatto ha azzerato per loro la delibera Fico.

Quest’ultima stabiliva che il vitalizio – su suggerimento dell’allora presidente dell’Inps Tito Boeri – fosse calcolato con criteri contributivi: in pratica l’assegno veniva ricalcolato sulla base di coefficienti in cui rientravano non solo il monte dei contributi versati, ma anche gli anni in cui si era beneficiato di un assegno. Un taglio che, dall’oggi al domani, è arrivato anche al 90%. “Il ricorso riguarda una minoranza che subisce ancora un trattamento fortemente discriminato rispetto alla maggioranza dei deputati e a tutti i senatori per i quali dagli organi del Senato è stato applicato il principio costituzionale della legittima aspettativa”, ha lamentato l’Associazione degli ex parlamentari che respinge con forza le accuse di “casta” e di “assalti alla diligenza” prospettando anzi, grazie alle sue proposte relative agli adeguamenti derivanti dall’aumento, risparmi “notevoli” per le casse della Camera.

Tra coloro che lamentano i tagli, molti sono i nomi noti e vanno da Paolo Guzzanti a Ilona Staller, dagli ex sindaci di Napoli Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino all’ex primo cittadino di Imperia, ora alla guida della Provincia del ponente ligure, Claudio Scajola, fino a Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Margherita Boniver. La lista, lunga, vede tra i ricorrenti anche Italo Bocchino, Mario Landolfi, Gianni Alemanno, ma anche Mario Capanna, l’ex magistrata Tiziana Maiolo, l’ex olimpionica Manuela Di Centa, l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, Giovanna Melandri e Angelino Alfano.

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